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La storia cantata

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NinfaEco
NinfaEco
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
9 Febbraio 1849 - Proclamazione della Repubblica Romana





Se il Papa è andato via buon viaggio e così sia Al Campidoglio! il Popolo dica la gran parola: daghe i Romani vogliono, non piú triregno e stola! Se il Papa è andato via buon viaggio e così sia Non morirem d'affanno perchè fuggì un tiranno perchè si ruppe il canapo che ci legava al pie' Se il Papa è andato via buon viaggio e così sia Viva l'Italia e il popolo e il Papa che va via se andranno in compagnia viva anche gli altri re Se il Papa è andato via buon viaggio e così sia Addio, Sacra Corona Finí la Monarchia Or ch'é sovrano il Popolo Mai piú ritorni un re.
Informazioni

Si dice che l'autore del canto, intonato a porta San Pancrazio dai repubblicani che difendevano Roma nel 1849, sia Goffredo Mameli, lo stesso autore dell'inno libertario "Fratelli d'Italia". Quanto meno si può considerare certo che il canto rappresenta un arrangiamento di una composizione poetica -quasi esattamente con le stesse parole- che il Mameli, poco prima della morte nella difesa della Repubblica Romana, aveva inserito in un progetto di pubblicazione delle proprie opere letterarie.

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Hara2
Hara2
Viandante Storico
Viandante Storico

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alfio
alfio
Viandante Residente
Viandante Residente




Alcuni commentatori hanno visto in questa splendida canzone, una bossa nova dolcissima e irresistibile (considerata una delle più belle canzoni brasiliane di sempre), una metafora della vita e del suo inevitabile procedere verso la morte. Tutti quei particolari minuti e quelle immagini rappresentano il fluire della vita, spezzettata nei giorni, e le piogge di marzo, che chiudono l'estate e annunciano l'inverno (nell'emisfero australe), sarebbero una metafora della fine.
Vedendo e ascoltando però Jobim cantare questa canzone assieme ad Elis Regina, nella bellissima interpretazione del 1974 (un classico) viene da dubitare di questa spiegazione, osservando la gioia e la complicità con cui vengono enumerate tutte le cose dai due artisti, e la "pioggia di marzo" arrivare sempre alla fine, per darne un senso compiuto, e aprire una promessa di vita.
Forse invece Jobim è un seguace della "filosofia delle piccole cose" e vede nei gesti e negli avvenimenti quotidiani, nella loro attenta osservazione, una strada alternativa a quella della grande filosofia, per arrivare a comprendere il significato della vita.
D'altra parte l'inverno brasiliano, così mite e al massimo piovoso, appare un po' lontano dai nostri inverni (di una volta) nei quali un manto di neve sembrava addormentare (morte apparente) tutte le forme di vita.


Il motivo ispiratore estemporaneo è stato comunque raccontato da Jobim (dal Jobim fansite):
scrisse "Le piogge di marzo" nella piccola fattoria di famiglia a Poço Fundo, nello stato di Rio de Janeiro, nel marzo del 1972. La proprietà era oggetto di lavori di ristrutturazione, che consistevano essenzialmente nel rafforzamento di un muro. Pioveva molto, e la stradina che conduceva alla fattoria era coperta di fango. In questo ambiente di lavori manuali, fango e pioggia, Tom scrisse i versi della canzone.
Nella presentazione che accompagnava la prima stampa del brano, lanciata in un articolo della rivista "O Pasquim" nel 1972, Tom dice che era stato ispirato dai versi iniziali della poesia di Olavo Bilac "Il cacciatore di smeraldi":
"Era marzo, alla fine delle piogge, quasi all'entrata dell'autunno, quando la terra, nel suo stato sofferente, beve a lungo l'acqua ..."


(fonte: http://www.musicaememoria.com/jobim_aguas_de_marco.htm )

4
Lucio Musto
Lucio Musto
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
alfio ha scritto:



Alcuni commentatori hanno visto in questa splendida canzone, una bossa nova dolcissima e irresistibile (considerata una delle più belle canzoni brasiliane di sempre), una metafora della vita e del suo inevitabile procedere verso la morte. Tutti quei particolari minuti e quelle immagini rappresentano il fluire della vita, spezzettata nei giorni, e le piogge di marzo, che chiudono l'estate e annunciano l'inverno (nell'emisfero australe), sarebbero una metafora della fine.
Vedendo e ascoltando però Jobim cantare questa canzone assieme ad Elis Regina, nella bellissima interpretazione del 1974 (un classico) viene da dubitare di questa spiegazione, osservando la gioia e la complicità con cui vengono enumerate tutte le cose dai due artisti, e la "pioggia di marzo" arrivare sempre alla fine, per darne un senso compiuto, e aprire una promessa di vita.
Forse invece Jobim è un seguace della "filosofia delle piccole cose" e vede nei gesti e negli avvenimenti quotidiani, nella loro attenta osservazione, una strada alternativa a quella della grande filosofia, per arrivare a comprendere il significato della vita.
D'altra parte l'inverno brasiliano, così mite e al massimo piovoso, appare un po' lontano dai nostri inverni (di una volta) nei quali un manto di neve sembrava addormentare (morte apparente) tutte le forme di vita.


Il motivo ispiratore estemporaneo è stato comunque raccontato da Jobim (dal Jobim fansite):
scrisse "Le piogge di marzo" nella piccola fattoria di famiglia a Poço Fundo, nello stato di Rio de Janeiro, nel marzo del 1972. La proprietà era oggetto di lavori di ristrutturazione, che consistevano essenzialmente nel rafforzamento di un muro. Pioveva molto, e la stradina che conduceva alla fattoria era coperta di fango. In questo ambiente di lavori manuali, fango e pioggia, Tom scrisse i versi della canzone.
Nella presentazione che accompagnava la prima stampa del brano, lanciata in un articolo della rivista "O Pasquim" nel 1972, Tom dice che era stato ispirato dai versi iniziali della poesia di Olavo Bilac "Il cacciatore di smeraldi":
"Era marzo, alla fine delle piogge, quasi all'entrata dell'autunno, quando la terra, nel suo stato sofferente, beve a lungo l'acqua ..."


(fonte: http://www.musicaememoria.com/jobim_aguas_de_marco.htm )

la canzone è bellissima... secondo me dovresti metterci anche la traduzione del testo...

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