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Ode alla solitudine.

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Constantin
Constantin
Viandante Ad Honorem
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Eremiti. (ode alla solitudine)

Gli eremiti sono fari. Per quanto piccola e umile sia la fiammella che tengono accesa con la loro ostinata testimonianza, è la stessa solitudine che la amplifica nel buio. Un fiammifero si perde nella moltitudine dei bagliori di un fuoco, ma non può passare inosservato di notte nel deserto. C'è dunque un esibizionismo implicito nell'atto del nascondersi; non voluto, certo, eppure concreto - almeno per chi lo guarda dall'esterno. Gli antichi stiliti (gli eremiti orientali che si appollaiavano scomodamente per anni e anni sopra una colonna) dimostravano all'evidenza tale contraddizione: colmavano si, col loro esercizio strano, una sete di estrema penitenza, ma davano nel medesimo tempo soddisfazione allo spettacolo di quanti accorrevano a vederli. Più si scappa e più si genera  curiosità, colui che fugge, sovente, viene inseguito; e anzi la corsa aumenta l'appetito di conoscere la preda.Chi gioca a nascondino presuppone la suspense di un cercatore instancabile; altrimenti che divertimento è?
So bene che tale non è la prospettiva degli eremiti: per i quali funziona piuttosto il solus ad solum del colloquio diretto ed esclusivo con un Assoluto che non potrebbe patire nessun'altra concorrenza; la loro ardua vocazione ha subito inoltre un crogiolo di ostacoli che avrebbero stroncato ogni secondo fine d'ambizione mondana, qualunque velleità di raggiungere- seppur attraverso una strada più lunga e appartata- un pubblico riconoscimento, una "fama" purchessia. Ma per l'appunto tale è invece la prospettiva da cui partiamo noi, che non possiamo fare a meno di guardarli ed interrogarci sull'intensità della loro fiamma.
Gli eremiti hanno un fascino crescente, infatti. E tanto più in una società "di massa" che celebra i suoi riti in oceaniche Kermesse, esalta la geografia giovanile del branco, festeggia il mito del gruppo o anche soltanto quello della coppia.
Chi sta ostinatamente da solo, oggi,è già un punto interrogativo permanente e fastidioso per i più, nella sedicente società della comunicazione, gli eremiti fanno problema e attirano, attirano e fanno problema.
Oppure potremmo dire che il rinascente eremitismo sia il riscatto (la nemesi) dei troppi isolamenti cui siamo ovunque costretti?
Cioè l'unica, o quasi, reductio ad unum davvero liberamente abbracciata, e soprattutto per un corpo a corpo più alto e appagante?
Non c'è dubbio che l'eremita contemporaneo si formi con la condivisione di solitudini cercate ma disperanti.
Nella seduzione che la vita eremitica esercita comunque sull'oggi, non si può inoltre fare a meno di computare il fascino residuo di una lontananza ormai divenuta- in questo mondo globale dove le distanze più non esistono- un obiettivo ambito, almeno temporaneamente, o  un lusso di pochi. L'ascetica ed elitaria fuga mundi rivive sotto le mutate spoglie di buen retiro da intellettuale, nel "riposo del guerriero" reduce delle faticose battaglie della finanza, nella liturgia del week-end "fuori da", nel ribaltamento del "cambio di vita" di quarantenni (o giù di lì) insoddisfatti\e o semplicemente nel semestre tropicale del cercatore alla rincorsa di un presunto tempo perduto.
Sarebbe arduo convincere il profano dell'assoluta distanza tra tali ripieghi assolutamente affetti dal virus "borghese" e la vera scelta autentica dell'essere eremita.
Il tarlo che si tratti di misantropia, nell'interpretare qualunque, rimane; perchè la radicalità sembra inspiegabile, destando ammirata incredulità il coraggio che abbisogna a tanto distacco. Sempre visto da fuori l'eremita non pare distanziarsi poi molto dal altri drastici tagli esistenziali, dal proprio tempo o dal proprio luogo.
No, ancora non ci siamo, l'eremita inorridirebbe giustamente a sentirsi tanto frainteso, nell'esibizione della propria unicità, nella sua contestazione ideologica al collettivismo consumista, e neppure nel rivoluzionario rifiuto di ogni automatico incasellamento sociale.
Ma ecco il punto: perchè ode alla solitudine, ode all'essere eremiti? chi si fa eremita per ripicca, per paura, per fuga o fallimento, per vanità, per anarchia, per rovesciata ambizione d'eccellenza. L'eremo reclama donne e uomini, maturi, sereni, richiede una conquista paziente e dovizia d'intenti che non si arrende a nessun ostacolo, anche se  non si esime da dubbi e da ripensamenti angosciosi, marcia per vie tortuose , a volte incomprensibili ai protagonisti stessi.
A parte ogni cosa, l'eremita vive un'avventura a suo modo  privilegiata sebbene rappresenti un paradosso. Un faro con una piccola e umile fiamma che ostenta la sua solitudine nel buio.

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