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Il Tamarro non è il marito della lucertola

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Massimo Vaj
Massimo Vaj
Viandante Storico
Viandante Storico
Una sera come tante altre può avere in serbo, anche per uno che ha già capito tutto della vita, una piacevole sorpresa.
Così pensava un tamarro truce mentre, con la coda dell'occhio, scansionava un mucchio di spazzatura a lato della strada che percorreva tutte le sere per andare al lavoro. Già da lontano gli era sembrato interessante uno scatolone, illuminato dalla luce sfrigolante di un lampione storto, che la sera prima non era lì, e qualcosa dentro doveva esserci, perché stava in bilico in modo innaturale su un cumulo d'immondizia che cercava di scrollarselo di dosso.
Per stare in quella posizione più precaria del suo esistere, poggiato su un angolo nel rifiuto di coricarsi per riposare, doveva esserci, al suo interno, qualcosa che avrebbe voluto vivere ancora assomigliando, in questa necessità, alla vita di chi lo stava soppesando con il desiderio. Naturalmente questa singolare associazione di pensieri non stava nella testa del sempliciotto che aveva deciso di approfondire la natura della strana situazione in cui si ritrovava. Lui, come dire… presentiva vagamente qualcosa, ma non si sarebbe mai sognato di organizzare il suo intuire, simile a quello di una bestia in cattività, sprofondandolo in una fila sensata di pensieri compiutamente formulati. Il farlo lo avrebbe spaventato assai, e forse anche fatto fuggire a gambe levate, perché l'avrebbe fatto sentire come un ratto che improvvisamente sapesse di essere una cavia da laboratorio. Da un certo punto di vista l'esistenza di un tamarro è affascinante, perché ogni cosa, pur nella sua convinzione di sapere tutto della vita, appare come una sorpresa, quasi mai magnifica certo, ma preferibile ai cespugli spinosi che rotolano nel deserto della sua testa, dandosi l'aria che hanno i pensieri quando si fermano a metà. Arrampicatosi con la dovizia di un ladro di appartamento, che poi era il suo vero lavoro, raggiunse lo scatolo, come lui chiamava i cartoni quando non capiva da che parte si aprivano. Era pesante, ma tenne a bada la sua curiosità evitando di aprirlo, per riuscire a portarlo a valle senza danneggiare quello che, eventualmente, ci fosse stato al suo interno. Un ladro di solito disdegna il raccattare la spazzatura, ma erano tempi duri per tutti questi, e il lavoro raramente dava i frutti sperati anche per chi, dopo essersi mezzo ammazzato, in bilico sui cornicioni delle case, finiva col portarsi a casa solo la rabbia di aver trovato scatole piene di cambiali.
Guadagnata finalmente la strada, asfaltata tra una buca e l'altra, trasse il coltello dalla tasca e aprì, come sempre dalla parte sbagliata, lo scatolo.
Fu come prendere un pugno in faccia: all'interno, accucciato in un angolo dallo spavento, tremava quello che, a prima vista, aveva l'aria di essere un computer. Un brivido di timore gli serpeggiò nelle viscere, perché lui associava i computer ai sistemi d'allarme, e gli partì il riflesso condizionato di un'occhiata che si accertò non ci fossero telecamere nascoste da qualche parte.
Quella notte non sarebbe andato al lavoro.
Insieme al computer c'erano anche un po' di fili, una tastiera impiastricciata da pulire, un mouse e un libretto d'istruzioni in finlandese che, per il grado suo di comprensione, era equivalente all'italiano.
Per fortuna aveva un amico che sapeva usare il computer, perché l'aveva imparato alla biblioteca del carcere dove, periodicamente, andava a disintossicarsi.
La fortuna stava dalla sua parte, dato che il suo amico era appena uscito da Rebibbia e stava cercando una sistemazione provvisoria, nell'attesa di tornare dentro a curarsi la salute.
Lo incontrò ai giardinetti, dove l'uomo spacciava aspirine assicurando fossero pasticche di extasy.
Il resto della storia ricalcò il normale percorso che ogni individuo fa quando si dà all'informatica, con la sola differenza che lui impiegò dieci volte il tempo usuale per capire il minimo indispensabile utile a collegarsi in rete, per poter accedere a uno degli innumerevoli siti dove vanno a intanarsi quelli che della vita sanno tutto.
Un nuovo mondo gli si era spalancato davanti, un mondo al quale lui poteva consigliare la direzione da prendere per potersi ritrovare dove stava seduto lui, sull'orlo di un abisso dove, sotto, stava uno spettacolo superbo che desiderava solo conoscere il suo pensiero giudicante.
Finalmente tutta la sua esperienza, tutto il suo aver sofferto, potevano essere usati per un fine superiore al semplice istinto di sopravvivenza, e già un orizzonte che poteva ricordargli quello avuto da Gandhi o da Martin Luther King, che lui ancora non conosceva, ma non si può mai dire cosa può accadere sul Web, dicevo che un orizzonte da maestro spirituale era lì, a portata di un clic che l'avrebbe trasformato nel pifferaio magico della rete fantastica nella quale, questa volta, non sarebbe stato lui a caderci dentro.
La sua specialità erano i pensierini corti, che lui chiamava, impropriamente, "aforismi", parola che gli ricordava un eczema che ogni tanto gli dava prurito sotto le ascelle. Cazzo se era utile il Web! Gli era servito persino a trovare il rimedio per quel fastidio, così ora scriveva tenendo strette le ascelle, per non farsi colare l'unguento giù per la canottiera e sorrideva felice, scrivendo consigli come avesse avuto una rubrica tutta sua sul giornaletto del carcere.
Persino lui stentava a credere di aver imparato a scrivere l'itagliano...

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