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Massimo Vaj
Massimo Vaj
Viandante Storico
Viandante Storico
La mente che stava sotto tutti quei capelli bianchi, sopra a una barba ispida ancora più bianca, aveva schiacciato di tutto per guardarci dentro, aveva tagliuzzato e punzecchiato ogni elemento che la vita le metteva davanti, come se questa l'avesse fatto solo per sacrificarlo, ma tutto quell'analizzare, scomporre e spezzettare, oltre a imbiancargli il pelo lo aveva solo reso ansioso. La salute se ne era andata da un pezzo, cosa che non deve meravigliare chi non si cura di inspirare veleni. Così, quell'uomo che aveva preso l'aspetto di un saggio cercando verità sconosciute, oggi era un aggregato stanco e sfiduciato, con le gambe gonfie, le dita delle mani deformate dall'artrite, gli occhi ridotti a due fessure insanguinate da notti insonni, trattenuti da una pelle che esibiva macchie livide, sparacchiate da esperimenti che, deflagrandogli in faccia, gli avevano dato l'aria di essere un ubriacone. Quest'uomo percepiva ormai che l'epilogo dell'esperimento finale, quello più importante e assimilabile al suo vivere, stava esplodendo allo stesso modo e per le stesse vie di tutti gli altri fallimenti che punteggiavano di delusioni il tortuoso cammino di un'esistenza inutile. Non riusciva nemmeno a sedersi comodo per riposare, perché la vita lo torturava come lui torturava la vita, facendolo senza sperimentare, attraverso delle feroci emorroidi. Si alzò dal letto a fatica, quella mattina piovosa, ancora prima dell'alba, per un dolore alla vescica che i reni, sofferenti, mettevano in fretta sotto pressione perché lei si svuotava lentamente, a causa della prostata che stringeva il collo all'uretra. Vide, guardando dall'alto come sempre faceva quando metteva in atto le sue intuizioni balzane, sgocciolare dal suo pene stanco l'urina intorbidita dai malanni, e s'immaginò che quel piscio fosse la materia prima di cui è intriso l'universo. Ne considerò lo sgocciolio che riempiva il pitale, ingiallito dagli anni più di quanto non fosse l'universo, vedendo che ogni goccia, ogni spruzzo, accidentale e diverso dagli altri spruzzi, doveva la sua forma e la direzione del suo moto alla legge unica imposta dalla natura del liquido e dalla struttura del pitale. Si accorse, con stupore, che gli accidenti dei quali il mondo era composto si comportavano allo stesso modo di quegli schizzi. Pensò che se si voleva capire il mondo occorreva prima distinguere le leggi che ne ordinavano lo zampillio, e che avrebbero delineato il disegno di una casualità solo apparente. Vide che nessuna goccia poteva sfuggire alla legge della liquidità, e che quell'assurdità indecifrabile e vorticosa apparteneva alla possibilità di essere che pulsava all'interno di ogni goccia. Constatò che vaso e urina dovevano il loro essere a una causa, con le fattezze del suo corpo, che era superiore a entrambe; un corpo che sbatteva dentro e contro la vita per cause che erano a loro volta superiori alla vita stessa. L'uomo aveva ora, davanti al suo sguardo diventato inaspettatamente acuto, un piccolo universo analogo a quello non misurabile che era finora sfuggito alla ricerca scientifica. Fu, quella, la sua pisciata più bella, che si concluse in una macchia rosso fuoco, colorando di morte il suo destino. Lo scienziato si piegò al suolo con un lamento sordo, scivolando col viso dentro al liquido rovesciatosi dal vaso, non perdendo il sorriso di chi, a un pelo dalla fine, era quasi riuscito ad afferrare il Mistero che se lo stava trascinando via.

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