Magonzo ha scritto:
questa è una domanda sulla "purezza" deontologica di una professione, per quanto discutibile;
Sono d'accordo su quello che hai scritto, ma il mio discorso non c'entra con la deontologia.
Uno psicologo può scegliere la sua professione per ragioni inconsce che hanno a che fare con il percepirsi competenti, potenti e/o capaci di avere un controllo sulla vita ed essere contemporaneamente estremamente abilissimo e onesto nell'esercizio della sua professione.
Tutti scegliamo una certa professione per motivi anche inconsci. Questo non ci rende degli incapaci o dei disonesti.
Quello che bisognerebbe fare secondo me, è non temere di mettersi in discussione su questo punto.
Yale ha scritto:Io, a dire il vero, non ho nemmeno capito la domanda.
In particolare mi è ostico questo passaggio.
NinfaEco ha scritto:
Come fate ad essere sicuri nell'affermare alcune cose o nel negarne altre sulla base della vostra disciplina? Che capacità di approssimazione alla certezza sentite di accordare alle spiegazioni formulate in base ad essa? Nel profondo di voi stessi, come vi fa sentire il possedere questo strumento? È irrilevante rispetto alla vostra persona la sua efficacia?
Riesci a fare un esempio?
Faccio riferimento a più cose, quindi è impossibile chiarire tutto con un solo esempio. Andiamo per gradi.
Fare una diagnosi dopo uno o più colloqui e pianificare una strategia d'intervento ad esempio significa affermare qualcosa a proposito di qualcuno, ricavarne delle conseguenze e presumere che la propria interpretazione sia corretta. Credo che per fare questo sia necessario confidare nello strumento d'indagine che si sta utilizzando. Quindi chiedo a voi fino a che punto confidate in esso e che effetto ha su un terapeupa in quanto persona sentire di avere tra le mani questo strumento che in fondo è uno strumento di potere.
Anche questa seconda parte mi risulta difficile.
NinfaEco ha scritto:
Sono tutte domande che nascono dall'aver percepito talvolta il possesso di questo strumento da parte di alcune persone come qualcosa che apporta distanza umana tra chi loro e chi non lo possiede. Dato che credo che si tratti invece di uno strumento che dovrebbe agevolare il contatto con ciò che è umano, la cosa mi ha lasciato molto perplessa.
Concretamente
chevordì?
Qui confesso che mi fa un po accapponare la pelle l'idea che questa cosa non venga percepita, perchè potrebbe significare che questa distanza umana sussiste davvero.
Spero che dipenda da una mia mancanza di chiarezza e articolo meglio.
Io Ugo, in quanto terapeuta comprendo certe dinamiche, e di fronte a te Pino che ci sguazzi ignorandole mi percepisco come collocato su un livello umano più alto grazie a questa mia consapevolezza. Io Ugo mi sento ijn possesso di qualcosa che può orientarmi e sostenermi, collocandomi al di fuori di certe sfere di rischio e al di sopra di certe debolezze.
Ora, lungi da me dire o lasciar intendere che psicologi, psicoanalisti e psicoterapeuti abbiano necessariamente questo tipo di atteggiamento. Ben conosci la fiducia che ho in certe cose e il mio percorso. Eppure non posso dire di non avere percepito questo in alcune persone. Credo sia onesto ammettere certi rischi professionali... e credo sia utile perchè aiuta a gestirli.
Questo commento invece l'ho compreso e te lo boccio.
NinfaEco ha scritto:
Secondo me non è così. Il rapporto terapeutico è radicalmente diverso da ogni tipo di relazione che può svilupparsi in altri ambiti.
Tra le sue caratteristiche c'è quella proprio di non fornire risposte. Questa è la cosa che fa incavolare molti pazienti, che rivendicano la al loro terapeuta la loro comune umanità, pretendendo contemporaneamente da quest'ultimo una sorta di sovrumanità.
La sovrumanità richiesta terapeuta consiste ad esempio nella sua responsività assoluta ( rispondo sempre, ho una risposta per tutto, ho la risposta giusta).
Ora, dato che in terapia accade questo, può chi sceglie di incarnare il ruolo di terapeuta non confrontarsi con questa realtà?
Io non credo . Quindi:
cosa lo spinge ad assumersene l'onere?
può tale richiesta/attribuzione essere per lui neutra?
può prescindere da essa nella scelta di imboccare un certo percorso professionale?
come si riflette su di lui?
In terapia NON accade questo.
Credo che anche lo psicoanalista fornisca risposte.
È quello che mi disse uno psicoanalista che credo pratichi da prima che nascessi.
"Le risposte sono un onere del paziente. È lui che le elabora nel contesto terapeutico. Non esiste una risposta giusta o una sbagliata. Diffida da chi ne suggerisce".
Io sono d'accordo perchè intendo una terapia come un percorso di risignificazione del proprio vissuto.