(Da Radio3Mondo 5 agosto 2014 ore 11, disponibile nel sito Rai)
Dei giovani ricercatori italiani svolgono in Puglia una indagine di studio sulla sorte degli immigrati impiegati nella raccolta dei pomodori. Prince lo pseudonimo del protagonista del racconto, un cittadino del Gana sbarcato in Italia e approdato nella Puglia.
L’assurdo è che in Gana faceva lo stesso lavoro, la raccolta dei pomodori, ma in modo più umano, come insiste a precisare, lavorando coi familiari, staccando i frutti da ogni pianta, mentre qui è costretto a sbarbare le piante e scuoterle nei cassoni in fretta, per poter arrivare a qualche euro di compenso. Come dice nell’intervista, lavora 25 ore al giorno, ha nostalgia del suo paese, ma è bloccato per mancanza di documenti e risorse e quindi costretto a rimanere lì. Schiavo.
Perché è venuto qui? Rifugiato politico? Macché. Perché i loro pomodori coltivati direttamente, senza sfruttamenti, avevano un loro naturale costo, ma sul mercato internazionale sono poi arrivati altri pomodori a prezzi inferiori, in particolare dalla Puglia, che li hanno fatti fallire. Così è dovuto emigrare e vendersi schiavo proprio ai pugliesi.
Questa storia ci insegna che di tratta degli schiavi si tratta, operata dagli arabi (che con lo schiavismo hanno sempre avuto confidenza) esattamente come tra il XVI e XVIII secolo, quando 12 milioni di africani furono da loro venduti ai colonizzatori occidentali delle Americhe del sud, centro e nord. La mia tesi è che oggi nel Mediterraneo assistiamo alla ripresa di tale pratica, con la complice copertura dei rimbambìti (o peggio) della sinistra, i nostri buonisti, e dei presuntuosi nord europei, convinti questi di poter redimere il mondo dalla miseria materiale e culturale e di convertirlo ai valori occidentali.
Almeno gli europei hanno un ideale da difendere, democrazia e capitalismo, e per questo si accollano il rischio di una immigrazione di massa nei loro paesi. Ed ora tremano.
Patetico invece il caso italiano, paese europeo, ma non capitalista né democratico. Qui semplicemente i più non capiscono il mondo, quello che avviene intorno a loro, nelle loro strade. Si sentono ganzi, i più buoni del creato e non si rendono conto di essere semplicemente i più stupidi.
O forse invece no, c’è un’altra causa. Nella sinistra ex comunista operano retro-pensieri prodotti dalla vecchia propaganda anti-occidentale e anti-democratica, retro-pensieri di cui i poveri compagni sono comodamente inconsapevoli, un inconscio odio anti-capitalistico e anti-democratico, che li porta ad assistere con il piacere della vendetta alla crisi del’Europa e dell’occidente. Senza rendersene conto (?), vogliono la distruzione del proprio paese, che la propaganda comunista gli ha insegnato ad odiare, ed applaudono come scemi gli invasori.
Dei giovani ricercatori italiani svolgono in Puglia una indagine di studio sulla sorte degli immigrati impiegati nella raccolta dei pomodori. Prince lo pseudonimo del protagonista del racconto, un cittadino del Gana sbarcato in Italia e approdato nella Puglia.
L’assurdo è che in Gana faceva lo stesso lavoro, la raccolta dei pomodori, ma in modo più umano, come insiste a precisare, lavorando coi familiari, staccando i frutti da ogni pianta, mentre qui è costretto a sbarbare le piante e scuoterle nei cassoni in fretta, per poter arrivare a qualche euro di compenso. Come dice nell’intervista, lavora 25 ore al giorno, ha nostalgia del suo paese, ma è bloccato per mancanza di documenti e risorse e quindi costretto a rimanere lì. Schiavo.
Perché è venuto qui? Rifugiato politico? Macché. Perché i loro pomodori coltivati direttamente, senza sfruttamenti, avevano un loro naturale costo, ma sul mercato internazionale sono poi arrivati altri pomodori a prezzi inferiori, in particolare dalla Puglia, che li hanno fatti fallire. Così è dovuto emigrare e vendersi schiavo proprio ai pugliesi.
Questa storia ci insegna che di tratta degli schiavi si tratta, operata dagli arabi (che con lo schiavismo hanno sempre avuto confidenza) esattamente come tra il XVI e XVIII secolo, quando 12 milioni di africani furono da loro venduti ai colonizzatori occidentali delle Americhe del sud, centro e nord. La mia tesi è che oggi nel Mediterraneo assistiamo alla ripresa di tale pratica, con la complice copertura dei rimbambìti (o peggio) della sinistra, i nostri buonisti, e dei presuntuosi nord europei, convinti questi di poter redimere il mondo dalla miseria materiale e culturale e di convertirlo ai valori occidentali.
Almeno gli europei hanno un ideale da difendere, democrazia e capitalismo, e per questo si accollano il rischio di una immigrazione di massa nei loro paesi. Ed ora tremano.
Patetico invece il caso italiano, paese europeo, ma non capitalista né democratico. Qui semplicemente i più non capiscono il mondo, quello che avviene intorno a loro, nelle loro strade. Si sentono ganzi, i più buoni del creato e non si rendono conto di essere semplicemente i più stupidi.
O forse invece no, c’è un’altra causa. Nella sinistra ex comunista operano retro-pensieri prodotti dalla vecchia propaganda anti-occidentale e anti-democratica, retro-pensieri di cui i poveri compagni sono comodamente inconsapevoli, un inconscio odio anti-capitalistico e anti-democratico, che li porta ad assistere con il piacere della vendetta alla crisi del’Europa e dell’occidente. Senza rendersene conto (?), vogliono la distruzione del proprio paese, che la propaganda comunista gli ha insegnato ad odiare, ed applaudono come scemi gli invasori.