Tutti abbiamo subito dei torti, delle mancanze, delle privazioni. Il ricordo di questi eventi è acuto, quando l’evento è temporalmente vicino; sfumato – ma non per questo meno condizionante – quando invece l’evento si perde nelle pieghe della memoria. Tuttavia, se rimaniamo aggrappati – consciamente o inconsciamente – alle ferite del passato, alle inevitabili mancanze degli altri, agli errori e ai torti subiti, non possiamo far altro che distruggere la nostra vita. Il vittimismo è una forma molto celata e subdola di distruttività. La differenza tra vittimismo e costruttiva accetazione del torto è sottile. In essa è centrale il ruolo assegnato al nemico, cioè a chi incarna ciò che ci ha leso.
1) Il nemico è il detentore della colpa che giustifica la nostra importanza.
Tutto ciò che l’individuo sperimenta ma che non rientra in quegli aspetti dell’Io ritenuti accettabili è qualcosa che viene vissuto come "esterno", come indotto da altri, con cui non si ha nulla a che vedere salvo il fatto di trovarsi a subirlo: viene a nascere così il totalmente altro da sè.
Ma poichè la nostra personalità non si esaurisce nell’Io cosciente, questa identità è salvaguardata proprio dal costituirsi di questo nemico fuori su cui proiettare tutto il resto.
2) Il nemico è colui che ci spinge e costringe al cambiamento, trasformandosi così in alleato.
E’ la situazione in cui è avvenuto il riconoscimento in sè di parti inconsce spiacevoli o in conflitto con l’Io cosciente, quindi è avvenuta l’accettazione del conflitto.
A queste due accezioni è sottesa una profonda differenza di atteggiamento.
Nella prima c’è un atteggiamento negativo, nel senso di volto alla negazione del conflitto come evento naturale e a noi connaturato, un atteggiamento che nega il senso evolutivo ed esistenziale del dolore, della fatica, della tensione che la vita stessa in sè porta.
Nella seconda riconosciuta l’impossibilità di risolvere la tensione facendo fuori il nemico, viene ricercata la sintesi oltre il conflitto.
E’ il passaggio dalla negazione o rimozione del conflitto alla tensione verso il superamento dello stesso.
Pochi notano questo.
raramente ci si accorge del potere esercitato tramite il vittimismo.
Il vittimismo è distruttivo e autodistruttivo.
1) Il nemico è il detentore della colpa che giustifica la nostra importanza.
Tutto ciò che l’individuo sperimenta ma che non rientra in quegli aspetti dell’Io ritenuti accettabili è qualcosa che viene vissuto come "esterno", come indotto da altri, con cui non si ha nulla a che vedere salvo il fatto di trovarsi a subirlo: viene a nascere così il totalmente altro da sè.
Ma poichè la nostra personalità non si esaurisce nell’Io cosciente, questa identità è salvaguardata proprio dal costituirsi di questo nemico fuori su cui proiettare tutto il resto.
2) Il nemico è colui che ci spinge e costringe al cambiamento, trasformandosi così in alleato.
E’ la situazione in cui è avvenuto il riconoscimento in sè di parti inconsce spiacevoli o in conflitto con l’Io cosciente, quindi è avvenuta l’accettazione del conflitto.
A queste due accezioni è sottesa una profonda differenza di atteggiamento.
Nella prima c’è un atteggiamento negativo, nel senso di volto alla negazione del conflitto come evento naturale e a noi connaturato, un atteggiamento che nega il senso evolutivo ed esistenziale del dolore, della fatica, della tensione che la vita stessa in sè porta.
Nella seconda riconosciuta l’impossibilità di risolvere la tensione facendo fuori il nemico, viene ricercata la sintesi oltre il conflitto.
E’ il passaggio dalla negazione o rimozione del conflitto alla tensione verso il superamento dello stesso.
Pochi notano questo.
raramente ci si accorge del potere esercitato tramite il vittimismo.
Il vittimismo è distruttivo e autodistruttivo.