Lady Joan Marie ha scritto:E' interessante quello che dici, specialmente quando affermi che la civiltà che verrà forse sarà migliore. Chissà se è veramente così!
Non credere che abbia trascurato il tuo commento per mancanza d'interesse ad esaudire ciò che interroghi. Al contrario, è dal momento del tuo intervento che ricerco come riordinare nella maniera più organica possibile tutte le implicazioni che la tua richiesta m'impone di vagliare, provando a correlare tutte le informazioni sin qui ponderabili.
Già partendo da questo presupposto si evidenzia come, per stabilire cosa "sia" da cosa "non sia", è irrinunciabile la nostra adesione ad un principio cardine, che definiremo la legge "prima" di tutte le cose, che consiste nel delineare la forza della struttura come emanazione di un dettame gerarchico. Quindi ridiscendere più o meno vorticosamente dal punto privilegiato in cui ci si era posti (nell'esordio di questa discussione), dove idealmente vi si era proiettato in un mare di uguaglianza tutte le cose da noi percepite, che però, proprio perché in noi infuse, assimilate, filtrate, queste si arricchiscono o di degradano, ponendosi per necessità di evidenza a diversi livelli d'interferenza, a seconda se riflettano più le nostre mechinerie o le nostre prodezze.
La condizione gerarchica acquisisce così preminenza perché subito allocata di fianco al diritto alla vita, dacché prima d'essere pure essenze che s'inebriano d'immenso o all'opposto, meri elementi in un marasma denso, siamo individui compartecipi di ciò che ci è similare.
Le similitudini sono il primo cerchio dove trarre la pienezza dell'esistenza e la vita stessa non è altro che la durata nel compimento di questo cerchio, ovvero la necessità della vita consiste nel delinearne questi confini.
Solitamente la perdizione nel disorientarsi sta proprio nell'alterata percezione di questo contenitore, che è poco più esterno al proprio corpo, cosicché non distinguere questo limite è come non distinguere la finitezza delle propaggini dei propri arti, o del proprio respiro o del proprio pensiero.
E il senso critico è figlio di questo legame: del complesso gerarchico ove s'innesta la propria inflessione vitale.
Non è tutto detto,anzi sono le parole la prima origine di equivoco, vuoi perché sono belle e ci confortano col loro suadente afflato che nell'avvilupparci, deducono un animo interiore - non sapremmo di esserci se avessimo il timore di farle risuonare in noi. O non sapremmo cosa essere, senza valutare il sommerso che emerge tramite esse - vuoi perché l'equivoco è l'unico prezzo accettabile per conoscere il nostro grado di adesione alla verità. Perché le parole assumono un proprio senso a seconda della cerchia di emancipazione o di corruttela dove agiscono da collante fra le varie cerchie d'individui (mi riferisco ai linguaggi che le persone reinventano in base al contesto, per es. i linguaggi tecnici, gergali, etc.). Ma non voglio procedere oltre in questo senso, piuttosto desidererei centrare alcuni punti.
Dopo aver stabilito che: "in una struttura gerarchica la vita individuale acquisisce senso se criticamente sa valutare la propria cerchia delle similitudini riferendosi alle evidenze", avremmo detto una mezza verità. Sino a quando non si chiarisca cosa siano le "evidenze".
Nella mia personale impressione, tutti i "moti di luogo", che ho tentato di delineare sin qui (e se includessi tutte le discussioni nelle quali mi sono inserito, direi che non ho lasciato nulla d'intentato) che sono pensieri, ricordi, parole, emozioni, concetti, ideali, insomma tutto ciò che può provocare sommovimento interiore, hanno avuto luogo finché il tempo era dalla sua parte. Quindi sin quando c'era l'esigenza di simulare situazioni per mettere in discussione la percezione (o la capacità di discernimento). Ma a un dato momento, tutto ciò ha il potere di trasfigurarsi, o meglio, evolversi in un termine che prendo in prestito, e si tramuta in appercezione - la nuova "App" vecchia quanto il mondo del "credere in sè".
Tra i tanti autori verso i quali sono stato indotto ad esercitarmi, sono al momento approdato su Weininger, del quale più che "Sesso e carattere" ho preso in considerazione il suo "Delle ultime cose" dove traggo come sintesi il principio che "Dio è in chi crede in se stesso". Ma ripeterlo come in ciclostile è soggetto a ulteriori equivoci e abbisogna di un fare in sè costruttivo per non limitarne la portata. Si diceva poco sopra di dare senso all'esistenza riconoscendo il contenitore dove concentrare i propri limiti e allora io provo alla mia maniera nell'accorpare il mio excursus sui suoi "Aforismi" e nel suo "Sull'irreversibilità del tempo" in un brevissimo sunto: "ogni atto che scaturisce è pregno di valore", suddivisibile in quattro livelli generali: 4°- negativo inferiore; 3°- negativo superficiale; 2°- positivo fondamentale; 1°- positivo supremo. Dove i due gradi del bene sono per una linea sottile distinti dai due gradi speculari del male, che sono cruciali in quanto ciò che si reputa migliore si alterna in un continuo oscillare con ciò che si reputa da invidiare. Forse parrà arbitrario, ma è l'eterno contendere tra l'essere ("io" tendente a migliorarsi) con l'avere (soggettivarsi nell'oggetto bramato). Chiaro che nel suo saggio Weininger tratti anche sulla paura contrapposta al desiderio e a come dovrebbero costituire sia motore che freno inibente.
Ma nella mia volontà di catalogare concetti, rilevo la medesima insufficienza, che lo stesso autore lamenta non solo nella speculazione filosofica, ma nella storia della filosofia e del pensiero tutta, allorquando a dei postulati si voglia affidare il potere della logica per poi connotarli nel quadro delle volontà deterministiche e risolutive.
E' in questo ulteriore livello - che considero regione d'approdo - ove si annovera la dimora di Dio nell'uomo. E' un luogo del cervello dove le connessioni si saturano e rilascia all'organismo un senso di completezza e "avvertenza" di lungimiranza. Si ribaltano le carenze passate, convertendole in beneficio per l'immediato, esautorando le spossatezze che il corpo rimargina in considerazione di prossimi campi d'azione già rimarcati.
La conoscenze scientifiche di un secolo fa non avrebbero potuto confortare Weininger, mentre noi oggi sappiamo come le interconnessioni sinaptiche s'infittiscano in quelle regioni preposte alla risoluzione del problema. Sono dette protuberanze e creano veri e propri inspessimenti sulla corteccia ove influisce un'attività elettrica relazionata tra tensioni di "popolazioni" di neuroni e le "onde" di superficie che queste innescano.
Se ci si ripete lo stesso dilemma quotidianamente per un dato periodo, si perverrà ad una strategia, grazie alla memoria che agisce esponenzialmente. Per questo la funzione della preghiera come atto di devozione è risolutiva per le controversie quotidiane, pèoiché profonda riflessione in se stessi. Non certo per ottenere miracoli.
E per conseguenza a questa proprietà che si deve rispetto alla memoria degli anziani come eccezionali "elaboratori" in carne e ossa (sapienza esperienziale) e di rimando si deve assoluta riverenza per le culture millenarie, con il loro bagaglio inestimabile.
Weininger si propone una digressione sulla "cultura" che ci darebbe lo spunto per stabilirne il valore. Se ci riferiamo alla cultura d'intrattenimento verso la noia come male quotidiano, ci accorgeremmo che essa è funzionale ad un certo grado di livello. Se ci proponiamo la cultura speculativa verso la soddisfazione esistenziale, ugualmente sarà funzionale entro limiti d'azione più ampi. Perciò viene prima la filosofia della politica, che detta l'economia. E a seguire tutto il resto (la religione la considero l'unione tra le scienze naturali con l'arte applicata, quindi onnicomprensiva atutti i livelli di relazione umana).
Nel dovere di reificare i valori culturali, ripropongo pensiero ripreso da S.Agostino:
"i concetti biblici hanno per obiettivo di trasmettere dei simboli esteriori, perché la massa non intende il linguaggio delle rappresentazioni astratte superiori. E' per questo che conviene rivelare la creazione del mondo sotto forma d'immagini, adattata alle rappresentazioni popolari".Quindi la Bibbia è preposta sia all'edificazione dell'umanità, quanto al buon grado di accettazione da parte delle masse.
E in ultima analisi volevo distinguere la "devozione" dalla "superstizione". Che le pongo sulla stessa linea di demarcazione dove oscillano la "dedizione a migliorarsi" con il "vezzo a invidiare".
Sono sia la devozione che la dedizione a migliorarsi un'attenzione a quanto della propria memoria si predilige evidenziare. Le evidenze a cui si accennava in principio, che costituiscono il peso specifico (le prodezze) da controbilanciare alla superstizione e il vezzo a invidiare (le meschinerie).
Si tratta di una zona acclusa alla coscienza di ognuno, che si forma e inspessisce nel tempo e relazionata nel contesto dove si agisce. Più ampia sarà la correlazione col contesto e più gravoso ne risulterà il peso. Va detto che la memoria negli individui si distingue in m. a breve termine e m. a lunga gittata, ma differisce dall'uno all'altro per i gradi di affiliazione che riesce ad accorpare. Un individuo che annoveri fra i propri ricordi il conseguimento di ampi campi d'azione, beneficierà di un buon margine di dominanza, dettando la struttura gerarchica da cui le successioni si dipartono.
In definitiva, la verità giudicante è libera interpretazione di uomini e donne al colmo di una piramide.
Non volevo essere prolisso, ma per una volta me lo sono concesso e comunque ci sarebbero altri due o tre concetti da aggiungere... forse alla prossima volta.