Galadriel ha scritto:Non ho mai immaginato il suicida ne come un vigliacco ne come qualcuno che compiva un atto di coraggio.
Tantomeno me lo sono mai rappresentato come una persona che in quel momento non era padrone di sè.
Lo immaginavo come una persona freddamente consapevole di non poterci più essere, per sue incapacità.
Lo immaginavo capace di fare un sorriso appena accennato, dolce e tristissimo, come li vedevo sul viso di mio padre quando si rivolgeva in me, consapevole del peso della sua morte imminente.
Penso che si senta di non poter semplicemente più sostenere la vita pur amandola ancora.
Non è detto che una persona in quel momento sia padrona di sé, come non è detto che scelga di morire per incapacità di far fronte agli eventi, o che ami la vita.
Un po' di coraggio ci vuole, per decidere consapevolmente di abbandonare la vita, anche se le motivazioni
potrebbero rivelare un fondo di vigliaccheria. Le ragioni per cui uno può scegliere di non stare al mondo sono molteplici e secondo me riconducibili, in via del tutto generale, al peso
percepito della sofferenza rispetto alla soddisfazione. Il tutto non nel passato, né nel presente, ma a livello di aspettativa futura, per quanto essa sia indubbiamente condizionata dalle esperienze attuali e pregresse.
Quindi in tale scelta io vedo in gioco diversi fattori che attengono alla sensibilità (in quanto tale, soggettiva) della persona riguardo:
- alla propria condizione di vita, che può variare di molto a parità di condizioni
oggettivamente rilevabili;
- alle proprie speranze di riscatto, sulle quali gravano aspetti
percepiti esogeni (cioè esterni alla propria possibilità d'intervento), ed endogeni (cioè su cui la persona pensa di poter agire).
In questa classificazione entra anche la percezione delle proprie capacità e dei ruoli della cerchia delle persone più vicine al soggetto, sempre nei ruoli che vengono da esso soggettivamente percepiti, indipendentemente dal livello di accordo da parte di un osservatore esterno (o di un campione rappresentativo di osservatori).
CignoNero ha scritto:Il suicidio è un atto estremamente egostico, perchè in quel momento te ne sbatti di chiunque, ci sei solo tu, e non c'è chi resta, non c'è quello che resta, non c'è niente, c'è solo quello che vuoi tu, ed in quel momento vuoi la fine di qualcosa che non sai più gestire, di una vita che non senti tua, di un dolore così forte che nemmeno urlandolo sei in grado di esorcizzarlo.
Sì, a volte è così. Ma ad esempio nel caso di Welby, che materialmente non si è ucciso perché non ne era in grado, ma ha scelto consapevolmente la morte, resti ancora della stessa idea?
Non è nemmeno detto che lo si premediti, almeno non da giorni.
Infatti. Questo succede soprattutto fra gli adolescenti, o comunque fra caratteri con una struttura ancora non ben formata.
Massimo Vaj ha scritto:Brutalmente li risolve invece.
I nostri problemi non esistono senza di noi.
E se esiste un problema senza che esistiamo noi esso avrà lo stesso rapporto con noi di ciò che è accaduto nel tempo prima di noi e di ciò che accadrà dopo.
Diceva Epicuro: non ha senso temere la morte, perché quando ci siamo noi non c'è la morte e quando c'è la morte non ci siamo noi.
La nostra vita è forse un dovere verso altri?
L'egoismo ci aiuta a vivere, ci fa scegliere e anche morire.
L'egoismo è una forza vitale in realtà, non una colpa.
Se apparisse chiaro ai nostri occhi come quanti atti comunemente giudicati profondamente altruistici siano in realtà dettati dal più inveterato egoismo, ne resteremmo sbalorditi.
Massimo Vaj ha scritto:Io stesso ho avuto nel reparto dove prestavo servizio un giovane che si è gettato sotto alla metro per delusione d'amore. Sembrava una propaganda delle cerniere, dai tanti punti di sutura che aveva. Io lavoravo nel reparto delle patologie gravi e fatali del Don Gnocchi di Milano. Oggi quel ragazzo è sposato con la fisioterapista che l'ha curato e si è comprato una motocicletta. Quando stava messo malissimo io lo misi sulla mia moto da trial, che era molto bassa e con la frizione morbidissima che lui riusciva a schiacciare a malapena, ma la cosa lo riempì di speranza. Anni più tardi mi telefona la portineria avvertendomi che c'era una sorpresa per me. Antonio mi aspettava all'uscita in sella a una Yamaha 500 due tempi da 250 Km all'ora, e mi ha accompagnato a casa.
Ecco, questo è uno di quei casi che faccio fatica a comprendere.
L'istinto mi ha fatto ricordare il personaggio, letterario ma non troppo, di Guido Speier (cognato di Zeno, protagonista del romanzo di Svevo) che periodicamente, quando si trovava a corto di soldi, inscenava il suicidio assumendo farmaci in dosi sufficientemente basse da permettere al medico di intervenire per salvarlo. Morì solo nella circostanza di una forte precipitazione, che aveva intrappolato nel fango la carrozza del medico, impedendogli di arrivare in tempo.
Ma si tratta di una semplice associazione mentale, il paragone evidentemente non sussiste. Quel ragazzo, spinto dall'impulso o meno, non si è buttato di sotto per un gesto dimostrativo: voleva evidentemente farla finita.
Tuttavia, ci sono molti modi per ammazzarsi, anche con certezza matematica. E se uno ha proprio deciso di togliersi di mezzo, almeno faccia in modo di riuscirci. In caso contrario rischia delle menomazioni serie che saranno di peso non solo a lui, ma anche agli altri. E non potrà dirsi incolpevole quanto Welby.
Quel ragazzo è stato molto fortunato a cavarsela, e dev'essere grato molto più degli altri a quella vita che ha trattato con tanta dabbenaggine.
Spaitek ha scritto:Il suicidio, talvolta, dovrebbe essere riconosciuto come un diritto.
Sono d'accordissimo, anche senza talvolta. Nessuno di noi ha chiesto di nascere, almeno fino a prova contraria.
CignoNero ha scritto:In un modo o nell'altro tutti i giorni siamo numeri per le statische di qualcosa e di qualcuno. In un modo o nell'altro, per fortuna, per alcuni sei decisamente di più di una statistica. Se te ne freghi delle persone che non ti considerano una statistica, figurati quanto puoi fregartene di chi lo fa.
Mi riconduco a quanto ho accennato sopra sull'egoismo e sull'altruismo, e anche sul diritto al suicidio.
Evidentemente costoro sono prima giunti al punto di restare in vita solo per non dare dolore agli altri, il che è
davvero una forma di altruismo (anche se gli altri nella realtà non dovessero fare una grinza per la mia morte, io mi immagino soggettivamente che non sia così, e quindi rimango per quello, andando contro a quanto il mio egoismo mi comanderebbe). In seguito, questo motivo non è stato più sufficiente.
Anche fra le persone a me care c'è stato qualche suicidio, ma io non mi sognerei mai di rinfacciare loro di essersene fregati degli altri. Hanno operato una loro scelta, una scelta che io ritengo legittima per chiunque e in qualunque momento, e che rispetto in quanto tale.
NinfaEco ha scritto:Io ritengo ci sia una differenza profonda tra il suicidio e quanto invocato da Welby.
Tecnicamente è suicidio anche se Welby, come Eluana Englaro, Terry Schiavo e altri, poteva vivere solo attaccato alle macchine. Suicidio perché, pur potendo continuare a farlo, e pur non avendo materialmente staccato la spina, a differenza loro ha potuto manifestare la scelta consapevole di non voler più vivere.
Poi sulle motivazioni di partenza, e su ciò che per lui era diventata la vita, sono d'accordo con te che ci sia una differenza abissale rispetto a tanti altri casi di suicidio.
Soltanto in un ottica cattolica si tratta di scelte equiparabili.
Quasi. Perché per come si è comportata la chiesa, il "peccato" di Welby è stato ancor più grave di un semplice suicidio senza troppo clamore. Oggi i suicidi ricevono tranquillamente funerali cattolici, ma a lui questo favore è stato negato. Si vede che alla gerarchia non sta bene che qualcuno prima la metta in imbarazzo montando un caso mediatico, e poi chieda un funerale cattolico in quanto -addirittura!- osa professarsi tale. Perché invece scalpita, nella sua magnanimità, per avocare a sé nell'ultimo saluto molti di coloro che risultano cattolici solo perché battezzati, e anche quelli che non lo sono.