MORIRE, DA UN CERTO PUNTO DI VISTA.
"Nessun piano cui non segua un declivio,
nessuna andata cui non segua un ritorno.
Senza macchia è chi rimane perseverante nel pericolo."
Non è la prima volta che mi confronto con il tema della morte, anzi del morire, per non ipostatizzare una realtà che coincide con la persona umana.
Con uno scritto, sia chiaro; poiché nella vita si incontra la realtà del morire a ogni angolo della strada; e nel segreto della meditazione personale non sono capace di liberarmene tanto facilmente. Una sorta di pensiero ritornante, se non proprio un' "ossessione".
So bene che una certa teologia contemporanea un poco irride gli Apparecchi della morte
e le Arti del morire. Roba devota. E con ciò si liquida un problema ed uno stile. L'escatologia quale si presenta oggi in vari trattati teologici o in diverse analisi filosofiche e fenomenologiche, non accetta troppo di considerare i nuovissimi come le cose ultime. E si può esser d'accordo.
Non si tratta di cose, ma del divenire - del farsi o dello sfarsi - definitivo dell'uomo e del mondo.
L'escatologia, poi, quale è offerta specialmente degli studenti della Scrittura, mette con vigore in primo piano il concludersi dell'umanità e del cosmo, non la sorte del singolo.
Già.
Ma dentro in questo scenario smisurato mi colloco io, ti collochi tu.
E, alla fine, interessa certo il destino del genere umano e dell'universo, ma mi concerne in modo unico l'insegnamento che anche Cristo (leggenda narra) attualizzato dalla chiesa sull'esito cui mi sto preparando in modo non delegabile.
E se la riflessione si fa apparentemente più ristretta, pazienza.
Del resto, si tratta di un rischio tutto teorico.
Non si nega lo scenario grandioso del grandioso ritorno di Cristo: vi si cerca, invece, un posto in cui mettersi o in cui, presumibilmente, si sarà trovati. E se la riflessione si fa più accorata, poco male.
Entro nel discorso in prima persona, non per schemi o dentro la ragnatela di allusioni peregrine o di situazioni sapute.
Esporsi alla critica di grandi studiosi o specialisti.
In numerosi studi teologici - algidi talvolta- sembra non solo evitato, ma da bandire qualsiasi fremito di speranza e soprattutto di paura prima della speranza.
E perchè non si dice, eppure si dà per scontato, che alla fine si salvano tutti.
Ma chi è che lo dice? chi l'assicura? ( Noè è noto a tutti come il superstite del Diluvio. La sua rettitudine e l'obbedienza a Dio furono i motivi di questo singolare beneficio).
Non sembra corretto, de resto, mandare a spasso l'impegno di conversione personale, sostituendolo con la trovata di chi si limita a dare buoni consigli a Dio, per chi si e chi no.
Redenzione che egli dovrebbe esprimere.
E perchè l'accento espositivo cade quasi sempre e unicamente su Gesù nel quale tutti gli uomini e tutte le cose si riassumerebbero nell'ultimo giorno della storia, alla parousia. Il che, ancora, ci si può augurare che corrisponda alla realtà, dal momento che il peccato non si pone mai come l'ultima parola nel dialogo religioso. Sembra che il sentimento di una qualche inquietudine debba essere cassato o tolto radicalmente dalla tastiera della fede. Fatti soltanto per avere il diritto inalienabile di ascoltare estatici unicamente andantini svenevoli o nenie zuccherose.
E allora : il Timore. La Paura. La Trepidazione. La Costernazione. Lo Sgomento. Il Panico.
Non ce la fai a misurarti con l'Assoluto.
Vince sempre.
Ho anche il sospetto che, senza accogliere la "giustizia" di Dio, non se ne accolga nemmeno la tenerezza e la bontà. Che senza passare attraverso lo sgomento e la derelizione per la nostra miseria e la nostra vigliaccheria, non si arrivi a niente.
Come poi si combinino questi atteggiamenti contrastanti, e tutta un'altra questione, non lo so.
Però non si può nemmeno negare ciò che non entra nelle poche e striminzite caselle della nostra zucca. Recuperare un pò di dimenticato sbigottimento? senza forzature e artifici.
Alla fine, la paura si impone e dilaga. Come è necessario che sia. Ritorna, molesta e monotona, pressochè come una fissazione, un brutto sogno. (un incubo?).
La paura del morire e del dopo.
Non mi preoccupo più di tanto di darmi un tono quando contemporaneamente son certo che tutti moriremo.
Io sono io. Nessuno può sostituirmi nell'atto di lasciare questo mondo.
E vivo una sola volta.
"Nessun piano cui non segua un declivio,
nessuna andata cui non segua un ritorno.
Senza macchia è chi rimane perseverante nel pericolo."
Non è la prima volta che mi confronto con il tema della morte, anzi del morire, per non ipostatizzare una realtà che coincide con la persona umana.
Con uno scritto, sia chiaro; poiché nella vita si incontra la realtà del morire a ogni angolo della strada; e nel segreto della meditazione personale non sono capace di liberarmene tanto facilmente. Una sorta di pensiero ritornante, se non proprio un' "ossessione".
So bene che una certa teologia contemporanea un poco irride gli Apparecchi della morte
e le Arti del morire. Roba devota. E con ciò si liquida un problema ed uno stile. L'escatologia quale si presenta oggi in vari trattati teologici o in diverse analisi filosofiche e fenomenologiche, non accetta troppo di considerare i nuovissimi come le cose ultime. E si può esser d'accordo.
Non si tratta di cose, ma del divenire - del farsi o dello sfarsi - definitivo dell'uomo e del mondo.
L'escatologia, poi, quale è offerta specialmente degli studenti della Scrittura, mette con vigore in primo piano il concludersi dell'umanità e del cosmo, non la sorte del singolo.
Già.
Ma dentro in questo scenario smisurato mi colloco io, ti collochi tu.
E, alla fine, interessa certo il destino del genere umano e dell'universo, ma mi concerne in modo unico l'insegnamento che anche Cristo (leggenda narra) attualizzato dalla chiesa sull'esito cui mi sto preparando in modo non delegabile.
E se la riflessione si fa apparentemente più ristretta, pazienza.
Del resto, si tratta di un rischio tutto teorico.
Non si nega lo scenario grandioso del grandioso ritorno di Cristo: vi si cerca, invece, un posto in cui mettersi o in cui, presumibilmente, si sarà trovati. E se la riflessione si fa più accorata, poco male.
Entro nel discorso in prima persona, non per schemi o dentro la ragnatela di allusioni peregrine o di situazioni sapute.
Esporsi alla critica di grandi studiosi o specialisti.
In numerosi studi teologici - algidi talvolta- sembra non solo evitato, ma da bandire qualsiasi fremito di speranza e soprattutto di paura prima della speranza.
E perchè non si dice, eppure si dà per scontato, che alla fine si salvano tutti.
Ma chi è che lo dice? chi l'assicura? ( Noè è noto a tutti come il superstite del Diluvio. La sua rettitudine e l'obbedienza a Dio furono i motivi di questo singolare beneficio).
Non sembra corretto, de resto, mandare a spasso l'impegno di conversione personale, sostituendolo con la trovata di chi si limita a dare buoni consigli a Dio, per chi si e chi no.
Redenzione che egli dovrebbe esprimere.
E perchè l'accento espositivo cade quasi sempre e unicamente su Gesù nel quale tutti gli uomini e tutte le cose si riassumerebbero nell'ultimo giorno della storia, alla parousia. Il che, ancora, ci si può augurare che corrisponda alla realtà, dal momento che il peccato non si pone mai come l'ultima parola nel dialogo religioso. Sembra che il sentimento di una qualche inquietudine debba essere cassato o tolto radicalmente dalla tastiera della fede. Fatti soltanto per avere il diritto inalienabile di ascoltare estatici unicamente andantini svenevoli o nenie zuccherose.
E allora : il Timore. La Paura. La Trepidazione. La Costernazione. Lo Sgomento. Il Panico.
Non ce la fai a misurarti con l'Assoluto.
Vince sempre.
Ho anche il sospetto che, senza accogliere la "giustizia" di Dio, non se ne accolga nemmeno la tenerezza e la bontà. Che senza passare attraverso lo sgomento e la derelizione per la nostra miseria e la nostra vigliaccheria, non si arrivi a niente.
Come poi si combinino questi atteggiamenti contrastanti, e tutta un'altra questione, non lo so.
Però non si può nemmeno negare ciò che non entra nelle poche e striminzite caselle della nostra zucca. Recuperare un pò di dimenticato sbigottimento? senza forzature e artifici.
Alla fine, la paura si impone e dilaga. Come è necessario che sia. Ritorna, molesta e monotona, pressochè come una fissazione, un brutto sogno. (un incubo?).
La paura del morire e del dopo.
Non mi preoccupo più di tanto di darmi un tono quando contemporaneamente son certo che tutti moriremo.
Io sono io. Nessuno può sostituirmi nell'atto di lasciare questo mondo.
E vivo una sola volta.