Le avventure di Andreuccio a Napoli
Un giovane di Perugia di nome Andreuccio, figlio di Pietro,di mestiere sensale di cavalli, saputo degli ottimi affari compiuti a Napoli nella vendita di tali bestie sia da corsa,o soma e da guerra, si mise in tasca cinquecento fiorini d’oro e partì insieme ad altri mercanti. In quel tempo, erano i primi anni del MCCC , regnando a Napoli, Carlo II d'Angiò detto lo Zoppo, la città era non solo una capitale, ma anche un grande emporio al quale conveniva gente d'ogni parte.Vi fiorivano i traffici ma anche certe "leghe" di malviventi che davano luogo a ruberie, omicidi, risse e tumulti, mai del tutto sedati e sempre pronti ad esplodere, come le eruzioni del Vesuvio.
Andreuccio, giunto che fu a Napoli, una domenica sera, all’imbrunire, si recò in una buona locanda e, chieste informazioni all’oste. La mattina seguente si recò al mercato. Vide molti cavalli, e altrettanti gliene piacquero, intavolò molte trattative, ma non si accordò con nessuno. Andreuccio, che ben poco si era mosso dai pressi di Perugia e meno ancora conosceva come gira il mondo; per dimostrare la veridicità del suo intento ad acquistare, ingenuamente mostrava spesso qua e là anche se non ve n'era bisogno,la borsa con il denaro. Durante le contrattazioni, mostrando la borsa, attirò le attenzioni di una giovane donna siciliana, molto bella, ma di facili costumi. Senza farsi notare da Andreuccio, gli passò accanto, vide il denaro e pensò fra sé: Chi starebbe meglio di me se avessi quel denaro? E passò oltre.
Con questa giovane era una vecchia anch’essa siciliana che, appena vide Andreuccio, si allontanò da lei e corse ad abbracciarlo affettuosamente. La giovane donna vide e si accostò in disparte ad osservarli. Andreuccio, riconosciuta la vecchia, che era stata sua nutrice, fu felice di rivederla e le fece promettere che sarebbe andata a trovarlo alla taverna. Senza protrarre a lungo il discorso, la vecchia si allontanò e Andreuccio continuò ad occuparsi dei suoi affari, ma quella mattina non comprò nulla.
La giovane, vista la borsa di Andreuccio e la sua familiarità con la vecchia, cercò un modo per avere il denaro, tutti o in parte. Così cominciò a chiedere all’anziana donna informazioni sul giovane; chi fosse, da dove venisse e quali fossero le origini della loro amicizia. La vecchia disse tutto alla giovane donna; accuratamente le raccontò del servizio prestato presso la famiglia di Andreuccio, prima in Sicilia e poi a Perugia, allo stesso modo palesò il motivo del viaggio a Napoli e il luogo dei momentaneo alloggio.
La giovane siciliana, pienamente informata riguardo la famiglia e i nomi dei parenti, mise in atto il suo disegno per appagare la sua cupidigia con l’astuzia. Tornata a casa, affaccendò la vecchia così che non avesse il tempo per tornare da Andreuccio e presa la sua giovanissima serva, che eccellentemente aveva ammaestrato, la mandò all’imbrunire presso l’albergo del giovane. Giunta, si avvicinò ad un giovane per chieder dello stesso, ma fortuna volle che quello fosse proprio Andreuccio. Così la fanciulla lo tirò da parte e disse: Signore, una gentil donna di questa terra, qualora lo vogliate, desidera parlarvi. Il giovane vedendola considerò se stesso da capo a piedi e, ritenendo di essere un ragazzo di bell’aspetto, credette che la donna si fosse innamorata di lui; come se non vi fossero altri giovani di bell’aspetto in tutta la città. Allora Andreuccio, si disse pronto e chiese quindi di conoscere la nobil donna. La fanciulla rispose: Signore quando sarete pronto a venire ella vi aspetta in casa sua. Subitamente il giovane senza lasciare avviso in albergo, disse: Cammina avanti, io ti seguo.
La fanciulla lo condusse a casa della donna, che dimorava in un quartiere chiamato Malpertuglio; la cui fama è dimostrata dallo stesso nome. Il giovane Andreuccio non conoscendo, non sapendo e credendo di essere in un onestissimo luogo si recò dalla donna senza alcun sospetto e mandata avanti la serva entrò nella casa. Salite le scale, la fanciulla corse dalla signora, che precedentemente l’aveva chiamata e disse : Ecco Andreuccio. Il giovane salendo vide la donna davanti le scale ad attenderlo.
Essa, che era molto giovane, autorevole e bellissima in viso, era vestita e ornata decorosamente. La giovane donna quando Andreuccio fu vicino, scese tre scalini,a braccia aperte gli saltò al collo senza alcuna spiegazione, apparendo quasi eccessiva la sua tenerezza. Poi piangendo gli baciò la fronte e con voce commossa disse: O Andreuccio mio, sei il benvenuto! Il giovane meravigliato di tante carezze, stupefatto rispose: Signora voi siate la ben trovata! Quella lo prese per mano, lo porto nella sua sala e, senza dir nulla, lo portò nella sua stanza. Questa profumava di rose, fiori d’arancio e di altro, vi era un bellissimo letto, tende alle finestre, molte vesti appese a pertiche,secondo il costume locale, e altri ricchi e belli arredi. La vista di tale eleganza gli fece credere, ingenuamente, che essa fosse una nobile signora.
I due si misero a sedere su di una cassa posta davanti al letto, e la donna cominciò a parlare: Andreuccio, io sono certa che ti meravigli delle mie carezze e delle mie lacrime poiché non mi conosci e non sai nulla di me. Ora udirai una cosa che ti farà meravigliare; io sono tua sorella. Dio mi ha graziato permettendomi, prima di morire, di conoscere almeno uno dei miei fratelli, sebbene desideri vedervi tutti ora in qualunque momento dovessi morire sta certo che morirò contenta. Forse non hai mai saputo nulla, ma io volevo che tu sapessi. Pietro mio padre e tuo, come credo tu conosca, dimorò a Palermo dove, per la sua bontà e piacevolezza, fu amato da molti che lo conobbero. Ma tra questi che lo amarono tanto, mia madre, che fu una gentil donna ed era allora vedova, fu colei che lo amò di più. Riposto il timore del padre, dei fratelli e l’onore si abbandonò a lui; ne nacqui io, come tu mi vedi. Poi sopraggiunta una ragione, Pietro lasciò Palermo per recarsi a Perugia, lasciò mia madre e me piccolissima ;non cerco più né mia madre né si ricordò di me. Se non fosse stato mio padre, forse lo riprenderei considerando l’ingratitudine mostrata verso mia madre, ma a che serve recriminare? Le cose fatte male e passate sono più facili da riprendere che da correggere: la cosa andò così. Egli mi lasciò, piccola fanciulla a Palermo dove sono cresciuta, mia madre, ricca donna, mi diede in moglie a un uomo di Girgenti. Un gentil uomo di buona famiglia che ora è in viaggio per incontrare gentil uomini suo pari e discutere per l'acquisto di campi di terra coltivati a uliveto.
Ora sono qui, grazie a Dio e con te fratello mio dolce, finalmente ti vedo. E così detto lo riabbracciò e ancora teneramente gli baciò la fronte. Andreuccio udendo la favola, così ordinatamente e astutamente inventata dalla giovane, che parlando balbettava, ricordò che realmente il padre era stato a Palermo. Inoltre, conoscendo per esperienza diretta i costumi dei giovani che amano in gioventù, vedendo le lacrime, i baci e gli abbracci, credette alle parole della donna.
Dopo la donna tacque e il giovane rispose: Signora non deve stranirvi la mia meraviglia. In verità mio padre per qualche ragione, non parlò mai di voi e di vostra madre, o se mai ne parlò non ne ebbi mai notizia, tanto che non sapevo nulla di voi, neanche della vostra esistenza. Mi è tanto più caro l’avervi qui, sorella ritrovata, quanto il saper di non essere più solo; tutto speravo meno che questo. In verità non credo esista buon uomo a cui non dovreste esser cara, tanto meno a me, piccolo mercante. Ma vi prego di chiarirmi una cosa: come sapevate della mia presenza qui? La donna rispose: questa mattina ho saputo di voi da una povera donna che si intrattiene molto presso di me, stette con nostro padre per lungo tempo, a Palermo e poi a servizio vostro Perugia.
Dopo queste parole cominciò a chiedere notizie dei suoi parenti, chiedendo di loro nominandoli uno ad uno. Andreuccio rispose, sempre più convinto della sincerità della donna. Dopo aver parlato a lungo,sotto il sole caldo, la donna fece portare vino e dolci e portò da bere al giovane. In seguito Andreuccio, essendosi reso conto che era ormai ora di cena, cercò di andar via, ma fu trattenuto dalla signora che non lo permise in alcun modo. Turbata, abbracciandolo disse: Lasciami è chiaro che non ti importa niente di me! Incontri una sorella di cui non conoscevi neanche l’esistenza, presso la quale, venendo qui a Napoli, dovresti alloggiare, e scegli di tornare a cenare in una locanda? Voglio che resti a cena con me e, benché manchi mio marito, cosa che molto mi rincresce, saprò da brava donna farti onore. Così Andreuccio, che non sapeva che altro rispondere, disse: Voi mi siete cara come una sorella da sempre conosciuta, ma devo tornare; sarò atteso tutta la sera a cena e mi comporterò scortesemente. Ella allora disse: Dio sia lodato, pensa se non ho in casa una serva che presso l’albergo giunga ad avvisare della tua permanenza qui. Faresti meglio, è tuo dovere, avvisare i tuoi compagni ed invitarli qui, poi qualora volessi andare via saresti in compagnia.
Allora la signora mandò ad avvisare i compagno di Andreuccio, che cambiata repentina idea, dopo molti discorsi, si mise a cenare con Fiordaliso, che con questo nome si era presentata la finta sorella. Astutamente la donna prolungò la cena fino a notte inoltrata così che, terminata la cena il giovane che doveva far ritorno al suo alloggio, ancora fu trattenuto dalla donna. Quella disse che Napoli era una città pericolosa, soprattutto di notte, ancor di più per un forestiero. Inoltre disse che, come aveva mandato a dire che non lo aspettassero a cena, lo stesso aveva fatto per l’alloggio. Egli, credendo a quelle parole, ingannato dal falso rimase a dormire in casa della signora, poiché dopo cena i due si trattennero a lungo a parlare, fino a tarda notte. Poi, accompagnò Andreuccio alla stanza per gli ospiti; lasciò un fanciullo, affinché lo aiutasse nel caso in cui avesse bisogno e si ritirò con le altre donne in un’altra camera.
Faceva molto caldo così Andreuccio rimasto solo, si tolse in fretta il giubbotto, si tolse le brache e si pose a capo del letto. Dovendo soddisfare il naturale bisogno fisiologico, chiamò il fanciullo posto in un angolo della camera, che gli indicò una porta. Il fanciullo disse :andate là dentro. Andreuccio senza il minimo sospetto obbedì; così entrato pose un piede su di una tavola che capovolgendosi lo spinse giù. Grazie a Dio non si fece male, ma benché cadesse dall’alto, cadde nella lurida e puzzolente bruttura di cui quel luogo era pieno, e per bene si insudiciò. Quel luogo, affinché capiate meglio quanto è detto è ciò che segue; era un vicolo stretto, simile a quello fra due case. Inoltre due travi erano poste fra queste e tavole malamente inchiodate fra le quali quella dalla quale cadde il giovane. Ritrovatosi giù nel vicolo, Andreuccio disperato prese a chiamare il fanciullo che, appena si accorse dell’accaduto corse subito ad avvisare la donna.
Essa corsa nella sua camera, iniziò subito a cercare i vestiti contenenti i fiorini, che il giovane portava sempre indosso per paura di essere derubato. Ottenne quel denaro a cui essa, che era di Palermo, fingendosi sorella del perugino, aveva teso il laccio; poi chiuse la porta da cui era caduto i giovane. Andreuccio non avendo alcuna risposta dal fanciullo, cominciò a chiamare più forte, ma invano. Egli, che solo adesso iniziava sospettare dell’inganno, salì sopra il muretto che separava quella fogna a cielo aperto dalla strada e scese nella via. Poi bussò alla porta che aveva ben riconosciuto e iniziò a gridare e bussare fortemente. Così piangendo, come colui che ha ormai chiara la sua sfortuna , cominciò a dire: povero me, in poco tempo ho perso i fiorini e una sorella! Dopo tanti lamenti riprese a bussare alla porta tanto forte da svegliare i vicini che disturbati dalle grida e insofferenti a tale noia presero a lamentarsi.
Una delle serve della donna, in apparenza tutta assonnata, si affacciò alla finestra con tono di rimprovero e disse: Chi bussa laggiù? Oh! Disse Non mi conosci? Io sono Andreuccio fratello di donna Fiordaliso. La serva rispose: Buon uomo, se sei ubriaco va a dormire e torna domattina; non conosco Andreuccio né le stupidaggini che dici, va via per favore e lasciaci dormire.
Come! Disse Andreuccio non sai quello che dico? Si tu sai. Ma se sono fatte così le parentele di Sicilia, dimenticate in poco tempo, restituiscimi almeno i miei vestiti che ho lasciato lì e andrò via volentieri. La serva quasi ridendo rispose: Buon uomo credo che tu stia sognando. Così chiuse la finestra e tornò dentro.
Allora Andreuccio pienamente consapevole dei danni subiti, addolorato convertì la sua rabbia in ira e con violenza ricominciò a picchiare sulla porta. I vicini svegliati dal rumore, lo credettero un seccatore, bugiardo al solo scopo di infastidire quella prostituta. Corsi a noia alle finestre videro che era un forestiero e iniziarono a dire: E’ da maleducati giungere a casa di oneste persone e far tanto rumore ;va con Dio, buon uomo e lasciaci dormire, se non hai risposta da lei, torna domani e non seccare noi di notte, vattene o chiameremo le guardie. Sentite queste parole un uomo che era dentro la casa, ruffiano della signora, che non aveva né visto né sentito, si affacciò alla finestra e con voce grossa, orribile e fiera disse: Chi è laggiù? Andreuccio al suono di quella voce alzò la testa e vide un uomo armato che, per quel poco che capì, mostrava di essere il protettore della siciliana. Aveva una barba nera e folta e, come appena svegliato, sbadigliava stropicciandosi gli occhi. All’uomo Andreuccio rispose senza paura: Io sono fratello di una delle donne che si trovano la dentro; ma quello non gli diede il tempo di rispondere. Più arrabbiato di prima disse: Non rispondo delle mie azioni e se scendo ti riempio di bastonate, fin a che non sarai in grado di muoverti; asino fastidioso e ubriaco, lasciaci dormire stanotte. Così tornò in casa chiudendo la finestra dietro di sé.
Alcuni vicini, che conoscevano bene l’uomo e quale fosse il suo ruolo in quella casa, sotto voce dissero ad Andreuccio: O Dio, buon uomo, vattene via per il tuo bene e non farti uccidere stanotte. Così il giovane, spaventato dalla voce dell’uomo si convinse dalla sincerità dei vicini e, addolorato come nessun altro per aver perso il denaro, imboccò la stessa strada percorsa con la fanciulla e tornò in albergo. Sporco di bruttura e male odorante, pensò di lavarsi al mare, allora voltò a sinistra percorrendo la Ruga Catalana.
Mentre si dirigeva verso la parte alta della città, si trovò davanti due uomini che camminavano tenendo in mano una lanterna. Temendo che fossero guardie o altri uomini male intenzionati, si nascose in un casolare vicino, senza fare rumore. Anche gli uomini entrarono in quel casolare, dove uno dei due lasciò alcuni attrezzi che aveva appesi al collo; poi i due iniziarono a parlare guardandosi intorno. Mentre parlavano uno disse all’altro: E questo cosa vuol dire? Sento la peggior puzza, che io abbia mai potuto sentire. Così dicendo alzò la lanterna e vide il povero Andreuccio.
I due stupefatti domandarono: Chi è là? Il giovane non rispose, ma quelli si avvicinarono con la lanterna e gli chiesero cosa mai facesse li, sporco di bruttura. Andreuccio raccontò loro quello che gli era accaduto, così che i due cominciarono a chiedersi se davvero il giovane fosse stato nella casa del ruffiano Buttafuoco. Rivolgendosi ad Andreuccio uno dei due gli chiese: Buon uomo, anche se hai perso il tuo denaro, ringrazia Dio. E’ stato meglio che tu sia caduto così da non rientrare in casa, perché saresti potuto morire, ucciso nel sonno e derubato. Ma a che serve piangere ora? Non riavrai il denaro, ringrazia il cielo, potresti esser morto; se qualcuno sente, non farne mai parola con nessuno. Detto questo si consultarono e poi gli dissero: noi abbiamo compassione di te e per questo, qualora tu lo voglia, puoi venire con noi a compiere un’ impresa che stiamo andando a fare. Siamo certi che ti toccherà una parte di guadagni, di valore ben superiore rispetto a quanto hai perduto. Andreuccio disperato com’ era accettò.
Quel giorno era stato seppellito un arcivescovo di Napoli, chiamato Monsignor Filippo Minatolo e con lui nella tomba vi erano grandi ricchezze fra le quali un rubino. L’anello al dito del morto era di grande valore, oltre cinquecento fiorini d’oro e i due uomini volevano profanare quella tomba per depredare. Così rivelarono tutto ad Andreuccio il quale, più avido che accorto, si unì a loro e insieme andarono verso la chiesa maggiore. Poiché il giovane era ancora sporco di bruttura uno dei due uomini disse: Non potremmo trovare il modo di pulire costui, così da liberarci dalla puzza? Disse l’altro: Sì, noi siamo nei pressi di un pozzo in cui solitamente è calata la carrucola e un gran secchio, andiamo là e lo laveremo alla svelta. Una volta giunti videro la fune, ma non il secchio; decisero così di calarlo nel pozzo legandolo alla fune. Andreuccio si sarebbe lavato la giù, una volta finito avrebbe scosso la fune, i due lo avrebbero tirato su; e così fecero.
Accadde però che, mentre il giovane si trovava nel pozzo, giunsero delle guardie. Il caldo o qualche inseguimento li aveva spinti al pozzo, alla ricerca di acqua per dissetarsi. I due uomini appena le videro, immediatamente scapparono, sfuggendo alle guardie che nel frattempo si erano avvicinate al pozzo. Quando Andreuccio finì di lavarsi tirò la fune. Le guardie, appoggiate agli scudi di legno, posarono le armi, si tolsero le sopravesti e tirarono su ciò che credevano fosse un secchio d’acqua. Appena Andreuccio si vide vicino alla sponda del pozzo, lasciò la corda e si tirò fuori. Le guardie spaventate lasciarono la fune e scapparono il più lontano possibile. Il giovane si meravigliò e se non si fosse tenuto sarebbe ricaduto nel pozzo, rischiando di farsi male o peggio ancora di morire. Uscito dal pozzo vide le armi che le guardie avevano dimenticato nella fuga, e pensò che appartenessero ai suoi compagni così si meravigliò ancor di più. Avendo paura e non sapendo bene di cosa, senza toccar nulla decise di andarsene, lamentandosi ancora una volta della sua sfortuna.
Stava per andarsene quando si imbattè nei due compagni che stavano andando al pozzo per tirarlo su. Meravigliati di vederlo gli chiesero chi mai fosse stato a tirarlo fuori. Andreuccio rispose che non sapeva e raccontò della sua meraviglie e delle armi trovate. I due resisi conto dell’accaduto presero a ridere, motivarono la fuga e spiegarono chi lo aveva tirato fuori. Era già mezzanotte così senza dire altro, andarono verso la chiesa maggiore dove giunsero facilmente e subito trovarono la tomba. Questa era molto grande, di marmo e con un coperchio di ferro; lo alzarono in modo che potesse entrarvi un uomo. Fatto ciò uno dei due uomini disse: Chi entra dentro? E l’altro rispose: Non io! - Né io- disse il primo dei due entrerà Andreuccio. No non lo farò! Disse il giovane. I due rivolgendosi al giovane dissero: Come non entri! In fede di Dio! Se non lo farai ti daremo tanti colpi in testa, con uno di questi pali di ferro, che ti uccideremo.
Andreuccio spaventato entrò e mentre entrava pensò fra sé: questi mi fanno entrare per ingannarmi. Quando avrò dato loro il bottino, mentre starò uscendo dalla tomba, andranno via e mi lasceranno senza niente. Così pensò di prendersi, prima di tutto, la sua parte e si ricordò dell’anello di cui si era tanto parlato. Appena scese dentro tolse al morto l’anello e lo indossò poi passò tutto ai due; il pastorale, la mitria, e i guanti, spogliandolo fino alla camicia. I due uomini chiesero dell’anello, ma il giovane disse di non aver trovato nulla e li fece aspettare. Ma quelli maliziosi più di lui, continuando a dire di cercare, colto il momento adatto, tirarono via il puntello che sosteneva il coperchio della tomba e lo chiusero dentro. Avvenuto ciò si può immaginare cosa pensò Andreuccio. Egli tentò più volte, col capo e con le spalle, di alzare il coperchio, ma si affaticò invano.
Vinto dalla stanchezza cadde sul corpo morto dell’arcivescovo tanto che chi avesse visto difficilmente avrebbe distinto il vivo dal morto. Appena si riprese cominciò a piangere vedendosi prossimo a una delle due fini, sarebbe morto costretto tra i vermi del defunto a patire la fame, soffocato dalla puzza oppure, nel fortunato caso in cui fosse stato trovato, sarebbe stato impiccato come ladro. Addolorato da questi pensieri, sentì dalla chiesa molta gente che parlava e che, secondo lui, era li per lo stesso motivo che aveva già spinto lui e i suoi compagni. Ebbe molta paura, ma quando quella gente alzò il coperchio della tomba li sentì litigare su chi sarebbe dovuto entrarvi. Nessuno voleva entrare e dopo una lunga discussione un prete disse: Che paura avete? Temete che vi mangi? I morti non mangiano gli uomini; entrerò io. Così il prete pose il petto sull’orlo della tomba, tirò fuori il capo e pose le gambe per scendere giù. Andreuccio visto ciò, si alzò in piedi, afferrò il prete per una gamba e finse di tirarlo giù. Quello spaventato si mise ad urlare, mettendo in fuga gli altri che scapparono come perseguitati da centomila diavoli e lasciarono il coperchio aperto.
Così Andreuccio felice, come non avrebbe mai sperato, si tirò fuori e percorse la strada del ritorno per allontanarsi dalla chiesa. Si avvicinò il giorno e camminando con l’anello al dito, giunse alla marina e si imbattè nel suo albergo. Li trovò i suoi compagni e l’albergatore che per tutta la notte lo avevano atteso con ansia, chiedendosi cosa mai gli fosse accaduto. Andreuccio raccontò loro ciò che gli era accaduto, poi l’oste gli consigliò di andar via da Napoli. Così tornò a Perugia con il suo denaro investito non in cavalli, motivo per cui era a Napoli, ma in un anello.
Un giovane di Perugia di nome Andreuccio, figlio di Pietro,di mestiere sensale di cavalli, saputo degli ottimi affari compiuti a Napoli nella vendita di tali bestie sia da corsa,o soma e da guerra, si mise in tasca cinquecento fiorini d’oro e partì insieme ad altri mercanti. In quel tempo, erano i primi anni del MCCC , regnando a Napoli, Carlo II d'Angiò detto lo Zoppo, la città era non solo una capitale, ma anche un grande emporio al quale conveniva gente d'ogni parte.Vi fiorivano i traffici ma anche certe "leghe" di malviventi che davano luogo a ruberie, omicidi, risse e tumulti, mai del tutto sedati e sempre pronti ad esplodere, come le eruzioni del Vesuvio.
Andreuccio, giunto che fu a Napoli, una domenica sera, all’imbrunire, si recò in una buona locanda e, chieste informazioni all’oste. La mattina seguente si recò al mercato. Vide molti cavalli, e altrettanti gliene piacquero, intavolò molte trattative, ma non si accordò con nessuno. Andreuccio, che ben poco si era mosso dai pressi di Perugia e meno ancora conosceva come gira il mondo; per dimostrare la veridicità del suo intento ad acquistare, ingenuamente mostrava spesso qua e là anche se non ve n'era bisogno,la borsa con il denaro. Durante le contrattazioni, mostrando la borsa, attirò le attenzioni di una giovane donna siciliana, molto bella, ma di facili costumi. Senza farsi notare da Andreuccio, gli passò accanto, vide il denaro e pensò fra sé: Chi starebbe meglio di me se avessi quel denaro? E passò oltre.
Con questa giovane era una vecchia anch’essa siciliana che, appena vide Andreuccio, si allontanò da lei e corse ad abbracciarlo affettuosamente. La giovane donna vide e si accostò in disparte ad osservarli. Andreuccio, riconosciuta la vecchia, che era stata sua nutrice, fu felice di rivederla e le fece promettere che sarebbe andata a trovarlo alla taverna. Senza protrarre a lungo il discorso, la vecchia si allontanò e Andreuccio continuò ad occuparsi dei suoi affari, ma quella mattina non comprò nulla.
La giovane, vista la borsa di Andreuccio e la sua familiarità con la vecchia, cercò un modo per avere il denaro, tutti o in parte. Così cominciò a chiedere all’anziana donna informazioni sul giovane; chi fosse, da dove venisse e quali fossero le origini della loro amicizia. La vecchia disse tutto alla giovane donna; accuratamente le raccontò del servizio prestato presso la famiglia di Andreuccio, prima in Sicilia e poi a Perugia, allo stesso modo palesò il motivo del viaggio a Napoli e il luogo dei momentaneo alloggio.
La giovane siciliana, pienamente informata riguardo la famiglia e i nomi dei parenti, mise in atto il suo disegno per appagare la sua cupidigia con l’astuzia. Tornata a casa, affaccendò la vecchia così che non avesse il tempo per tornare da Andreuccio e presa la sua giovanissima serva, che eccellentemente aveva ammaestrato, la mandò all’imbrunire presso l’albergo del giovane. Giunta, si avvicinò ad un giovane per chieder dello stesso, ma fortuna volle che quello fosse proprio Andreuccio. Così la fanciulla lo tirò da parte e disse: Signore, una gentil donna di questa terra, qualora lo vogliate, desidera parlarvi. Il giovane vedendola considerò se stesso da capo a piedi e, ritenendo di essere un ragazzo di bell’aspetto, credette che la donna si fosse innamorata di lui; come se non vi fossero altri giovani di bell’aspetto in tutta la città. Allora Andreuccio, si disse pronto e chiese quindi di conoscere la nobil donna. La fanciulla rispose: Signore quando sarete pronto a venire ella vi aspetta in casa sua. Subitamente il giovane senza lasciare avviso in albergo, disse: Cammina avanti, io ti seguo.
La fanciulla lo condusse a casa della donna, che dimorava in un quartiere chiamato Malpertuglio; la cui fama è dimostrata dallo stesso nome. Il giovane Andreuccio non conoscendo, non sapendo e credendo di essere in un onestissimo luogo si recò dalla donna senza alcun sospetto e mandata avanti la serva entrò nella casa. Salite le scale, la fanciulla corse dalla signora, che precedentemente l’aveva chiamata e disse : Ecco Andreuccio. Il giovane salendo vide la donna davanti le scale ad attenderlo.
Essa, che era molto giovane, autorevole e bellissima in viso, era vestita e ornata decorosamente. La giovane donna quando Andreuccio fu vicino, scese tre scalini,a braccia aperte gli saltò al collo senza alcuna spiegazione, apparendo quasi eccessiva la sua tenerezza. Poi piangendo gli baciò la fronte e con voce commossa disse: O Andreuccio mio, sei il benvenuto! Il giovane meravigliato di tante carezze, stupefatto rispose: Signora voi siate la ben trovata! Quella lo prese per mano, lo porto nella sua sala e, senza dir nulla, lo portò nella sua stanza. Questa profumava di rose, fiori d’arancio e di altro, vi era un bellissimo letto, tende alle finestre, molte vesti appese a pertiche,secondo il costume locale, e altri ricchi e belli arredi. La vista di tale eleganza gli fece credere, ingenuamente, che essa fosse una nobile signora.
I due si misero a sedere su di una cassa posta davanti al letto, e la donna cominciò a parlare: Andreuccio, io sono certa che ti meravigli delle mie carezze e delle mie lacrime poiché non mi conosci e non sai nulla di me. Ora udirai una cosa che ti farà meravigliare; io sono tua sorella. Dio mi ha graziato permettendomi, prima di morire, di conoscere almeno uno dei miei fratelli, sebbene desideri vedervi tutti ora in qualunque momento dovessi morire sta certo che morirò contenta. Forse non hai mai saputo nulla, ma io volevo che tu sapessi. Pietro mio padre e tuo, come credo tu conosca, dimorò a Palermo dove, per la sua bontà e piacevolezza, fu amato da molti che lo conobbero. Ma tra questi che lo amarono tanto, mia madre, che fu una gentil donna ed era allora vedova, fu colei che lo amò di più. Riposto il timore del padre, dei fratelli e l’onore si abbandonò a lui; ne nacqui io, come tu mi vedi. Poi sopraggiunta una ragione, Pietro lasciò Palermo per recarsi a Perugia, lasciò mia madre e me piccolissima ;non cerco più né mia madre né si ricordò di me. Se non fosse stato mio padre, forse lo riprenderei considerando l’ingratitudine mostrata verso mia madre, ma a che serve recriminare? Le cose fatte male e passate sono più facili da riprendere che da correggere: la cosa andò così. Egli mi lasciò, piccola fanciulla a Palermo dove sono cresciuta, mia madre, ricca donna, mi diede in moglie a un uomo di Girgenti. Un gentil uomo di buona famiglia che ora è in viaggio per incontrare gentil uomini suo pari e discutere per l'acquisto di campi di terra coltivati a uliveto.
Ora sono qui, grazie a Dio e con te fratello mio dolce, finalmente ti vedo. E così detto lo riabbracciò e ancora teneramente gli baciò la fronte. Andreuccio udendo la favola, così ordinatamente e astutamente inventata dalla giovane, che parlando balbettava, ricordò che realmente il padre era stato a Palermo. Inoltre, conoscendo per esperienza diretta i costumi dei giovani che amano in gioventù, vedendo le lacrime, i baci e gli abbracci, credette alle parole della donna.
Dopo la donna tacque e il giovane rispose: Signora non deve stranirvi la mia meraviglia. In verità mio padre per qualche ragione, non parlò mai di voi e di vostra madre, o se mai ne parlò non ne ebbi mai notizia, tanto che non sapevo nulla di voi, neanche della vostra esistenza. Mi è tanto più caro l’avervi qui, sorella ritrovata, quanto il saper di non essere più solo; tutto speravo meno che questo. In verità non credo esista buon uomo a cui non dovreste esser cara, tanto meno a me, piccolo mercante. Ma vi prego di chiarirmi una cosa: come sapevate della mia presenza qui? La donna rispose: questa mattina ho saputo di voi da una povera donna che si intrattiene molto presso di me, stette con nostro padre per lungo tempo, a Palermo e poi a servizio vostro Perugia.
Dopo queste parole cominciò a chiedere notizie dei suoi parenti, chiedendo di loro nominandoli uno ad uno. Andreuccio rispose, sempre più convinto della sincerità della donna. Dopo aver parlato a lungo,sotto il sole caldo, la donna fece portare vino e dolci e portò da bere al giovane. In seguito Andreuccio, essendosi reso conto che era ormai ora di cena, cercò di andar via, ma fu trattenuto dalla signora che non lo permise in alcun modo. Turbata, abbracciandolo disse: Lasciami è chiaro che non ti importa niente di me! Incontri una sorella di cui non conoscevi neanche l’esistenza, presso la quale, venendo qui a Napoli, dovresti alloggiare, e scegli di tornare a cenare in una locanda? Voglio che resti a cena con me e, benché manchi mio marito, cosa che molto mi rincresce, saprò da brava donna farti onore. Così Andreuccio, che non sapeva che altro rispondere, disse: Voi mi siete cara come una sorella da sempre conosciuta, ma devo tornare; sarò atteso tutta la sera a cena e mi comporterò scortesemente. Ella allora disse: Dio sia lodato, pensa se non ho in casa una serva che presso l’albergo giunga ad avvisare della tua permanenza qui. Faresti meglio, è tuo dovere, avvisare i tuoi compagni ed invitarli qui, poi qualora volessi andare via saresti in compagnia.
Allora la signora mandò ad avvisare i compagno di Andreuccio, che cambiata repentina idea, dopo molti discorsi, si mise a cenare con Fiordaliso, che con questo nome si era presentata la finta sorella. Astutamente la donna prolungò la cena fino a notte inoltrata così che, terminata la cena il giovane che doveva far ritorno al suo alloggio, ancora fu trattenuto dalla donna. Quella disse che Napoli era una città pericolosa, soprattutto di notte, ancor di più per un forestiero. Inoltre disse che, come aveva mandato a dire che non lo aspettassero a cena, lo stesso aveva fatto per l’alloggio. Egli, credendo a quelle parole, ingannato dal falso rimase a dormire in casa della signora, poiché dopo cena i due si trattennero a lungo a parlare, fino a tarda notte. Poi, accompagnò Andreuccio alla stanza per gli ospiti; lasciò un fanciullo, affinché lo aiutasse nel caso in cui avesse bisogno e si ritirò con le altre donne in un’altra camera.
Faceva molto caldo così Andreuccio rimasto solo, si tolse in fretta il giubbotto, si tolse le brache e si pose a capo del letto. Dovendo soddisfare il naturale bisogno fisiologico, chiamò il fanciullo posto in un angolo della camera, che gli indicò una porta. Il fanciullo disse :andate là dentro. Andreuccio senza il minimo sospetto obbedì; così entrato pose un piede su di una tavola che capovolgendosi lo spinse giù. Grazie a Dio non si fece male, ma benché cadesse dall’alto, cadde nella lurida e puzzolente bruttura di cui quel luogo era pieno, e per bene si insudiciò. Quel luogo, affinché capiate meglio quanto è detto è ciò che segue; era un vicolo stretto, simile a quello fra due case. Inoltre due travi erano poste fra queste e tavole malamente inchiodate fra le quali quella dalla quale cadde il giovane. Ritrovatosi giù nel vicolo, Andreuccio disperato prese a chiamare il fanciullo che, appena si accorse dell’accaduto corse subito ad avvisare la donna.
Essa corsa nella sua camera, iniziò subito a cercare i vestiti contenenti i fiorini, che il giovane portava sempre indosso per paura di essere derubato. Ottenne quel denaro a cui essa, che era di Palermo, fingendosi sorella del perugino, aveva teso il laccio; poi chiuse la porta da cui era caduto i giovane. Andreuccio non avendo alcuna risposta dal fanciullo, cominciò a chiamare più forte, ma invano. Egli, che solo adesso iniziava sospettare dell’inganno, salì sopra il muretto che separava quella fogna a cielo aperto dalla strada e scese nella via. Poi bussò alla porta che aveva ben riconosciuto e iniziò a gridare e bussare fortemente. Così piangendo, come colui che ha ormai chiara la sua sfortuna , cominciò a dire: povero me, in poco tempo ho perso i fiorini e una sorella! Dopo tanti lamenti riprese a bussare alla porta tanto forte da svegliare i vicini che disturbati dalle grida e insofferenti a tale noia presero a lamentarsi.
Una delle serve della donna, in apparenza tutta assonnata, si affacciò alla finestra con tono di rimprovero e disse: Chi bussa laggiù? Oh! Disse Non mi conosci? Io sono Andreuccio fratello di donna Fiordaliso. La serva rispose: Buon uomo, se sei ubriaco va a dormire e torna domattina; non conosco Andreuccio né le stupidaggini che dici, va via per favore e lasciaci dormire.
Come! Disse Andreuccio non sai quello che dico? Si tu sai. Ma se sono fatte così le parentele di Sicilia, dimenticate in poco tempo, restituiscimi almeno i miei vestiti che ho lasciato lì e andrò via volentieri. La serva quasi ridendo rispose: Buon uomo credo che tu stia sognando. Così chiuse la finestra e tornò dentro.
Allora Andreuccio pienamente consapevole dei danni subiti, addolorato convertì la sua rabbia in ira e con violenza ricominciò a picchiare sulla porta. I vicini svegliati dal rumore, lo credettero un seccatore, bugiardo al solo scopo di infastidire quella prostituta. Corsi a noia alle finestre videro che era un forestiero e iniziarono a dire: E’ da maleducati giungere a casa di oneste persone e far tanto rumore ;va con Dio, buon uomo e lasciaci dormire, se non hai risposta da lei, torna domani e non seccare noi di notte, vattene o chiameremo le guardie. Sentite queste parole un uomo che era dentro la casa, ruffiano della signora, che non aveva né visto né sentito, si affacciò alla finestra e con voce grossa, orribile e fiera disse: Chi è laggiù? Andreuccio al suono di quella voce alzò la testa e vide un uomo armato che, per quel poco che capì, mostrava di essere il protettore della siciliana. Aveva una barba nera e folta e, come appena svegliato, sbadigliava stropicciandosi gli occhi. All’uomo Andreuccio rispose senza paura: Io sono fratello di una delle donne che si trovano la dentro; ma quello non gli diede il tempo di rispondere. Più arrabbiato di prima disse: Non rispondo delle mie azioni e se scendo ti riempio di bastonate, fin a che non sarai in grado di muoverti; asino fastidioso e ubriaco, lasciaci dormire stanotte. Così tornò in casa chiudendo la finestra dietro di sé.
Alcuni vicini, che conoscevano bene l’uomo e quale fosse il suo ruolo in quella casa, sotto voce dissero ad Andreuccio: O Dio, buon uomo, vattene via per il tuo bene e non farti uccidere stanotte. Così il giovane, spaventato dalla voce dell’uomo si convinse dalla sincerità dei vicini e, addolorato come nessun altro per aver perso il denaro, imboccò la stessa strada percorsa con la fanciulla e tornò in albergo. Sporco di bruttura e male odorante, pensò di lavarsi al mare, allora voltò a sinistra percorrendo la Ruga Catalana.
Mentre si dirigeva verso la parte alta della città, si trovò davanti due uomini che camminavano tenendo in mano una lanterna. Temendo che fossero guardie o altri uomini male intenzionati, si nascose in un casolare vicino, senza fare rumore. Anche gli uomini entrarono in quel casolare, dove uno dei due lasciò alcuni attrezzi che aveva appesi al collo; poi i due iniziarono a parlare guardandosi intorno. Mentre parlavano uno disse all’altro: E questo cosa vuol dire? Sento la peggior puzza, che io abbia mai potuto sentire. Così dicendo alzò la lanterna e vide il povero Andreuccio.
I due stupefatti domandarono: Chi è là? Il giovane non rispose, ma quelli si avvicinarono con la lanterna e gli chiesero cosa mai facesse li, sporco di bruttura. Andreuccio raccontò loro quello che gli era accaduto, così che i due cominciarono a chiedersi se davvero il giovane fosse stato nella casa del ruffiano Buttafuoco. Rivolgendosi ad Andreuccio uno dei due gli chiese: Buon uomo, anche se hai perso il tuo denaro, ringrazia Dio. E’ stato meglio che tu sia caduto così da non rientrare in casa, perché saresti potuto morire, ucciso nel sonno e derubato. Ma a che serve piangere ora? Non riavrai il denaro, ringrazia il cielo, potresti esser morto; se qualcuno sente, non farne mai parola con nessuno. Detto questo si consultarono e poi gli dissero: noi abbiamo compassione di te e per questo, qualora tu lo voglia, puoi venire con noi a compiere un’ impresa che stiamo andando a fare. Siamo certi che ti toccherà una parte di guadagni, di valore ben superiore rispetto a quanto hai perduto. Andreuccio disperato com’ era accettò.
Quel giorno era stato seppellito un arcivescovo di Napoli, chiamato Monsignor Filippo Minatolo e con lui nella tomba vi erano grandi ricchezze fra le quali un rubino. L’anello al dito del morto era di grande valore, oltre cinquecento fiorini d’oro e i due uomini volevano profanare quella tomba per depredare. Così rivelarono tutto ad Andreuccio il quale, più avido che accorto, si unì a loro e insieme andarono verso la chiesa maggiore. Poiché il giovane era ancora sporco di bruttura uno dei due uomini disse: Non potremmo trovare il modo di pulire costui, così da liberarci dalla puzza? Disse l’altro: Sì, noi siamo nei pressi di un pozzo in cui solitamente è calata la carrucola e un gran secchio, andiamo là e lo laveremo alla svelta. Una volta giunti videro la fune, ma non il secchio; decisero così di calarlo nel pozzo legandolo alla fune. Andreuccio si sarebbe lavato la giù, una volta finito avrebbe scosso la fune, i due lo avrebbero tirato su; e così fecero.
Accadde però che, mentre il giovane si trovava nel pozzo, giunsero delle guardie. Il caldo o qualche inseguimento li aveva spinti al pozzo, alla ricerca di acqua per dissetarsi. I due uomini appena le videro, immediatamente scapparono, sfuggendo alle guardie che nel frattempo si erano avvicinate al pozzo. Quando Andreuccio finì di lavarsi tirò la fune. Le guardie, appoggiate agli scudi di legno, posarono le armi, si tolsero le sopravesti e tirarono su ciò che credevano fosse un secchio d’acqua. Appena Andreuccio si vide vicino alla sponda del pozzo, lasciò la corda e si tirò fuori. Le guardie spaventate lasciarono la fune e scapparono il più lontano possibile. Il giovane si meravigliò e se non si fosse tenuto sarebbe ricaduto nel pozzo, rischiando di farsi male o peggio ancora di morire. Uscito dal pozzo vide le armi che le guardie avevano dimenticato nella fuga, e pensò che appartenessero ai suoi compagni così si meravigliò ancor di più. Avendo paura e non sapendo bene di cosa, senza toccar nulla decise di andarsene, lamentandosi ancora una volta della sua sfortuna.
Stava per andarsene quando si imbattè nei due compagni che stavano andando al pozzo per tirarlo su. Meravigliati di vederlo gli chiesero chi mai fosse stato a tirarlo fuori. Andreuccio rispose che non sapeva e raccontò della sua meraviglie e delle armi trovate. I due resisi conto dell’accaduto presero a ridere, motivarono la fuga e spiegarono chi lo aveva tirato fuori. Era già mezzanotte così senza dire altro, andarono verso la chiesa maggiore dove giunsero facilmente e subito trovarono la tomba. Questa era molto grande, di marmo e con un coperchio di ferro; lo alzarono in modo che potesse entrarvi un uomo. Fatto ciò uno dei due uomini disse: Chi entra dentro? E l’altro rispose: Non io! - Né io- disse il primo dei due entrerà Andreuccio. No non lo farò! Disse il giovane. I due rivolgendosi al giovane dissero: Come non entri! In fede di Dio! Se non lo farai ti daremo tanti colpi in testa, con uno di questi pali di ferro, che ti uccideremo.
Andreuccio spaventato entrò e mentre entrava pensò fra sé: questi mi fanno entrare per ingannarmi. Quando avrò dato loro il bottino, mentre starò uscendo dalla tomba, andranno via e mi lasceranno senza niente. Così pensò di prendersi, prima di tutto, la sua parte e si ricordò dell’anello di cui si era tanto parlato. Appena scese dentro tolse al morto l’anello e lo indossò poi passò tutto ai due; il pastorale, la mitria, e i guanti, spogliandolo fino alla camicia. I due uomini chiesero dell’anello, ma il giovane disse di non aver trovato nulla e li fece aspettare. Ma quelli maliziosi più di lui, continuando a dire di cercare, colto il momento adatto, tirarono via il puntello che sosteneva il coperchio della tomba e lo chiusero dentro. Avvenuto ciò si può immaginare cosa pensò Andreuccio. Egli tentò più volte, col capo e con le spalle, di alzare il coperchio, ma si affaticò invano.
Vinto dalla stanchezza cadde sul corpo morto dell’arcivescovo tanto che chi avesse visto difficilmente avrebbe distinto il vivo dal morto. Appena si riprese cominciò a piangere vedendosi prossimo a una delle due fini, sarebbe morto costretto tra i vermi del defunto a patire la fame, soffocato dalla puzza oppure, nel fortunato caso in cui fosse stato trovato, sarebbe stato impiccato come ladro. Addolorato da questi pensieri, sentì dalla chiesa molta gente che parlava e che, secondo lui, era li per lo stesso motivo che aveva già spinto lui e i suoi compagni. Ebbe molta paura, ma quando quella gente alzò il coperchio della tomba li sentì litigare su chi sarebbe dovuto entrarvi. Nessuno voleva entrare e dopo una lunga discussione un prete disse: Che paura avete? Temete che vi mangi? I morti non mangiano gli uomini; entrerò io. Così il prete pose il petto sull’orlo della tomba, tirò fuori il capo e pose le gambe per scendere giù. Andreuccio visto ciò, si alzò in piedi, afferrò il prete per una gamba e finse di tirarlo giù. Quello spaventato si mise ad urlare, mettendo in fuga gli altri che scapparono come perseguitati da centomila diavoli e lasciarono il coperchio aperto.
Così Andreuccio felice, come non avrebbe mai sperato, si tirò fuori e percorse la strada del ritorno per allontanarsi dalla chiesa. Si avvicinò il giorno e camminando con l’anello al dito, giunse alla marina e si imbattè nel suo albergo. Li trovò i suoi compagni e l’albergatore che per tutta la notte lo avevano atteso con ansia, chiedendosi cosa mai gli fosse accaduto. Andreuccio raccontò loro ciò che gli era accaduto, poi l’oste gli consigliò di andar via da Napoli. Così tornò a Perugia con il suo denaro investito non in cavalli, motivo per cui era a Napoli, ma in un anello.