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Proserpina gridò spaventata, e Plutone, forse per la prima volta in vita sua, sorrise:
-Non temere- esortò. - E' Cerbero, il mio cane fedele che fa la festa al suo padrone.
Egli accoglie volentieri, a modo suo, tutti coloro che entrano; è feroce soltanto con quelli che tentano di uscire.
Poco più avanti Proserpina trovò un fiume dalle scure acque limacciose, su cui galleggiava una barchetta; ai remi c'era un barcaiolo con una lunga barba bianca.
E' Caronte - spiegò ancora Plutone- Traghetta le anime nell'Ade, ma è Mercurio che le conduce fin qui.
Proserpina si rincuorò : dunque
Mercurio, figlio di Giove, andava e veniva tutti i giorni dalla Terra all'Ade. Quindi si poteva anche uscire!
La fanciulla si asciugò le lacrime e Plutone se ne rallegrò.
-Questo non è poi spaventoso come si dice - spiegò- I malvagi vengono
gettati in una voragine piena di fuoco, ma non possono aspettarsi di meglio dopo i loro delitti.
Coloro che non sono stati nè buoni nè cattivi errano senza meta nei prati di asfodeli.
Ma chi ha seguito il volere degli dei, viene premiato e vive in eterno
nei Campi Elisi, dove brilla il sole e fiorisce la primavera.
- Ma non c'è mia madre!- e Proserpina scoppiò in un pianto dirotto.
Cerere nel frattempo sedeva presso la fonte di Eleusi, quando vide giungere quattro belle fanciulle che portavano un' anfora dorata sulla spalla; venivano ad attingere acqua, e guardarono con pietà la vecchia donna il cui volto disfatto presentava, evidenti, le tracce di un lungo dolore.
- Chi siete?- chiesero piene di compassione. - Possiamo fare qualche cosa per voi?-
Cerere le guardò con dolcezza.
-Sono una povera vecchia- rispose - ma posso ancora guadagnarmi il pane. Non conosco nessuno in questa città, e mi piacerebbe essere accolta in una famiglia dove ci fosse un bambino da allevare.
Le ragazze parlottarono tra loro, poi si allontanarono in fretta verso casa promettendo che sarebbero tornate al più presto.
Erano le figlie di Re Celeo, sovrano di quella città, e avevano appunto un fratellino che si chiamava Demofoonte.
Le fanciulle, giunte alla reggia, riferirono alla madre le parole della vecchia straniera.
-Potrebbe prendersi cura del nostro Demofoonte- commentò Metanira. - Andate alla fonte e conducetela qui.
Le ragazze ubbidirono, e pochi minuti dopo Cerere facevano il suo ingresso nella reggia di Eleusi.
Cerere si affezionò al piccolo figlio degli uomini, e lo amò a tal punto che desiderò renderlo immortale come lei.
Perciò non lo nutriva con il latte, ma soltanto con il nettare e l'ambrosia degli dei
; e ogni notte lo poneva vicinissimo alle fiamme del focolare, affinchè tutte le sue mortali debolezze si dissolvessero.
Metanira era perplessa e preoccupata: il bimbo non mangiava, eppure cresceva forte e sano più di qualsiasi altro bimbo di Eleusi.
Non piangeva, come fanno tutti i bambini, ma ogni notte uscivano rumori strani dalla sua camera.
Una notte per sapere cosa accadeva nella camera, Metanira si appostò dietro una tenda e guardò nella stanza, ma restò esterrefatta: la vecchia donna straniera aveva messo il bambino sulle fiamme ardenti del focolare. Tuttavia Demofoonte rideva succhiandosi un dito come fosse sopra un letto di piume.
Metanira non seppe resistere e irruppe nella camera.
- Che cosa stai facendo a mio figlio, sciagurata?- gridò. Cerere si volse e depose il bambino sul pavimento.
- Volevo farne un dio- spiegò- un essere immortale, allevandolo come sono stata allevata io, che sono una dea
, alle volte terribile. Così dicendo si eresse in tutta la sua maestà divina, e inutilmente Metanira, pentita, le chiese perdono.
Cerere, seppure a malincuore, le restituì il bambino e ripartì sola per il mondo.
E mentre ancora una volta riprendeva il suo lungo e penoso errare, ripensò agli affronti subiti e lentamente si fece strada in lei il desiderio di valersi dei suoi poteri di dea per vendicarsi: non avrebbe più dato ai semi la forza di germogliare, di crescere e di maturare, non avrebbe più fatto fiorire i boccioli.
Nell'olimpo
non avevano pietà di lei, e lei non avrebbe più avuto pietà degli dei dell'Olimpo e nemmeno degli uomini.
Gli uomini non avrebbero più potuto offrire agli dei i prodotti della loro terra e le tenere carni dei giovani agnelli.
Si rifugiò in una grotta e non si curò più di nulla. E così i semi non germogliarono, non crebbero e non maturarono, i boccioli non si schiusero più.
Inutilmente i contadini ararono i campi, li concimarono, gettarono la semente: la maledizione della dea aveva colpito tutta la terra
e in quell'atroce deserto gli uomini, disperati ed affamati, morivano numerosi.
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