Le cosiddette “Beatitudini”, Gesù le ha proclamate nella sua predicazione sulla riva del lago di Galilea. C’era tanta folla e lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò quella predica viene chiamata “discorso della montagna”.
Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come nuovo Mosè che comunica la via della vita, quella via che lui stesso metaforicamente percorre.
La prima delle “Beatitudini evangeliche”, che leggiamo nel Vangelo di Matteo (5,1-12), afferma:
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”(Mt 5,3).
Ma che cosa significa “beati” (in greco makarioi) ? Beati vuol dire felici. E l’aggettivo greco ptochós (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire “mendicante”. Va legato al concetto ebraico di anawim, i “curvati” (gli umili e poveri sconfitti dalla vita), i “poveri di Iahweh”, che confidavano solo in Dio, un Dio “giustiziere”. Abbandono fiducioso in Dio progressivamente focalizzato nell’attesa della venuta redentrice del Messia, l’Inviato definitivo di Dio, il Cristo.
Per il profeta e rabbi di Nazaret, i poveri erano i primi destinatari del Vangelo, della buona notizia del regno di Dio che egli annunciava (cf. Mt 11,5-6; Lc 4,18).
Francesco d’Assisi comprese bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli parlò nella persona del lebbroso e nel crocifisso, egli riconobbe la grandezza di Dio e la propria condizione di umiltà. Rifiutò la vita agiata per “ sposare Madonna Povertà”, per imitare Gesù e seguire il Vangelo. Francesco ha vissuto l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.
Trasformare la “povertà in spirito” in stile di vita significa cercare di essere liberi dalle cose, a non cedere alla cultura del consumo, a vivere con sobrietà e solidarietà, non con l’indifferenza verso gli altri.
Ma tra il dire e il fare, come si suol dire, c’è di mezzo il mare….
Nel significato non letterale vanno intesi anche altri strani ed imbarazzanti appelli di Gesù alla povertà. Due esempi:
“Se vuoi essere perfetto vai, vendi tutti i tuoi averi, dalli ai poveri e seguimi” (Mt 19, 21).
“E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli” (Mt 21, 24).
Ci sono anche altri stupefacenti inviti simili. Però è necessario tener presente che i vangeli non ci sono giunti in forma originale ma rielaborati nel tempo da più mani.
I primi isolati predicatori cristiani, “carismatici vaganti”, seguivano alla lettera il vero o presunto messaggio pauperistico di Gesù e vivevano in modo errabondo in Galilea, Giudea e, successivamente, in Siria, ma avevano poca presa nelle comunità urbane.
Ci vollero secoli perché la religione cristiana che insegnavano, riorientata nel tempo per adattarla alla loro contemporaneità, conquistasse le classi sociali “medie”. Nel IV secolo il cosiddetto editto (è un rescritto) costantiniano rese lecito il culto cristiano, fra gli altri culti permessi, e ci volle l’imperatore Teodosio I per imporre il cristianesimo come religione di Stato, con conseguenti carneficine dei cristiani verso i pagani.
Nei secoli di decadenza dell’impero romano d’Occidente e di crescente egemonia del cristianesimo ci fu la transizione da un modello di società in cui i poveri erano in gran parte “invisibili” ad un altro in cui ebbero un ruolo nell’immaginario collettivo ma non nella realtà sociale ed economica.
Era interesse della propaganda cristiana esaltare il ruolo dei poveri, perché funzionale alla leadership dei vescovi. Per acquisire potere presentavano le proprie azioni come una risposta alle necessità di un’intera categoria, quella dei poveri, che sostenevano di rappresentare.
La nuova ideologia religiosa dominante rivendicava il merito di aver messo radici nella parte infima della società tramite la cura vescovile dei poveri. Simile alla cosiddetta “tutela dei diritti umani” nella società a noi contemporanea. E’ uno “strumento” retorico attraverso cui oggi alcune ideologie giustificano e propagandano la loro “politica”.
Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come nuovo Mosè che comunica la via della vita, quella via che lui stesso metaforicamente percorre.
La prima delle “Beatitudini evangeliche”, che leggiamo nel Vangelo di Matteo (5,1-12), afferma:
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”(Mt 5,3).
Ma che cosa significa “beati” (in greco makarioi) ? Beati vuol dire felici. E l’aggettivo greco ptochós (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire “mendicante”. Va legato al concetto ebraico di anawim, i “curvati” (gli umili e poveri sconfitti dalla vita), i “poveri di Iahweh”, che confidavano solo in Dio, un Dio “giustiziere”. Abbandono fiducioso in Dio progressivamente focalizzato nell’attesa della venuta redentrice del Messia, l’Inviato definitivo di Dio, il Cristo.
Per il profeta e rabbi di Nazaret, i poveri erano i primi destinatari del Vangelo, della buona notizia del regno di Dio che egli annunciava (cf. Mt 11,5-6; Lc 4,18).
Francesco d’Assisi comprese bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli parlò nella persona del lebbroso e nel crocifisso, egli riconobbe la grandezza di Dio e la propria condizione di umiltà. Rifiutò la vita agiata per “ sposare Madonna Povertà”, per imitare Gesù e seguire il Vangelo. Francesco ha vissuto l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.
Trasformare la “povertà in spirito” in stile di vita significa cercare di essere liberi dalle cose, a non cedere alla cultura del consumo, a vivere con sobrietà e solidarietà, non con l’indifferenza verso gli altri.
Ma tra il dire e il fare, come si suol dire, c’è di mezzo il mare….
Nel significato non letterale vanno intesi anche altri strani ed imbarazzanti appelli di Gesù alla povertà. Due esempi:
“Se vuoi essere perfetto vai, vendi tutti i tuoi averi, dalli ai poveri e seguimi” (Mt 19, 21).
“E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli” (Mt 21, 24).
Ci sono anche altri stupefacenti inviti simili. Però è necessario tener presente che i vangeli non ci sono giunti in forma originale ma rielaborati nel tempo da più mani.
I primi isolati predicatori cristiani, “carismatici vaganti”, seguivano alla lettera il vero o presunto messaggio pauperistico di Gesù e vivevano in modo errabondo in Galilea, Giudea e, successivamente, in Siria, ma avevano poca presa nelle comunità urbane.
Ci vollero secoli perché la religione cristiana che insegnavano, riorientata nel tempo per adattarla alla loro contemporaneità, conquistasse le classi sociali “medie”. Nel IV secolo il cosiddetto editto (è un rescritto) costantiniano rese lecito il culto cristiano, fra gli altri culti permessi, e ci volle l’imperatore Teodosio I per imporre il cristianesimo come religione di Stato, con conseguenti carneficine dei cristiani verso i pagani.
Nei secoli di decadenza dell’impero romano d’Occidente e di crescente egemonia del cristianesimo ci fu la transizione da un modello di società in cui i poveri erano in gran parte “invisibili” ad un altro in cui ebbero un ruolo nell’immaginario collettivo ma non nella realtà sociale ed economica.
Era interesse della propaganda cristiana esaltare il ruolo dei poveri, perché funzionale alla leadership dei vescovi. Per acquisire potere presentavano le proprie azioni come una risposta alle necessità di un’intera categoria, quella dei poveri, che sostenevano di rappresentare.
La nuova ideologia religiosa dominante rivendicava il merito di aver messo radici nella parte infima della società tramite la cura vescovile dei poveri. Simile alla cosiddetta “tutela dei diritti umani” nella società a noi contemporanea. E’ uno “strumento” retorico attraverso cui oggi alcune ideologie giustificano e propagandano la loro “politica”.