Perché questo è l'ostacolo, la crosta da rompere: la solitudine dell'uomo - di noi e degli altri.
(C. Pavese, Saggi letterari)
La solitudine è una condizione psicologica che nasce dalla mancanza di significativi rapporti interpersonali o dalla discrepanza tra le relazioni umane che un soggetto desidera avere e quelle che effettivamente ha, le quali possono essere insoddisfacenti per la loro natura, per il loro numero, o per incapacità del soggetto stesso a stabilire o a mantenere rapporti positivi e significativi con gli altri.
C'è un senso in cui la solitudine è un dato ineludibile dell'esistenza umana che non può mai uscire dal suo mondo e dal suo modo di percepire e vedere le cose; questa situazione, che la filosofia chiama solipsismo, sottolinea l'invalicabilità della coscienza personale.
C'è poi una solitudine scelta come stile di vita per favorire esperienze di senso ulteriore a quello comunemente condiviso, e una solitudine che deriva dalla percezione del mondo come ostile, negativo o indifferente e che induce a rifugiarsi presso di sé per aver tagliato i legami con tutto, l'esistenza trovandosi così nell'impossibilità di conferire altro senso a se stessa che non sia quello della prigionia nella propria individualità.
Queste tre forme di solitudine sono state descritte dalla fenomenologia come finitezza dell'esistenza, pienezza dell'esperienza e vuoto d'esperienza, in base al loro rapporto con la vita e il suo significato.
Come giudicare queste solitudini?
Esse sono in relazione o in legame di causazione o ancora svincolate?
La loro valenza è di segno positivo o negativo?
Cosa poi accade alòla psiche della persona sola, in ciascuno dei 3 sensi rispettivamente o ancora, cosa l'ha resa sola in tal senso?