Chi è affetto da depressione cade nel pozzo del silenzio o si chiude in un’espressione
irreparabilmente cupa e inquieta: niente piace, niente attrae, niente soddisfa, niente interessa.
La situazione temporale è intrappolata in una
sorta di sospensione. La realtà psichica
offre un paesaggio in cui il presente si dilata desolante
disperato, il passato lontanissimo risplende
di ogni bene perduto o si carica di connotazioni di
colpa, il futuro inesistente diviene un buco nero.
Il danno depressivo isola il paziente dal contesto
immergendolo in una dimensione psichica luogo
di una oscillazione circolare e continua fra sentimenti
fortemente ambivalenti, tra vissuti di perdita
da cui il paziente dipende in vari modi e vissuti (e
manifestazioni) di negazione tramite l’uso di arcaici
ed estatici meccanismi onnipotenti.
Il tempo nello stato maniacale è un assoluto presente senza passato e senza futuro. Questo modo di temporalizzarsi produce una frammentazione che rende impossibile la costruzione di una storia interiore e la tendenza a rapportarsi alla vita in modo estensivo, volubile e strumentale. Il tempo appare quindi più corto, ma anche lo spazio più piccolo.
Nella psicosi il tempo è immobile, puramente interiori. La sua scansione segue quella del mondo interno dal paziente, alternando rapidità e stasi, in modo mai condivisibile. La temporalità è quella di un sogno eterno.
Quindi, si.
Direi che il tempo ha innanzitutto realtà psichica nel momento in cui, pur trascorrendo oggettivamente una durata cronologica, ciò può essere completamente irrilevante per il soggetto.
Aggiungo che il tempo come noi lo conosciamo, scandito in passato, presente e futuro, è il tempo della cosidetta normalità. E’ cioè il tempo di chi è in grado di condividere con gli altri il proprio essere al mondo in uno spazio di realtà, ed il tempo di chi è in grado di rintracciare una continuità narrativaa nella propria vita.