Lady Oscar è stata creata da una donna, una delle poche manganaka presenti in Giappone e forse l’unica in quegli anni. Faceva l’università e studiava per diventare cantante lirica. A tempo perso disegnava, mettendo i sentimenti che viveva e non poteva vivere all’interno delle sue storie. Aveva poco più di vent’anni e si chiamava Riyoko Ikeda.
Il suo primo fumetto , “Bara Yahiski no Shōjo”(La ragazza della casa delle rose) si ispirava nel tratto ad Osamu Tezuka, il papà della “Principessa Zaffiro”, ma era solo il 1967 e Riyoko aveva venti anni.
Il suo tratto evolve e le tematiche che trattano diventano sempre più complesse trasformando la poetica del genere shōjo ( manga per ragazze).
Così prende forma Versailles No Bara ( La rosa di Versailles), da noi conosciuto come Lady Oscar.
Ora, non voglio qui fare tutta la cronistoria, che trovate ovunque .
Per quella allegherò i link.
Vorrei piuttosto parlare della sua poetica attraverso le sue creature secondo me più belle.
E’ essenzialmente una poetica del conflitto. Il conflitto coinvolge il costituito e quello che deve costituirsi, opponendo la società alle persone. Nessuno dei protagonisti vorrebbe in realtà opporsi allo stato di cose in cui vive. Il conflitto nasce attraverso la spontaneità del sentire che conduce ognuno dei protagonisti lungo la strada che lo porterà a se stesso. Questa spontaneità appare come un tesoro conosciuto, perché tutti i protagonisti hanno potuto viverla nell’età in cui la società non impone i suoi vincoli. Il destino di questo paradiso però è gia scritto e la morsa dei ruoli arriva a stringere le esistenze dei personaggi. Tale pressione è particolarmente forte per la donna a cui è richiesto di aderire a certi canoni di comportamento. La donna è necessariamente per la società una cosa sola, decisa da norma e tradizione e tutte le varianti possono soltanto trovare posto pagando il prezzo della rinuncia alla propria identità di donne. I personaggi della Ikeda scelgono la libertà, agendola o vivendola in forma di negazione e malinconia. In nessuno dei due casi si tratta di una scelta felice, perché il prezzo della rinuncia è sentito. Nessuna di queste donne vorrebbe in realtà rinunciare ad essere donna per poter essere se stessa. Non ci troviamo di fronte a nessun tipo di eroina femminista, che che se ne dica. Soltanto alla rappresentazione del conflitto che porta alla scoperta di se stessi. Talvolta i personaggi portano avanti la loro scelta personale, rinunciando apparentemente alla loro identità di donne, come Lady Oscar. Altre volte trascinano la loro esistenza nell’ambiguità, nel ricordo di ciò che è stato perduto senza affermare nulla se non nella morte, come in Caro Diario.