I suoi occhi corsero ad un tratto per la stanza e si fermarono sul caminetto acceso. Che fare? Bruciare quel libro e distruggerne ogni traccia? Ma la sua novella sarebbe echeggiata lo stesso tra le increspature del suo orecchio, recitata senza sosta da quel suo gemello almanaccatore che gli dimorava nella coscienza.
Allora si acquietò un poco. Il pensiero della sua impotenza gli fece misurare l'emozione e l'ira, ma non poté placare la malattia. La mano gli cominciò a tremare, poi prese ad aver freddo sulle spalle e nel petto, il viso gli si contorse; la smorfia di chi avesse guardato dritto giù nel pozzo dell'inferno e ci avesse visto uno specchio. Si acquattò a terra, rannicchiandosi, quindi si distese così, il peso su una spalla, e depositò la guancia sulle pagine piegate del libro. C'era, allora, un odore intenso di carta e di inchiostro che gli penetrava nelle narici, e pareva assumere una voce che gli ricordava la rivoluzione di tutto un suo modo di percepire l'esistenza, che l'aveva accompagnato da quando era bambino, come una sozza abitudine o un vizio assurdo.
Se ne rimase lì a singhiozzare un altro po', quindi si riassettò le membra e i vestiti e si tirò in piedi poggiando un palmo sul muro; le dita gli si attorcigliarono su una cornice di legno come prese da un crampo. Aspettò qualche secondo in quella posizione. Adesso ad ogni respiro la la pelle delle sue nari tastava l'aria che incanalava nei polmoni, e si rese conto di tutta una catena di particolari che gli erano sempre sfuggiti. Nulla gli pareva più impossibile, e certo.
Tastando la parete in cerca di un appoggio, la scorse fino a raggiungere la sua scrivania, di lì aprì un mobiletto in basso alla sinistra e ne trasse una bottiglia di un liquore scozzese. La stappò e vi accostò il naso per cancellare la voce della filosofia, poi versò il contenuto in una tazza e bevve per cancellare quella del suo gemello.