Mi è tornato in mente il libro e l'ho cercato.
Poi mi sono venute due idee e una è questa
Troppe volte sento dire cose scontate sul perdono e sulla rabbia.
Il perdono vince sempre nel giudizio della gente, forse perchè può contare su raccomandazioni illustri e la rabbia si per-verte, si traveste, si trasforma...
Diffido di chi coltiva ad oltranza il credo del perdono, almeno quanto diffido di chi non sa perdonare.
Vorrei parlarne in modo diverso,
partendo dalle parole di Montaigne .
Le riporto nel post sotto.
Ho tagliato il più possibile.
Impieghiamo gran parte delle nostre veglie nel fare a pezzi coll'immaginazione i nostri nemici, nello strappare loro gli occhi e le viscere, nello spremere e svuotare le loro vene, nel pestare e stritolare ogni loro organo, pur lasciando loro, per pietà, il godimento del proprio scheletro. Fatta questa concessione, ci plachiamo e, spossati, scivoliamo nel sonno: riposo ben meritato dopo tanto accanimento e tanta pignoleria. D'altra parte, dobbiamo recuperare le forze per poter la notte seguente ricominciare l'operazione, riprendere un lavoro che scoraggerebbe un Ercole macellaio. Decisamente, avere nemici non è una sinecura.
(....) Il programma delle nostre notti sarebbe meno pesante se, di giorno, ci fosse concesso di dare libero corso alle nostre cattive inclinazioni.
(...)Non vendicarsi significa incatenarsi all'idea del perdono, immergervisi ,affondarvi, significa rendersi impuri con l'odio che si soffoca in sé. Il nemico risparmiato ci ossessiona e ci turba, particolarmente quando abbiamo deciso di non esecrarlo più. Perciò gli perdoniamo veramente soltanto se abbiamo contributo o assistito alla sua caduta, se egli ci offre lo spettacolo di una fine ignominiosa o, riconciliazione suprema, se contempliamo il suo cadavere. Felicità rara, per la verità; meglio non contarci. Perché il nemico non è mai a terra; sempre in piedi e trionfante, la sua prima qualità è di ergersi davanti a noi e di opporre ai nostri timidi sogghigni il suo sarcasmo raggiante.
(...)Le vie della crudeltà sono varie. Sostituendosi alla giungla, la conversazione permette alla nostra bestialità di consumarsi senza danno immediato per i nostri simili. Se, per il capriccio di qualche potenza malefica, perdessimo l'uso della parola, nessuno si sentirebbe più al sicuro. Il bisogno di uccidere, iscritto del nostro sangue, siamo riusciti a trasferirlo nei nostri pensieri: soltanto questa acrobazia spiega la possibilità, e la permanenza, della società. Si dovrà concludere che riusciamo a vincere la nostra corruzione nativa, il nostro talento omicida? Significherebbe ingannarsi sulle capacità del verbo e esagerarne i sortilegi. La crudeltà ereditaria, di cui disponiamo, non si lascia domare così facilmente; finché non ci si abbandona a essa completamente e non la si esaurisce, finché la si conserva nell'intimità più segreta di sé, non si giungerà a emanciparsene realmente.
Il vero assassino medita il suo delitto, lo prepara, lo compie e, compiendolo, si libera per un certo tempo dei suoi impulsi; in compenso ,chi non uccide perché non può uccidere, pur avendone la voglia, l'assassino non realizzato, velleitario ed elegiaco della strage, commette coll'immaginazione un numero infinito di crimini e langue e soffre molto più dell'altro, perché si porta dietro il rimpianto di tutti gli atti abominevoli che non ha saputo perpetrare. Allo stesso modo, chi non osa vendicarsi si avvelena la vita, maledice i propri scrupoli e quell'atto contro natura che è il perdono.