I parte di 2
Tutto cominciò alle 19.30. Così mi dissero, e non voglio replicare, mi sta bene così.
Loro non possono sapere, e nemmeno avrebbero interesse a mentirmi.
Il ritorno era già cominciato qualche istante prima, o anni, secoli, eoni; era cominciato per me quando il tempo ancora ignora di essere tempo.
Uno snello cristallo sfaccettato, aguzzo, vagamente argenteo, vagamente luminescente, vagamente traslucido che spunta dal nulla e si accresce lentissimamente nell’assoluto buio del non essere.
E due, a volte tre anelletti gialli lustri, vividi come occhi di pernice venati di rosso, che quietamente gli ruotano intorno, come danzando.
Non cerco spiegazioni, sento che questa è solo l’immagine che la mia mente si inventa per l’esistenza, ancor vuota com’è di stimoli e di esperienze da sollecitazioni esterne.
Cerco di memorizzarlo comunque, questo sfondo di un desktop ancora vuoto. La trovo una immagine bella, e voglio associarla all’archetipo di esistenza, anche se naturalmente ancora non ho il concetto “bello” né quello di “esistenza”.
L’immagine ricorrente mi culla a lungo, variando talvolta un poco, in questo mio limbo sereno senza piacere, ma soprattutto senza dolore… ed alla fine mi decido.
E’ ora di aprire gli occhi.
Cerco di farlo con prudenza, non so perché, e la prima immagine che registro è quella più bella del mondo.
Il volto sereno di una donna che si china su di me, sorridente, nella luce soffusa di un ambiente immenso.
«Salve!... - un po’ commosso riesco a mormorare – che ora è, scusi?...»
Mi sorride come compiaciuta la fanciulla e dolcissimamente mi sussurra: «va tutto benissimo… e sono le 19.30». Aggiunge qualcos’altro di piacevole, forse il suo nome e qualche complimento, ma ne ho smarrito il ricordo.
L’input recepito mi ha già ingolfato la mente, ed il cuore.
“tutto benissimo”… ma soprattutto “le 19,30”!
Questo vuol dire che sono passate almeno dodici ore dal mio ingresso nel blocco operatorio, e quindi l’operazione è stata fatta, e soprattutto è stato superato il più critico momento del risveglio dall’anestesia, quello ritenuto dai medici il più a rischio, nel mio caso clinico.
Perché adesso la mente si è aperta e so tutto; di essere sveglio, in terapia intensiva, non ancora salvo, ma con una via tutta in discesa davanti. Per questa volta ce l’ho fatta!... e pare pure alla grande! La mia fata ha detto “va tutto benissimo!”… mica “accettabilmente” o “benino”! “benissimo” è anche più di bene!...
Ho diritto ad una pausa di riflessione, e me la concedo volentieri.
Non sento alcun dolore, ma mi sembra normale, chissà quanti sedativi mi girano nel sangue!, ma pian piano scopro di avere sensibilità di me. I piedi e le dita della mano si muovono a comando e posso girare lentamente la testa alla ricerca consolante della figura del mio verde angelo custode indaffarata intorno.
So di perdere coscienza spesso e di risvegliarmi, ma il passaggio da veglia e sonno è netto, senza sbavature, e mi stupisce; senza esperienze precedenti, avevo sempre pensato che il golfo dell’anestesia fosse incerto e nebuloso ed invece lo scopro come un insieme di nette immagini staccate dallo sfondo. Mi viene in mente il mosaico di tessere bianche e nere dei cortili pompeiani; alla fine il disegno sarà chiarissimo.
Luci ed ombre di coscienza taglienti e definite, con la mia immagine archetipo dell’essere che mi si ripropone costantemente, come a rassicurarmi.
Il primo dolore viene più tardi, forse verso le ventuno. Improvviso, violentissimo e squassante. Tutto il corpo s’irrigidisce in uno spasmo involontario ed indomabile. Senti lo squarcio che hai in pancia aprirsi e tutte le giunture scricchiolare sotto i tendini tesi allo strazio.
Ma dura pochissimo, e non mi turba granché; in fondo col rimestamento di tutte le frattaglie che mi hanno fatto, dei dolori anche grossi erano previsti.
Ne verranno altri, e bisognerà farci l’abitudine, o magari studiarci su qualcosa.
Qualche afflizione insieme a questa pace ed alla visione panoramica del golfo fra l’essere ed il nulla da poter meditare senza preoccupazione alcuna?... In fondo è un bel vivere!...
Molto presto la mia dolce custode (mi sono vergognato a richiederglielo; un uomo che scorda il nome di una donna che gli si è presentata è perlomeno un buzzurro!) viene accompagnata da un giovanottone con la faccia buona e la capigliatura strana:
«Questo è Leonardo, e le farà compagnia al mio posto per il turno di notte; è un bravissimo infermiere ed un ottimo ragazzo… ma anche Lui è un paziente buonissimo e tranquillissimo!... vezzeggia col Ragazzone nell’eterna schermaglia dell’eterno femminino… vi troverete benissimo insieme stanotte!, gorgheggia sorridendo…»
Poi si fa seria e molto professionale; mi si rivolge:
«Ora se permette passo le consegne al mio collega per la sua terapia»
E qui una sfilza di informazioni tecniche che manco proverò ad interpretare, intervallate a qualche rallegramento o consolazione sul fausto decorso della mia ripresa.
Queste le riconosco bene dal volume di voce decisamente più alto.
Inizia così la mia notte in Terapia Intensiva.
Leonardo è un professionista addirittura migliore delle lodi per lui intessute dalla collega. Lo vedo sempre intorno a me, silenzioso ed indaffarato ma discosto, e mai invadente, forse rispettoso del per me magico momento del risveglio. Non guarda mai dalla mia parte, ma sembra percepire ogni mio fremito, ogni mio più piccolo sussulto.
E ad ogni occorrenza, immancabilmente è al mio fianco, come sbocciato dal nulla.
Lo spasmo ricorrente è ormai sotto controllo. Ho dedicato un pezzetto di costante attenzione a spiarne sintomi ed avvisaglie, per un immediato comando generalizzato di rilassamento a tutti i muscoli. Una frazione di secondo dopo la crisi arriva, ma mi trova di gelatina; mi sballonzola un bel po’, ma senza fare danni. A suo comodo se ne va, ma non mi ha turbato più di tanto.
Ma Leonardo è li, immobile al mio fianco, molto più teso di me; ed alla fine ogni volta mi sussurra:
«Tanto, tanto dolore?...» E quando gli rispondo «Solo tracce, di dolore» non mi crede e sorride; pensa ch’io voglia fare l’eroe.
Ma naturalmente eroe non lo sono per niente e la secchezza delle fauci e la sete mi tormenta, e non ho rimedi; la lingua è ancora più arida. Chiedo una garza umida, e penso al Cristo sitibondo appeso alla Croce, altro che steso in un comodo lettino da terapia intensiva.
Me la concede Leonardo, ma con molta reticenza: «Si bagni le labbra, ma non mandi acqua nello stomaco; potrebbe provocare uno stimolo al vomito, e lì sarebbe dura!...»
Non ha bisogno di spiegarsi, ma avrà messo si e no un milligrammo d’acqua in questa garza!... questa non inumidisce nemmeno sé stessa!
Non ho riferimenti temporali e chiedo quanto manca all’alba. Almeno tre ore ancora, ma posso aspettare, non mi annoio nelle mie quete scorribande mentali, e nell’aria c’è una musica piacevole, serena, molto intonata alla mia realtà del momento. Con una certa pretenziosità chiedo a Leonardo se è una compilation preparata da loro infermieri o il V canale della Filodiffusione.
Arrossisce decisamente, quasi a rimproverarmi. Naturalmente è il V canale della filodiffusione! non mi accorgo che è un palinsesto fatto da gente del mestiere?...
Mi piace che un professionista perfetto nel suo campo si scappelli alle professionalità altrui!.... bravo Leonardo!
Alle sei, si ripete il rituale del cambio turno. Il mio nuovo angelo custode è un possente giovanotto palestrato dallo sguardo fiero e movenze alla Rambo nelle giungle Birmane; mi squadra in un lampo come a trasmettermi: “Tranquillo, vecchietto!... ora ci sono qua io, e ti sistemo tutto!”…
Oziosamente mi viene da pensare che tranquillo lo sono già perfettamente, e già sarei felicissimo che tutto continuasse come già sta andando, senza bisogno di sconvolgimenti ed assalti alla baionetta.
Quindi disinvolto soggiunge: «Dammi il tempo di andare a prendere un caffè e poi ci mettiamo al lavoro!... ma se nel frattempo hai bisogno di qualcosa non preoccuparti, chiama pure; qui c’è sempre qualcuno!»
No, non ho bisogno di nulla e sono contento di rientrare nella mia soave meditazione, anche se la musica di sottofondo è ora cambiata. Non sinfonie di Brahms appena sussurrate ma lo strepitio di musica metal trasmessa da una radio privata, intervallata da tanta pubblicità di esercizi pubblici locali, altrettanto stridente ed invadente.
Pazienza!, fo mente locale. Musica da notte, musica da giorno… e mi adeguo.
Torna il mio custode ed effettivamente si mette alacremente all’opera: «Innanzi tutto, ci diamo una bella lavata generale!!...»
Ma come?.... steso come un baccalà ammollato sul mio lettuccio e probabilmente squartato da cima a fondo, mi do una bella lavata?... io che sto attento a muovere anche un muscolo?... devo essere trasalito visibilmente perché subito Rambo mi rassicura: «Tranquillo!... tu devi avere solo pazienza… faccio tutto io!.... cominciamo dalla barba!...»
Effettivamente di tecnica ed esperienza Rambo ne ha da vendere, ed è ammirevole l’efficienza con cui si muove. Farò grazia ai miei lettori della descrizione di questa perfetta “grande lavata generale”, definendola semplicemente perfetta, limitandomi a raccontarne comunque un dettaglio, per omaggio al mio Rambo, ed alla spinta tecnologia che certamente accompagna il personaggio.
Quesito: “Come si fa a lavare perfettamente un uomo immobilizzato su un lettuccio nella sua parte di sotto, quella appoggiata sul materassino?....” per Rambo non ci sono difficoltà, basta la tecnologia!
1) Innanzi tutto si gonfia il lettuccio. Infatti quella che sembrava una semplice barella nasconde al suo interno un generoso materasso pneumatico con tanto di silenzioso compressore.
2) Si avvicina poi un muletto simile a quello per sollevare i pallet e lo si mette in posizione
3) Una doga rigida e flessibile, ma sottilissima viene delicatamente interposta fra il materassino ed il corpo del paziente. Ma non viene lasciata lì! infatti quella sottile lama altro non serve che da sostegno per il passaggio di un leggero morbido nastro, che poi sosterrà il corpo dolente.
4) L’operazione, ripetuta ogni pochi decimetri crea così una specie d’amaca setosa e resistente come una ragnatela.
“Adesso mi solleva col muletto e mi porta in bagno”, pensi; ma è del tutto sbagliato.
Le fasce dell’amaca vengono si fissate al muletto, ma il corpo non ti si muove di un millimetro!... è il letto che si sgonfia sotto lasciando tutto lo spazio che serve all’operatore per lavarti, sciacquarti, frizionarti, profumarti… Meraviglie della tecnologia!... meno di un’ora di tempo e ti ritrovi come un patrizio romano dopo un pomeriggio alle terme.
Forse l’aroma del dopobarba non è il mio preferito, ma questa è l’unica pecca del servizio, a volerne trovare una. Ma ampiamente compensata dallo squisito gusto del colluttorio (che solennemente mi sono impegnato a non inghiottire!) che mi ha lasciato la bocca fresca come un prato in fiore.
La sgradevole voce dell’annunciatrice della radio locale ci informa che sono le otto (e che mi frega?... io ci rimarrei a vita, su questo lettuccio) e poi ci delizia sulle ultime novità su Berlusconi, Bersani, Napolitano e Fini…. e potrebbe risparmiarcele proprio, almeno a noi moribondi in rianimazione!...
Due allegre facce note. Il chirurgo che ha dato consulenza nella mia operazione, visibilmente sollevato rispetto a ieri, e quell’altro dottore simpatico, soprannominato “capellone”… forse per qualche suo trascorso giovanile.
Sono in visita ufficiale e si informano delle mie condizioni, ma si vede che è un pro-forma. Io mi sento una Pasqua ed evidentemente si vede, perché si trattengono solo qualche minuto e vanno via scherzando:
«Allora torni in reparto stamattina… o preferisci accompagnarci a prendere un cappuccino ed una brioche e ce ne saliamo insieme?...»
Declino l’invito con un sorriso… mica posso offenderli dicendo che il bar di quest’ospedale sarebbe meglio chiuderlo e buttare via quelle sebose, colesteroliche, sciape, squallide brutte brioche!
continua con la II ed ultima parte