.
L’uomo di Rappottenstein
Settecento metri sul livello del mare ed un bosco quasi impenetrabile; erto, fitto, buio e minaccioso. Una sola stradina parecchio malagevole.
Ma val la pena di andarci, fin lassù!
Protetto da immani mura ciclopiche direttamente ancorate allo scoglio roccioso, il borgo fortificato sfida il tempo, e qualunque invasione. Ed a guardarlo non è difficile credere che mai sia stato conquistato, seppure qualcuno, chissà, abbia mai avuto l’ardire di provare ad attaccarlo.
Un borgo intero, col suo austero castello, contornato dai ricoveri delle bestie e dei cittadini del tempo, che molto più agiatamente delle bestie non dovevano vivere. Grotte attrezzate, capanne, brevi recinti, minuscoli orti attentamente sistemati a che nessun pezzetto di terra rimanga inutilizzato.
E nel castello, gli splendori e le incredibili sobrietà che dovevano contraddistinguere l’esistenza di quei tempi oscuri, giorni duri per i signori non meno che per i loro servi.
Uno spaccato insomma, mirabilmente preservato, della cruda società del basso medioevo; un nido di aquile ora dischiuso quasi intatto alla curiosa indiscrezione di turisti irriverenti.
Dentro al borgo superfortificato, relitto di un’epoca passata, c’é lui, il solitario uomo di Rappottenstein, custode della storia, erede castellano di un castello fuori del tempo.
Ad ogni giorno che Iddio fa nascere (lunedì esclusi, naturalmente!) lui è lì, nella sua guardiola, giusto a ridosso della grande unica porta del borgo perennemente chiusa, a sbirciare dalla sottile feritoia l’arrivo dei turisti invasori.
Ma lo fa con calma, senza apprensione; ogni ora fra le 10 e le 18... dove naturalmente per “ogni ora” si intende l’attimo esatto in cui l’antico orologio della torre scandisce il primo dei suoi rintocchi, l’uomo di Rappottestein apre la pesante porta del borgo e permette ai turisti, pochi o molti che siano di entrare. Un rapido cenno della testa per ognuno ed un sommesso, cortese, afono CrüßGött; un minuto al massimo, e la porta viene richiusa.
Un altro giro turistico del borgo antico è iniziato.
Stamattina il tempo è incerto, e dopo le piogge di giorni scorsi quassù fa quasi freddo, ma in cambio tutta la natura è squillante di verdi nuovi e lucidi, e frettolosi i fiori del sottobosco aprono le loro delizie multicolori all’urgenza famelica dei pronubi impollinatori.
Siamo in anticipo, ed abbiamo tutto il tempo di godere la vista di questa splendida natura incontaminata.
Siamo gli unici turisti, per questo giro, ma l’altissimo, allampanato cicerone non sembra farci caso. Nè minimamente si turba del nostro non capire una parola di tedesco.
Ci condurrà sala per sala, angolo per angolo del borgo, lungo un itinerario percorso migliaia di volte, ed a lui evidentemente noto in ogni singolo dettaglio. Si fermerà spesso, nei luogi e negli scorci che la sua esperienza gli dicono preferiti dagli ospiti per fare le foto, e con gesti solenni, quasi rituali richiama la nostra attenzione a notare questo o quel particolare architettonico, un graffito, un dettaglio del panorama. Sommessamente continua a parlare in tedesco, forse dialettale del posto, che non una sola parola riusciamo ad individuare.
Non si affretta, non indugia, non ci sollecita.
Serio quanto può esserlo un libro di storia, sorridente di quel minimo di cordialitá in potere di un eremita; austriaco, per di più.
Non sembra che faccia commenti, non una emozione traspare dal suo volto. Le stalle, la prigione, la cisterna per l’acqua piovana ed il pozzo di acqua sorgiva buona da bere, la cucina comune tanto simile all’antro di un orco ed il camino immenso per affumicare i cibi, le umili stanze del vivere quotidiano e le anguste camere da letto, poco più che cellette dalle minuscole finestre. Luce poca senz’altro, ma forse facili da riscaldare, pochi mobili austeri ed una zana vecchia... incredibilmente antica e certamente storicamente importante.
Forse lui spiega tutte queste cose, ma a noi tocca attingere alla nostra intelligenza; non un gesto esplicativo, da parte sua, non una inflessione della voce che traduca un qualche pensiero. L’uomo di Rappottenstein non concede nulla, se non quello che è il suo lavoro; dare informazioni ai turisti ed accompagnarli nei luoghi. Capiscano qualcosa o meno, è affar loro.
E mi stupisco quando vedo togliersi il berretto, entrando nella minuscola cappella gotica del borgo... ma non è devozione. Anche il gesto è parte del suo lavoro; non ha uno sguardo per l’altare, non un cenno all’immagine sacra.
Oziosamente penso che rimetterà il cappello esattamente sotto l’arco della porta, uscendo... e naturalmente sono facile profeta.
Ancora uno sguardo alla minuscola sala delle armi ed a quella dei trofei di caccia, tapezzata di corna di caprioli e cervi.
Ci condece una pausa più lunga alla “grande” sala di rappresentaza, affrescata con immagini ormai rose dal tempo ma, ancora si nota, di ottima fattura. Scene di caccia e personaggi, forse il signore e la sua famiglia, sfarzosamente agghindati.
Questa sala, l’androne d’ingresso al suggestivo cortile interno e le pareti di questo sontuosamente decorati ci lasciano riflettere su quanta importanza debba aver avuto la vita di relazione per questi antichi signori, stridentemente in contrasto con la quotidiana esistenza privata, umile e dimessa quanto noi non immagineremmo per uno schiavo, o un nemico.
Altri gesti della nostra guida mi distolgono dalle mie elucubrazioni sociali, e mostrano l’infima essenzialità di una latrina aperta direttamente sul baratro delle mura esterne, i piccoli magazzeni, i tuguri abitativi dei famigli e dei servi.
Il giro è finito, e ci vuole uno sforzo di volontà per scuotersi di dosso l’aria di un tempo passato che per quarantotto minuti ci ha permetato trasportandoci in un tempo diverso, in una umanità che non conosciamo... e che pure fummo noi.
Siamo di nuovo al confine del borgo, con in mano le cartoline del luogo ed i souvenir. La pesante porta si apre per un istante ed eccoci fuori.
Sono passati esattamente cinquanta minuti, e l’uomo di Rappottenstein ha diritto ai suoi dieci minuti di pausa contrattuale, prima del prossimo giro.
Ma ci chiediamo se davvero abbia bisogno, di quella pausa. Una chiara sensazione, qui alla bocca dello stomaco ci dice che forse non un segaligno, serioso custode ci abbia accompagnato in visita, ma lo spettro stesso del maggiordomo di quell’antico maniero fortificato.
Lucio Musto 9 maggio 2010
----------------------------------
L’uomo di Rappottenstein
Settecento metri sul livello del mare ed un bosco quasi impenetrabile; erto, fitto, buio e minaccioso. Una sola stradina parecchio malagevole.
Ma val la pena di andarci, fin lassù!
Protetto da immani mura ciclopiche direttamente ancorate allo scoglio roccioso, il borgo fortificato sfida il tempo, e qualunque invasione. Ed a guardarlo non è difficile credere che mai sia stato conquistato, seppure qualcuno, chissà, abbia mai avuto l’ardire di provare ad attaccarlo.
Un borgo intero, col suo austero castello, contornato dai ricoveri delle bestie e dei cittadini del tempo, che molto più agiatamente delle bestie non dovevano vivere. Grotte attrezzate, capanne, brevi recinti, minuscoli orti attentamente sistemati a che nessun pezzetto di terra rimanga inutilizzato.
E nel castello, gli splendori e le incredibili sobrietà che dovevano contraddistinguere l’esistenza di quei tempi oscuri, giorni duri per i signori non meno che per i loro servi.
Uno spaccato insomma, mirabilmente preservato, della cruda società del basso medioevo; un nido di aquile ora dischiuso quasi intatto alla curiosa indiscrezione di turisti irriverenti.
Dentro al borgo superfortificato, relitto di un’epoca passata, c’é lui, il solitario uomo di Rappottenstein, custode della storia, erede castellano di un castello fuori del tempo.
Ad ogni giorno che Iddio fa nascere (lunedì esclusi, naturalmente!) lui è lì, nella sua guardiola, giusto a ridosso della grande unica porta del borgo perennemente chiusa, a sbirciare dalla sottile feritoia l’arrivo dei turisti invasori.
Ma lo fa con calma, senza apprensione; ogni ora fra le 10 e le 18... dove naturalmente per “ogni ora” si intende l’attimo esatto in cui l’antico orologio della torre scandisce il primo dei suoi rintocchi, l’uomo di Rappottestein apre la pesante porta del borgo e permette ai turisti, pochi o molti che siano di entrare. Un rapido cenno della testa per ognuno ed un sommesso, cortese, afono CrüßGött; un minuto al massimo, e la porta viene richiusa.
Un altro giro turistico del borgo antico è iniziato.
Stamattina il tempo è incerto, e dopo le piogge di giorni scorsi quassù fa quasi freddo, ma in cambio tutta la natura è squillante di verdi nuovi e lucidi, e frettolosi i fiori del sottobosco aprono le loro delizie multicolori all’urgenza famelica dei pronubi impollinatori.
Siamo in anticipo, ed abbiamo tutto il tempo di godere la vista di questa splendida natura incontaminata.
Siamo gli unici turisti, per questo giro, ma l’altissimo, allampanato cicerone non sembra farci caso. Nè minimamente si turba del nostro non capire una parola di tedesco.
Ci condurrà sala per sala, angolo per angolo del borgo, lungo un itinerario percorso migliaia di volte, ed a lui evidentemente noto in ogni singolo dettaglio. Si fermerà spesso, nei luogi e negli scorci che la sua esperienza gli dicono preferiti dagli ospiti per fare le foto, e con gesti solenni, quasi rituali richiama la nostra attenzione a notare questo o quel particolare architettonico, un graffito, un dettaglio del panorama. Sommessamente continua a parlare in tedesco, forse dialettale del posto, che non una sola parola riusciamo ad individuare.
Non si affretta, non indugia, non ci sollecita.
Serio quanto può esserlo un libro di storia, sorridente di quel minimo di cordialitá in potere di un eremita; austriaco, per di più.
Non sembra che faccia commenti, non una emozione traspare dal suo volto. Le stalle, la prigione, la cisterna per l’acqua piovana ed il pozzo di acqua sorgiva buona da bere, la cucina comune tanto simile all’antro di un orco ed il camino immenso per affumicare i cibi, le umili stanze del vivere quotidiano e le anguste camere da letto, poco più che cellette dalle minuscole finestre. Luce poca senz’altro, ma forse facili da riscaldare, pochi mobili austeri ed una zana vecchia... incredibilmente antica e certamente storicamente importante.
Forse lui spiega tutte queste cose, ma a noi tocca attingere alla nostra intelligenza; non un gesto esplicativo, da parte sua, non una inflessione della voce che traduca un qualche pensiero. L’uomo di Rappottenstein non concede nulla, se non quello che è il suo lavoro; dare informazioni ai turisti ed accompagnarli nei luoghi. Capiscano qualcosa o meno, è affar loro.
E mi stupisco quando vedo togliersi il berretto, entrando nella minuscola cappella gotica del borgo... ma non è devozione. Anche il gesto è parte del suo lavoro; non ha uno sguardo per l’altare, non un cenno all’immagine sacra.
Oziosamente penso che rimetterà il cappello esattamente sotto l’arco della porta, uscendo... e naturalmente sono facile profeta.
Ancora uno sguardo alla minuscola sala delle armi ed a quella dei trofei di caccia, tapezzata di corna di caprioli e cervi.
Ci condece una pausa più lunga alla “grande” sala di rappresentaza, affrescata con immagini ormai rose dal tempo ma, ancora si nota, di ottima fattura. Scene di caccia e personaggi, forse il signore e la sua famiglia, sfarzosamente agghindati.
Questa sala, l’androne d’ingresso al suggestivo cortile interno e le pareti di questo sontuosamente decorati ci lasciano riflettere su quanta importanza debba aver avuto la vita di relazione per questi antichi signori, stridentemente in contrasto con la quotidiana esistenza privata, umile e dimessa quanto noi non immagineremmo per uno schiavo, o un nemico.
Altri gesti della nostra guida mi distolgono dalle mie elucubrazioni sociali, e mostrano l’infima essenzialità di una latrina aperta direttamente sul baratro delle mura esterne, i piccoli magazzeni, i tuguri abitativi dei famigli e dei servi.
Il giro è finito, e ci vuole uno sforzo di volontà per scuotersi di dosso l’aria di un tempo passato che per quarantotto minuti ci ha permetato trasportandoci in un tempo diverso, in una umanità che non conosciamo... e che pure fummo noi.
Siamo di nuovo al confine del borgo, con in mano le cartoline del luogo ed i souvenir. La pesante porta si apre per un istante ed eccoci fuori.
Sono passati esattamente cinquanta minuti, e l’uomo di Rappottenstein ha diritto ai suoi dieci minuti di pausa contrattuale, prima del prossimo giro.
Ma ci chiediamo se davvero abbia bisogno, di quella pausa. Una chiara sensazione, qui alla bocca dello stomaco ci dice che forse non un segaligno, serioso custode ci abbia accompagnato in visita, ma lo spettro stesso del maggiordomo di quell’antico maniero fortificato.
Lucio Musto 9 maggio 2010
----------------------------------