Questa tecnica non fu applicata da subito. Molto prima dei lager e di Wann See si praticavano fucilazioni di massa, direttamente sulle sponde di apposite fosse comuni. Purtroppo però questa tecnica, oltre a rivelarsi dispendiosa per via del notevole numero di proiettili spesi, aveva conseguenze emotive molto pesanti nei soldati che con l’odore del sangue e la prossimità all’ucciso percepivano la loro responsabilità in tutta quella morte. Si passò allora ai furgoncini mobili, ma anche in questo caso i costi economici e umani erano notevoli. Era difficile sigillarli bene e spesso occorreva completare in altro modo l’eliminazione dei soggetti, i cui cadaveri erano poi complessi da smaltire. Da quest’ordine di considerazioni nacque un’industria di morte altamente differenziata. Esistevano campi deputati al semplice concentramento, campi di lavoro, campi di sterminio e campi misti, come quello di Primo Levi.
Tutti i tipi di lager prevedevano una rigida organizzazione degli spazi e dei tempi. La prassi di svolgimento di ogni singola attività non prevedeva spazi di improvvisazione. In poche parole, non era lasciato alcuno spazio di manifestazione all’umanità, intesa come libertà di decidere, esprimere e manifestare. Cosa resta dell’uomo, nel momento in cui egli non è più il centro intenzionale dei propri atti? Resta un esecuture, un’automa che non può nemmeno nutrire sentimenti di ribellione verso il sistema che lo aliena perché l’opera di spersonalizzazione ha agito a monte, in modo preventivo rispetto alla sua protesta. La razionalizione estrema del sistema lager ha un peso decisivo nello spiegare come tali orrori abbiano potuto essere portati avanti da persone assolutamente normali e come altre persone le abbiano subite senza tentativi di ribellione. Iniziava a sparire il nome, sostituito da un numero. Insieme ad esso sparivano i legami, gli affetti, gli oggetti, l’aspetto e infine l’identità. La condizione di necessità si faceva tanto pressante da indurre all’abolizione del ricordo della precedente vita umana, perché la sua presenza avrebbe reso il quotidiano intollerabile. L’organizzazione rigida, totalitaria e accerchiante impediva la rappresentazione di un’alternativa, già estirpata in termini di passato dall’abolizione del ricordo e in termini di presente dall’estinzione dell’identità, anche in termini di futuro.
L’iper razionalizzazione è la chiave per comprendere sia come i carnefici abbiano potuto agire, sia come le vittime abbiano potuto subire. L’iper razionalizzazione implica spersonalizzazione e soltanto l’essere umano è capace di rotture, di dissenso e di nuovi inizi creativi.
Dovremmo credo riflettere almeno un po’ sulla potenza di questo meccanismo. Lo viviamo ogni giorno in piccola scala ed ha su di noi più potere di quanto crediamo. Forse sarà allora un po’ più chiaro comprendere da dove nascono quelli che amiamo chiamare mostri, per allontanarli da noi.