L’amico morto
«M’è morto un amico…»
«Chi?... lo conosco?... uno dei nostri?... uno che conosci da parecchio?... anche amico mio?...»
«No, non uno dei nostri… non amico anche tuo… lo conosco da una vita…»
«Non è possibile che io non conosca un tuo così vecchio amico!... dimmelo, chi è che è morto?...»
«Non da tanto tempo… non la vita mia! la vita sua!... praticamente da quando è nato!.. ma nemmeno so se lui mi considerasse come un amico»
«Un bambino allora!... chi?...»
«Non un bambino… un ragno.»
«Naturalmente!... – l’Amico mio buono mi guarda con la comprensione dovuta a chi si è scelti come compagni di viaggio – naturalmente, un ragno!... per te non c’è nulla di strano di avere un ragno per amico… un amico forse migliore di me… e ora piangerai pure al suo funerale!...»
«No. Non piangerò; è inutile piangere alle ineluttabilità della vita, e naturalmente non ci sarà nessun funerale – manco realizzo subito l’espressione a sfottò – i ragni, scemità come i funerali non ne fanno, li lasciano a noi uomini, che non sappiamo come riempire i sentimenti.
Ma a me dispiacerà lo stesso. Non è mai piacevole perdere un amico.»
«Certo, un amico è un pezzo di te, che tu lo voglia o no – premuroso per me dell’Amico mio buono non celia più, è tornato serio – e se ti muore un amico sei comunque sminuito.
Ma come fai a farti amico un ragno?... che rapporto ci può essere?... chiacchierate?... vi scambiate confidenze?... andate a cena o a donne insieme?... o cosa?...»
«Non so dirti, Amico mio buono, cosa ci sia nell’amicizia con un ragno, ne più né meno come con chiunque altro!... Mica sono amico di tutti quelli con cui chiacchiero, o mi confido, o vado a donne o altro!... Qualche amico mio anzi a donne non ci va per niente e… te lo ricordi Bruno, quello che poi diventò un grande imprenditore a Prato?... Quello, veniva ogni giorno nel mio ufficio, senza salutare si sedeva sul divanetto ospiti e stava li dieci, quindici minuti senza dire una parola, poi si alzava ed andava via. Eppure sicuramente era amico mio, ed io suo, come tutti sapevano. Ma confidenze non ce ne siamo mai fatte… ed era pure vegetariano!...
No, Amico mio buono, io non so affatto dirti di cosa sia fatta l’amicizia, né tu puoi dirlo a me. Non so in cosa io ti ami, ne so tu pensi di me. So solo di esserti amico, ed altrettanto chiaramente so per certo di essere nel tuo cuore. Ma non chiedermi perché!
Ora, per il mio amico ragno, quello che ora è morto, era lo stesso, anche se forse il pensiero concreto è differente.
Lui aveva la sua nicchia in un angolo nascosto del cesso piccolo, pomposamente chiamato il “licet di cortesia”in una fessura difficilmente raggiungibile dall’impietoso spazzolone della Lella.
Io lo scoprii perché uso quel piccolo ambiente per i miei regolari bisogni corporali e quindi ne ho una prospettiva particolare… vedi?... tu sei amico mio da trent’anni e questi dettagli della mia vita non li sai, mentre il piccolo ragno si, li sapeva… Ma non divaghiamo.
Dunque dicevo, nelle mie quotidiane visite in quel luogo, ho conosciuto il piccolo artropode.
Immancabilmente acquattato allo stesso posto, sotto una precisa angolazione di un raggio del lampione stradale che filtra dalla tapparella abbassata.
Chissà, forse per lui quella è la Luna, e quello scelto un luogo ottimale di appostamento per ghermire le minuscole sue prede, abbagliate da tanta luminosità.
E’ un animale notturno, il mio amico, e quando la mia regolarità mi spinge in quel bugigattolo, lui è sempre a caccia nel suo territorio.
Involontariamente, ma anche stupendomene un poco, io cerco di disturbare il meno possibile, muovendomi con cautela, forse memore delle sue fughe terrorizzate di primi tempi, quand’era ancora piccolo.
Adesso invece deve essersi abituato al trambusto (comunque assordante per i suoi finissimi sensi!) che fa il Gigante ogni sera alla stessa ora, e non se ne turba più, ma rimane immobile, o muove piano un pedipalpo, quasi a mostrare di aver sentito… ed a me sembra un saluto.
Ed ogni sera mi viene a pensare:
“Chissà se si preoccuperebbe per me se non venissi?... e penserebbe ad un tradimento o una disgrazia?...”
Ed oziosamente mi rispondo pure: “Se è una ragna… penserà certo alle corna!... le mie femmine non si fidano mai di me!...”
Ma non c’è da scherzare!... anch’io, “Homo sapiens sapiens”, prediletto da Dio e principe del Creato, in quel momento particolare della giornata mi preoccupo del mio ragno amico, e subito lo cerco con lo sguardo, e cerco di scrutare se stia bene, se ha mangiato ed ha il ventre pieno oppure un poco smunto ed ammosciato, come m’è sembrato forse un mese fa.
Gli portai un granello di salame, ma non lo mangiò, in mia presenza. Forse lo fece poi, ma non l’ho visto. Certo che del mio dono all’indomani non restava traccia.
In verità non l’ho mai visto mangiare né accoppiarsi. Però cresceva bene e mai m’è sembrato che avesse pene d’amore o depressione. Doverosa riservatezza fra amici.
Ecco io stavo lì, per quei minuti che fanno alla bisogna, pensando a lui e con lui pensando di quelle cose mie e sue che certamente qui non vi dirò; mettendo piano piano in piedi un’amicizia.
Ora il ragno è morto, e un po’ mi manca…»
“Stolte ossessioni d’un vecchio rintronato!”...
Non oso darvi torto, amici miei.
Bene mi è noto infatti che vecchiezza
spesso a noi rifili brutti scherzi!
Però un fatto è certo e voglio dirlo.
Quel piccolo animale ad otto zampe
a caccia in uno spigolo del cesso
mi dava più calore e ispirazione
di tanti principi poeti e narratori
che incontro tutti i giorni per la via.
E più di tanti altri che conosco,
lui mi usò pazienza e devozione.
La devozione certa e silenziosa
del più piccolo amico che ci sia.
Lucio Musto 18 dicembre 2008
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«M’è morto un amico…»
«Chi?... lo conosco?... uno dei nostri?... uno che conosci da parecchio?... anche amico mio?...»
«No, non uno dei nostri… non amico anche tuo… lo conosco da una vita…»
«Non è possibile che io non conosca un tuo così vecchio amico!... dimmelo, chi è che è morto?...»
«Non da tanto tempo… non la vita mia! la vita sua!... praticamente da quando è nato!.. ma nemmeno so se lui mi considerasse come un amico»
«Un bambino allora!... chi?...»
«Non un bambino… un ragno.»
«Naturalmente!... – l’Amico mio buono mi guarda con la comprensione dovuta a chi si è scelti come compagni di viaggio – naturalmente, un ragno!... per te non c’è nulla di strano di avere un ragno per amico… un amico forse migliore di me… e ora piangerai pure al suo funerale!...»
«No. Non piangerò; è inutile piangere alle ineluttabilità della vita, e naturalmente non ci sarà nessun funerale – manco realizzo subito l’espressione a sfottò – i ragni, scemità come i funerali non ne fanno, li lasciano a noi uomini, che non sappiamo come riempire i sentimenti.
Ma a me dispiacerà lo stesso. Non è mai piacevole perdere un amico.»
«Certo, un amico è un pezzo di te, che tu lo voglia o no – premuroso per me dell’Amico mio buono non celia più, è tornato serio – e se ti muore un amico sei comunque sminuito.
Ma come fai a farti amico un ragno?... che rapporto ci può essere?... chiacchierate?... vi scambiate confidenze?... andate a cena o a donne insieme?... o cosa?...»
«Non so dirti, Amico mio buono, cosa ci sia nell’amicizia con un ragno, ne più né meno come con chiunque altro!... Mica sono amico di tutti quelli con cui chiacchiero, o mi confido, o vado a donne o altro!... Qualche amico mio anzi a donne non ci va per niente e… te lo ricordi Bruno, quello che poi diventò un grande imprenditore a Prato?... Quello, veniva ogni giorno nel mio ufficio, senza salutare si sedeva sul divanetto ospiti e stava li dieci, quindici minuti senza dire una parola, poi si alzava ed andava via. Eppure sicuramente era amico mio, ed io suo, come tutti sapevano. Ma confidenze non ce ne siamo mai fatte… ed era pure vegetariano!...
No, Amico mio buono, io non so affatto dirti di cosa sia fatta l’amicizia, né tu puoi dirlo a me. Non so in cosa io ti ami, ne so tu pensi di me. So solo di esserti amico, ed altrettanto chiaramente so per certo di essere nel tuo cuore. Ma non chiedermi perché!
Ora, per il mio amico ragno, quello che ora è morto, era lo stesso, anche se forse il pensiero concreto è differente.
Lui aveva la sua nicchia in un angolo nascosto del cesso piccolo, pomposamente chiamato il “licet di cortesia”in una fessura difficilmente raggiungibile dall’impietoso spazzolone della Lella.
Io lo scoprii perché uso quel piccolo ambiente per i miei regolari bisogni corporali e quindi ne ho una prospettiva particolare… vedi?... tu sei amico mio da trent’anni e questi dettagli della mia vita non li sai, mentre il piccolo ragno si, li sapeva… Ma non divaghiamo.
Dunque dicevo, nelle mie quotidiane visite in quel luogo, ho conosciuto il piccolo artropode.
Immancabilmente acquattato allo stesso posto, sotto una precisa angolazione di un raggio del lampione stradale che filtra dalla tapparella abbassata.
Chissà, forse per lui quella è la Luna, e quello scelto un luogo ottimale di appostamento per ghermire le minuscole sue prede, abbagliate da tanta luminosità.
E’ un animale notturno, il mio amico, e quando la mia regolarità mi spinge in quel bugigattolo, lui è sempre a caccia nel suo territorio.
Involontariamente, ma anche stupendomene un poco, io cerco di disturbare il meno possibile, muovendomi con cautela, forse memore delle sue fughe terrorizzate di primi tempi, quand’era ancora piccolo.
Adesso invece deve essersi abituato al trambusto (comunque assordante per i suoi finissimi sensi!) che fa il Gigante ogni sera alla stessa ora, e non se ne turba più, ma rimane immobile, o muove piano un pedipalpo, quasi a mostrare di aver sentito… ed a me sembra un saluto.
Ed ogni sera mi viene a pensare:
“Chissà se si preoccuperebbe per me se non venissi?... e penserebbe ad un tradimento o una disgrazia?...”
Ed oziosamente mi rispondo pure: “Se è una ragna… penserà certo alle corna!... le mie femmine non si fidano mai di me!...”
Ma non c’è da scherzare!... anch’io, “Homo sapiens sapiens”, prediletto da Dio e principe del Creato, in quel momento particolare della giornata mi preoccupo del mio ragno amico, e subito lo cerco con lo sguardo, e cerco di scrutare se stia bene, se ha mangiato ed ha il ventre pieno oppure un poco smunto ed ammosciato, come m’è sembrato forse un mese fa.
Gli portai un granello di salame, ma non lo mangiò, in mia presenza. Forse lo fece poi, ma non l’ho visto. Certo che del mio dono all’indomani non restava traccia.
In verità non l’ho mai visto mangiare né accoppiarsi. Però cresceva bene e mai m’è sembrato che avesse pene d’amore o depressione. Doverosa riservatezza fra amici.
Ecco io stavo lì, per quei minuti che fanno alla bisogna, pensando a lui e con lui pensando di quelle cose mie e sue che certamente qui non vi dirò; mettendo piano piano in piedi un’amicizia.
Ora il ragno è morto, e un po’ mi manca…»
“Stolte ossessioni d’un vecchio rintronato!”...
Non oso darvi torto, amici miei.
Bene mi è noto infatti che vecchiezza
spesso a noi rifili brutti scherzi!
Però un fatto è certo e voglio dirlo.
Quel piccolo animale ad otto zampe
a caccia in uno spigolo del cesso
mi dava più calore e ispirazione
di tanti principi poeti e narratori
che incontro tutti i giorni per la via.
E più di tanti altri che conosco,
lui mi usò pazienza e devozione.
La devozione certa e silenziosa
del più piccolo amico che ci sia.
Lucio Musto 18 dicembre 2008
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