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Candido ha scritto:Tutto ciò che per me "esiste" non al di là, ma che "comprende" le leggi fsico-scientifiche è campo di eterna ricerca ed è il fine più profondo dell'uomo. Parlavo naturalmente ed esclusivamente di ciò di cui si può parlare. Al contrario di te non conosco verità trascendenti ma le cerco da sempre con tutto me stesso.
Per questo potrei -tornando in argomento- parlare di normalità e follia solo in termini di adattamento o meno al "normale" vivere sociale. Per cui ovviamente Van Gogh possiamo considerarlo un folle, ma che folle????
Candido ha scritto:Io direi che in termini assai spicci la questione è riconducibile alla capacità o meno di essere autosufficienti. La "cura" è necessaria per chi non possiede -senza sua colpa, di solito- le possibilità e le capacità mentali per vivere autonomamente e sostentarsi. Poi possiamo appiccicargli le etichette che più ci aggradano, non possiamo considerare la psicologia dell'essere una scienza esatta.
E' interessante il punto in cui (Jung?) dice che la coscienza della propria pazzia non è per questo normalità. Aggiungerei solo che non è detto neppure che sia veramente follia. E poi dove sarebbe la linea di separazione?
Sull'imperfezione poi...
Stare male, viversi male vuol dire per me semplicemente comportarsi al di sotto o al di sopra del proprio livello oggettivo. Se il selvaggio fa il selvaggio pienamente con tutto se stesso è un selvaggio felice e vicino all'Assoluto, non se pretende di elevarsi al di sopra, come uomo civilizzato (o se al contrario fa di tutto per regredire ad uno stato bestiale).
Massimo Vaj ha scritto:
Sono io a dire che la coscienza della propria follia non esaurisce la follia. Jung affermava l'esatto contrario.
Per il resto non è la pienezza del proprio stato che avvicina al centro di sé, ma il compimento delle proprie possibilità, altrimenti un criminale come hitler sarebbe un quasi dio. Per proprie possibilità sono da intendere tutte le caratteristiche appartenenti a un essere che tendono all'equilibrio perfetto, espressione proprio della centralità dell'essere. Significa che intelligenza, sentimento e volontà trovino il loro migliore equilibrio possibile per raggiungere la perfezione del loro stato che è insita nella loro natura e, dunque, quando non ancora matura, in uno stato di potenzialità in divenire. È dalla Perfezione immobile dell'unità che la molteplicità prende avvio attraverso la sua rifrazione, e a quella stessa Perfezione, attraverso la modalità ciclica, la molteplicità ritornerà al centro di sé.
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