Cito la firma dell'Admin:
Quanto più già si sa,
tanto più bisogna ancora imparare.
Con il sapere cresce nello stesso grado il non sapere,
o meglio il sapere del non sapere
Tralasciando, per doverosa compassione, l'architettura sintattica e drammatica di questa proposizione, mi rivolgo ai pochi sprazzi di luce che gli intelletti disturbati, in sforzo agli utenti di questo forum, occasionalmente hanno.
La frase sopra ripropone, con altre più infelici parole, quello che è stato chiamato il "paradosso di Goethe", nel quale è detto che: il sapere è come la superficie di una sfera immersa nell'oscurità. Più questa sarà vasta e maggiore sarà il buio che incontrerà.
È un'atroce e falsa banalità, perché la superficialità di un conoscere non è identificabile con la vera conoscenza. La sfera è qui intesa come rappresentante della totalità conosciuta, posta all'interno del mistero sconosciuto, e da questo ne è dedotta una conseguenza logica. Logica che suppone la totalità essere esclusivamente sulla superficie. Ma la sfera ha anche una centralità che costituisce il punto senza estensione del quale la sfera è l'espressione manifestata. C'è un conoscere che non sta sulla superficie della sfera, ma è nascosto al suo interno. Non si muove, non ruota modificandosi nei suoi princìpi, perché è immutabile anche se, nello scorrere del tempo cambia nella sua esteriorità, adattandosi alla diversità dei modi di affermare la stessa verità, come fanno i diversi linguaggi quando esprimono la stessa cosa.
Questa è la conoscenza identificativa e immediata, nella quale l'individuo che conosce è identico all'essenza della realtà conosciuta e, capovolgendone il punto di vista, da questa realtà è assimilato.
È il conoscere della centralità sempre uguale a se stessa ed è dal suo riflesso capovolto che la superficie nasce, capovolgendo, nel suo ribaltarne i valori, anche un conoscere che non potrà mai soddisfare le intelligenze che si nutrono della luce interiore.
Quanto più già si sa,
tanto più bisogna ancora imparare.
Con il sapere cresce nello stesso grado il non sapere,
o meglio il sapere del non sapere
Tralasciando, per doverosa compassione, l'architettura sintattica e drammatica di questa proposizione, mi rivolgo ai pochi sprazzi di luce che gli intelletti disturbati, in sforzo agli utenti di questo forum, occasionalmente hanno.
La frase sopra ripropone, con altre più infelici parole, quello che è stato chiamato il "paradosso di Goethe", nel quale è detto che: il sapere è come la superficie di una sfera immersa nell'oscurità. Più questa sarà vasta e maggiore sarà il buio che incontrerà.
È un'atroce e falsa banalità, perché la superficialità di un conoscere non è identificabile con la vera conoscenza. La sfera è qui intesa come rappresentante della totalità conosciuta, posta all'interno del mistero sconosciuto, e da questo ne è dedotta una conseguenza logica. Logica che suppone la totalità essere esclusivamente sulla superficie. Ma la sfera ha anche una centralità che costituisce il punto senza estensione del quale la sfera è l'espressione manifestata. C'è un conoscere che non sta sulla superficie della sfera, ma è nascosto al suo interno. Non si muove, non ruota modificandosi nei suoi princìpi, perché è immutabile anche se, nello scorrere del tempo cambia nella sua esteriorità, adattandosi alla diversità dei modi di affermare la stessa verità, come fanno i diversi linguaggi quando esprimono la stessa cosa.
Questa è la conoscenza identificativa e immediata, nella quale l'individuo che conosce è identico all'essenza della realtà conosciuta e, capovolgendone il punto di vista, da questa realtà è assimilato.
È il conoscere della centralità sempre uguale a se stessa ed è dal suo riflesso capovolto che la superficie nasce, capovolgendo, nel suo ribaltarne i valori, anche un conoscere che non potrà mai soddisfare le intelligenze che si nutrono della luce interiore.