"Il gioco delle perle di vetro", nel qualeHesse racconta di un ipotetico e speciale gioco che è in grado di tradurre la realtà nei suoi intimi meccanismi di principio, come se la realtà fosse il risultato di un meccanismo, è un libro truffa. Naturalmente di questo magico pallottoliere non dà mai nemmeno una sommaria descrizione di tipo logico, matematico o geometrico, ma non è questa mancanza che deprime. Il mio sconforto di lettore segue la consapevolezza che la totalità non potrà mai essere racchiusa in un sistema che sia qualcosa più che simbolico, essendo il simbolo il rappresentante muto della realtà, perché ne sintetizza i principi attraverso immagini, non altrimenti comunicabili, che evocano intuizioni interiori. Così è per i Tarocchi, per le Rune celtiche, per lo I Ching cinese e per altri microcosmi che racchiudono il macrocosmo, per la legge della corrispondenza analogica che è assicurata dal fatto che il grande deve obbedire alle leggi che regolano il piccolo poiché il grande è il risultato dell'unione dei piccoli. Dalla conoscenza dei principi universali nascono questi insiemi simbolici che, però, mai costituiscono un sistema di pensiero, e questo per un'impossibilità a esserlo derivata da ragioni precise. La più importante delle quali è che la totalità è indefinita nel suo racchiudere un tutto che per essere tutto ha necessità delle eccezioni, mentre ogni sistema ha il vezzo di costituire una sistematizzazione di pensiero che, per definizione, deve escludere ciò che non rientra nei suoi obiettivi e, di norma, quello che esclude è l'essenziale che non può essere colto dalla consequenzialità del pensiero, e quest'assenza della centralità ineffabile rende la sistemizzazione inapplicabile, illusoria e limitante. Un'altra ragione importante è data dal credere che il tutto possa riempire la logica del pensiero. È questa un'altra impossibilità, perché la logica, quando è rispettosa dei principi dai quali deriva e non un'assurda sequela di proposizioni casuali, è conseguenza ed effetto della verità, e in quanto tale non potrà a propria volta contenere interamente il proprio contenitore e comprendere la verità nella sua totalità. Su questa incomprensione di principio, che costituisce un pregiudizio, Hesse ci ha costruito un romanzo spacciandolo per il frutto di una conoscenza superiore che non è mai stata alla sua portata di comprensione.
Vorrei sottolineare che un simbolo, per essere compreso nella sua interezza, deve essere considerato non soltanto per ciò che contiene, ma anche per quello che esclude, e un simbolo universale non esclude nulla. Il Tao, per esempio, costituisce la rappresentazione piana, bidimensionale quindi, della spirale che è modulo del movimento ciclico universale, la quale ha un centro fisso che è asse, ed è racchiusa da una circonferenza. Il fatto che sia piana non esclude la vista tridimensionale, né la sua rotazione e neppure il fatto che la circonferenza diviene la distanza infinitesimale che misura e differenzia le spire tra loro. Occorre ricordare che in questo simbolo anche il nulla esterno dal quale esso è contenuto ha il suo senso simbolico.