Cleden ha scritto:La prima parte del tuo post mi ha messo un po' in crisi, nel senso che a me pare che si possano perlomeno distinguere due tipi di violenza: quella in risposta ad un'aggressione, quindi atta a difendersi, e quella, se così si può dire, "primaria", che esplode senza apparente provocazione.
Cerco di spiegare cosa intendevo partendo da un esempio tangenziale: prendi una "pistola", ovvero un oggetto atto a colpire violentemente chiunque sia sulla traiettoria di tiro una volta che si è premuto il grilletto.
A) da una parte si può dire che la "pistola" risulti "buona" o "cattiva" non di per sé, ma seconda dell'uso che se ne fa, per es. è "buona" se la uso per difendermi da un maniaco omicida, è "cattiva" se la uso per fare una rapina in banca (esempi stupidi, chiedo scusa).
B) dall'altra si può sostenere che a denotare la "pistola" non è l'uso che se ne fa (buono o cattivo a seconda, come nel punto A)), ma il suo stesso statuto, cioè la funzione per cui esiste, perché qualsiasi atto che tu possa eseguire con detta pistola, sarà comunque un atto per cui la pistola è designata (ovvero colpire chi sta sulla traiettoria di tiro). Una pistola non serve ad aprire i barattoli della conserva o per fermare delle carte volatili sulla scrivania, è la sua -funzione- a determinare il suo -statuto-, intrinseco e presente qualsiasi sia l'uso che se ne faccia.
Sostituendo "violenza" a "pistola", credo ora si capisca meglio.
Questo discorso è quello che Marshall McLuhan intendeva con la famosa frase "il medium è il messaggio" - ovvero il medium (la "pistola", la "violenza") scelto per veicolare il proprio messaggio ("difesa", "offesa", etc.) denota il tenore e la portata del messaggio, a prescindere da quale sia il messaggio nello specifico.
Perciò, a prescindere da quale sia il fine della violenza, il fatto di farvi ricorso implica determinate cose e ne esclude altre, e questo ha delle conseguenze sul tipo di messaggio che si può veicolare.
Detto questo, come scrivevo, purtroppo trovo che in determinate situazioni limite la violenza possa diventare una strada percorribile - a patto di comprenderne appieno il significato e saper fare i conti con le conseguenze. In quanto tale, qualsiasi sia la volontà alla base del suo utilizzo, rimarrebbe comunque una sconfitta e una incoerenza rispetto ad altre cose che posso sostenere.
La tua firma spiega molto bene il tuo modo di rapportarti con la violenza, e allora ti domando: quand'è che la violenza diventa una risposta necessaria? E secondo te i rapporti umani/sociali/professionali sono effettivamente , nel nostro tempo, sempre più improntati su prove di forza oppure alla fin fine l'uomo è sempre stato così?
Con la premessa che la mia firma non si richiama necessariamente alla violenza nei confronti dei "lupi" (credo ti riferissi a quella parte di firma, giusto?), credo che sia soggettivo il quando la violenza diventi necessaria - per quanto mi riguarda è "spero mai e comunque il più in là possibile, esaurite tutte le altre eventuali opzioni". Ciò non toglie che non la rifiuterei a priori (se non per innata incapacità, tutta da testare, per fortuna!) con tutte le conseguenze del caso.
La questione dei rapporti sociali in rapporto alla violenza credo sia più delicata. Non credo che sia aumentato il livello di violenza intrinseco all'umanità, ovvero il grado di violenza è credo in media stabile, tra volontà di conservazione e istinti territoriali (per quanto superabili). A mutare nel tempo trovo che sia il livello e la qualità delle connessioni tra individui, ossia del tessuto sociale: nel presente questa connessione, questo tessuto, è sicuramente più sfilacciato, e questo facilità l'emersione di forme di violenza latenti o comprovate.
Secondome.