Qualche giorno fa ho visto un film del 2008 di Spike Lee, intitolato Miracolo a Sant'Anna.
Il film narra le vicissitudini di un gruppo di soldati afroamericani della 92° divisione Buffalo che, nell'autunno del 1944, resta isolato in un paesino della Toscana. Il miracolo, cui allude il titolo, è quello di un bimbo scampato alla strage di Sant'Anna di Stazzema (Lucca), e raccolto dai soldati che lo tengono con loro.
Nel film entra dunque, senza costituirne il tema principale, un fatto storico, reale, l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, compiuto dai nazisti il 12 agosto del 1944 e sul quale si è potuto iniziare a fare luce solo negli anni Novanta del secolo scorso in seguito al ritrovamento, nei locali di Palazzo Cesi a Roma, della documentazione inerente le maggiori stragi nazifasciste, compresa quella di Sant'Anna (documentazione sull'occultamento della quale fu istituita una Commissione parlamentare di inchiesta, dopo che la questione era stata sollevata dal giornalista Franco Giustolisi nel libro L'armadio della vergogna).
Con quella storica arrivò anche la ricostruzione processuale, sfociata nella sentenza del 2005 pronunciata dal Tribunale Militare di La Spezia che condannò all'ergastolo, quali responsabili della strage di Sant'Anna, dieci ex appartenenti alle SS e inquadrò la strage come azione terroristica pianificata dai tedeschi contro la popolazione civile.
Alla luce di questa verità giudiziaria, che assolve il movimento partigiano da qualsiasi responsabilità diretta nell'eccidio mettendo fine a un'annosa polemica, è parso inaudito, prima alla sezione Anpi di Pietrasanta (Lucca), poi ad altri enti e a una parte dell'opinione pubblica, che il film di Spike Lee presenti la strage come la reazione delle SS alla mancata consegna da parte di un partigiano traditore (figura completamente inventata) del suo comandante. Il movimento partigiano si ritrova dunque direttamente implicato nell'eccidio nella sua rappresentazione cinematografica.
Quindi l'indignazione e la polemica. Dalle quali, leggendone qua e là, mi sono istintivamente all'inizio dissociata, pensando che il film è un'opera di fantasia, una creazione artistica che è e deve restare completamente libera, che il regista non è un professore di storia, che le sue finalità sono altre, che la storia si impara a scuola e per conto proprio, sui libri e soprattutto sui documenti. E qui ovviamente ho iniziato ad avere dei dubbi. E' davvero così? Possiamo dire che la maggior parte delle persone che vanno al cinema a vedere un film come Miracolo a Sant'Anna sa distinguere la realtà dalla fantasia, perché non è certo al cinema che è venuta a conoscenza dei fatti di quella strage (e di tanti altri pezzi di storia)? Il cinema non è un po'oggi, suo malgrado, investito di compiti che certe istituzioni, in primo luogo quella scolastica, non riescono più ad assolvere? Cioò non fa sì che l'artista debba porsi un problema nel momento in cui manipola la storia, e soprattutto certi punti caldi della storia, costitutivi di una memoria, di un'identità collettiva?
Il film narra le vicissitudini di un gruppo di soldati afroamericani della 92° divisione Buffalo che, nell'autunno del 1944, resta isolato in un paesino della Toscana. Il miracolo, cui allude il titolo, è quello di un bimbo scampato alla strage di Sant'Anna di Stazzema (Lucca), e raccolto dai soldati che lo tengono con loro.
Nel film entra dunque, senza costituirne il tema principale, un fatto storico, reale, l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, compiuto dai nazisti il 12 agosto del 1944 e sul quale si è potuto iniziare a fare luce solo negli anni Novanta del secolo scorso in seguito al ritrovamento, nei locali di Palazzo Cesi a Roma, della documentazione inerente le maggiori stragi nazifasciste, compresa quella di Sant'Anna (documentazione sull'occultamento della quale fu istituita una Commissione parlamentare di inchiesta, dopo che la questione era stata sollevata dal giornalista Franco Giustolisi nel libro L'armadio della vergogna).
Con quella storica arrivò anche la ricostruzione processuale, sfociata nella sentenza del 2005 pronunciata dal Tribunale Militare di La Spezia che condannò all'ergastolo, quali responsabili della strage di Sant'Anna, dieci ex appartenenti alle SS e inquadrò la strage come azione terroristica pianificata dai tedeschi contro la popolazione civile.
Alla luce di questa verità giudiziaria, che assolve il movimento partigiano da qualsiasi responsabilità diretta nell'eccidio mettendo fine a un'annosa polemica, è parso inaudito, prima alla sezione Anpi di Pietrasanta (Lucca), poi ad altri enti e a una parte dell'opinione pubblica, che il film di Spike Lee presenti la strage come la reazione delle SS alla mancata consegna da parte di un partigiano traditore (figura completamente inventata) del suo comandante. Il movimento partigiano si ritrova dunque direttamente implicato nell'eccidio nella sua rappresentazione cinematografica.
Quindi l'indignazione e la polemica. Dalle quali, leggendone qua e là, mi sono istintivamente all'inizio dissociata, pensando che il film è un'opera di fantasia, una creazione artistica che è e deve restare completamente libera, che il regista non è un professore di storia, che le sue finalità sono altre, che la storia si impara a scuola e per conto proprio, sui libri e soprattutto sui documenti. E qui ovviamente ho iniziato ad avere dei dubbi. E' davvero così? Possiamo dire che la maggior parte delle persone che vanno al cinema a vedere un film come Miracolo a Sant'Anna sa distinguere la realtà dalla fantasia, perché non è certo al cinema che è venuta a conoscenza dei fatti di quella strage (e di tanti altri pezzi di storia)? Il cinema non è un po'oggi, suo malgrado, investito di compiti che certe istituzioni, in primo luogo quella scolastica, non riescono più ad assolvere? Cioò non fa sì che l'artista debba porsi un problema nel momento in cui manipola la storia, e soprattutto certi punti caldi della storia, costitutivi di una memoria, di un'identità collettiva?