Sapevo che era una libera interpretazione del personaggio goethiano e manniano, ma poi mi sono resa conto che era sin troppo libera, perché Faust si trasforma in un novello Ulisse errabondo, mentre il diavolo non è che un essere deforme al suo servizio ed il patto con lui si protrae sin verso la fine.
Lo definirei un film postmoderno per gli innumerevoli effetti speciali, le citazioni letterarie, artistiche, simboliche, mentre allo spettatore rimane un senso di soffocamento di fronte all’ambientazione ottocentesca claustrofobicamente ossessiva fra stanze impolverate e vicoli in cui le persone si spingono di continuo per poter proseguire il cammino, oppure di repulsione vedendo la carne in disfacimento, proposta sin dall’inizio attraverso il sezionamento di un cadavere o nelle scene successive con la presenza repellente del diavolo, che viene accostata allo splendore della giovinezza, soprattutto quella di Margherita. Alla fine si rimane spossati proprio dall’errare continuo di Faust, che sembra non avere un senso, un obiettivo finale, una conclusione: il senso, forse, va colto proprio in questa sua continua ricerca.
Nemmeno il finale spettacolare filmato in Islanda, tra i geiser, mi ha convinto: voleva solo indicare la nuova curiosità del protagonista di fronte ai misteri della natura? Probabilmente sarò una dei molti che non comprendono il genio, chi lo sa?
Leggendo a posteriori le recensioni, mi sono consolata, perché anche fra i critici regna un’enorme confusione di fronte a quest’opera, da alcuni ritenuta enciclopedica.
Del resto mi sono anche assopita: avrei avuto bisogno, forse, di qualcuno che mi spiegasse ogni singola scena del film, dall’iniziale citazione di Magritte in poi…
P.S. Se qualcuno l’ha visto, mi saprebbe spiegare una scena in particolare, quella della donna che si fa visitare dal ginecologo oppure anche il ruolo interpretato da Hanna Schygulla?
Lo definirei un film postmoderno per gli innumerevoli effetti speciali, le citazioni letterarie, artistiche, simboliche, mentre allo spettatore rimane un senso di soffocamento di fronte all’ambientazione ottocentesca claustrofobicamente ossessiva fra stanze impolverate e vicoli in cui le persone si spingono di continuo per poter proseguire il cammino, oppure di repulsione vedendo la carne in disfacimento, proposta sin dall’inizio attraverso il sezionamento di un cadavere o nelle scene successive con la presenza repellente del diavolo, che viene accostata allo splendore della giovinezza, soprattutto quella di Margherita. Alla fine si rimane spossati proprio dall’errare continuo di Faust, che sembra non avere un senso, un obiettivo finale, una conclusione: il senso, forse, va colto proprio in questa sua continua ricerca.
Nemmeno il finale spettacolare filmato in Islanda, tra i geiser, mi ha convinto: voleva solo indicare la nuova curiosità del protagonista di fronte ai misteri della natura? Probabilmente sarò una dei molti che non comprendono il genio, chi lo sa?
Leggendo a posteriori le recensioni, mi sono consolata, perché anche fra i critici regna un’enorme confusione di fronte a quest’opera, da alcuni ritenuta enciclopedica.
Del resto mi sono anche assopita: avrei avuto bisogno, forse, di qualcuno che mi spiegasse ogni singola scena del film, dall’iniziale citazione di Magritte in poi…
P.S. Se qualcuno l’ha visto, mi saprebbe spiegare una scena in particolare, quella della donna che si fa visitare dal ginecologo oppure anche il ruolo interpretato da Hanna Schygulla?