@ Sick ~ Admin
Così poi se vorrò parlare di come certi atteggiamenti/condanne morali, possano contribuire ad aumentare il dissesto psichico in colei che ha optato per l’aborto, sarò nuovamente ot.
Una profonda connessione era a mio avviso rilevabile anche se non è difficile –visti gli ultimi interventi- ammettere che il terreno argomentativo stava assumendo rapidamente dimensioni più ampie.
Dai, poco male.
@ Lucio (se il tono confidenziale ti sembra eccessivo e/o sgradito recupererò altro approccio, scusandomi)
Trovo sia positivo –anzi- auspicabile che un individuo si
colori e si
accenda di entusiasmo su determinate questioni. Trovo ciò sia ovviamente indicativo di una tematica che si avverte particolarmente importante e spesso, questo porta alla considerazione e alla constatazione pratica che vi sia in proposito un lavorio documentale, concettuale, espositivo, di un certo pregio.
Questo concetto è talmente vero che- pressoché sempre- anche di fronte a posizioni, enunciati che denotano una certe
verve, mi astengo da connotare l’enfasi come elemento negativo a priori, proprio perché comprendo i moti che la generano.Mi riservo quindi di calarmi nei suoi contenuti, vedendoli all’atto pratico, nelle proprie valenze, ed è appunto questo che in un certo modo ti contesto.
Concordiamo entrambi che la vita è una cosa importante, temo però che la differenziazione cominci un istante dopo questa constatazione, in quanto per me non è affatto
sacra (nell’accezione primaria del termine) bensì, semplificando enormemente: (ed invito a cogliere la grossolana riduzione operata a beneficio della chiarezza espositiva) un aspetto biologico.
Questo intendimento, del quale è importante mantenere l’inferenza che argomenterò, mi permette di fare un certo numero di cose.
Mi permette di relegare ad un momento successivo la chiamata in causa di valori etico-morali.
Mi permette di considerare la vastità dell’impulso vitale presente in natura
Mi permette di ridimensionare notevolmente la reale portata della forma di vita che l’
homo sapiens testimonia.
Mi permette di combattere contro quell’ancestrale (e a mio avviso deleteria) propensione all’
homoiosis theo.
Mi permette di affermare che il
primato della vita non è sempre e comunque dichiarabile.
Ora, la possibilità di sottrarsi –o meglio – di relegare ad un momento successivo quel processo di aggregazione concettuale tra vita e valutazioni etico morali, non è un aspetto che una fede dogmatica, quella fede dogmatica, consente.
Ecco che allora si rimane (o si dovrebbe rimanere) imprigionati nel dogma, ed è giusto che sia così, perché esso esaurisce ogni abbrivio nell’autoreferenzialità e ciò accade perché sin dall’inizio esso si rende presunto portatore di verità assolute.
Non vi sono in realtà, alternative a quell’immobilismo perché, se da una parte rimanere strettamente collegato all’integralità del dogma, all’ortodossia del canone, relegherebbe l’individuo ad un insostenibile anacronismo, dall’altra parte, ogni movimento compiuto per avvicinare le due dimensioni, sgretola il sostrato sul quale le certezze si fondano.
La conseguenza diviene che la fede-quella fede- vedendo frantumarsi quel sostrato, ne ricerca altri, percorrendo terreni non congeniali, soluzioni antitetiche, cercando nuove modulazioni, nuovi spunti ove
ancorare i ruderi dei vecchi dogmi ai quali non si può rinunciare perché altrimenti crollerebbe tutto l’edificio.
L’interesse della Religione cattolica per le questioni genetiche è un esempio di quello che dicevo, così come tali sono le nuove contraddizioni che ne scaturiscono e le meno giovani che permangono.
Per quale motivo è necessario –relativamente all’aborto- urlare a squarciagola: «Omicidio», «Omicidio»?
Non sarebbe –quant’anche fosse- una delle testimonianze di quel libero arbitrio che la Divinità ci ha concesso e che relativamente a canoni di un certa tragicità si ripropone e ripropone incessantemente? Non sarebbe sufficiente il giudizio futuro che la stessa Divinità porterebbe a compimento senza auspicare emuli (spesso ben più colpevoli dei
condannati) sulla terra?
Ma ancora, perché preoccuparsi per la
rapida ed indolore morte «di un innocente» quando proprio essa gli aprirà “il regno dei cieli”.
Tutte queste valutazioni, potrebbero essere avanzate a ragion veduta non da un’etica religiosa, bensì da un etica laica, che non contemplando l’esistenza della divinità vedrebbe l’irripetibilità della vita, e l’impossibilità di riparare a gesti drammatici, invece..
Invece essa è ben più cauta nei propri enunciati, nelle proprie affermazioni, questo forse è dovuto al fatto che è conscia che le certezze si modulano rapidamente, alla stessa stregua delle convenzioni.
Credo a questo punto di aver affrontato alcuni interrogativi da te evidenziati, ma ne rimangono altri:
Già, perché stiamo parlando di vita, di vita in atto, non in pectore, quando ci riferiamo ad un embrione “in situ”. Posso concederti il dubbio (ma solo il dubbio, non la certezza) che possa parlarsi di “individuo in potenza” ancora quando l’uovo viaggia, giù per le tube, poiché se non riuscisse a fissare sulla parete uterina non avrebbe possibilità di svilupparsi. Ma una volta radicato… per toglierlo di là occorre ucciderlo, checché ne dica la “etica laica” che tu richiami.
Ti ho già spiegato precedentemente, che a mio avviso sarebbe auspicabile tu recuperassi l’interezza della posizione “Personalista” che tra l’altro coincide con la posizione attuale della Chiesa Cattolica. In base a ciò non concedermi nessun dubbio: consideralo
individuo sin da subito, non limitarti quindi all’
annidamento in utero, fai risalire la sua identità al momento giusto: al concepimento.
Tutto ciò non muta il mio sgomento, e quello che dicevo perché, biologicamente è –e rimane- un individuo in potenza.
Tu lo vuoi vedere come individuo effettivo? Tu non vuoi vedere nessuna differenza tra un agglomerato di trenta cellule ed un organismo compiuto? Hai ogni libertà in proposito, ma .. devi essere consapevole che la focale attraverso la quale compi tutto ciò non ha a che fare con la biologia in senso stretto ma con la bioetica (neppure di provenienza laica).
Tu poi
vuoi da me una definizione scientifica di quando un individuo possa considerarsi come tale.
Come saprai, il dibattito in proposito è ancora aperto, ma attenzione: non è e non sarà un dibattito strettamente scientifico, bensì modulato da un insieme di altre componenti che innestano valutazioni etico-morali su di un aspetto che inizialmente è asettico.
Soffermarsi a ciò però, è di scarsa utilità, vi è di scarsa utilità, ti è di scarsa utilità. Sì perché per quello che ti proponi di fare, per quello che imperiosamente senti di dover fare, basta lo stadio iniziale del concepimento.
Basta quello perché è su di esso che –a mo’ di perno- dipani le tue convinzioni, permeate da quel valore “assoluto” del quale credi di essere in possesso, noncurante delle contraddizioni che lo generano, che lo permeano, della relatività che lo
abita.
È la qualità assoluta che attribuisci a quel valore che ti fa essere
incauto e
maldestro e ti consente di proiettarti nel dramma altrui, nella tragicità di una spesso nefasta esperienza, strillando «omicidio», urlando «assassina»
Come e perché ti sia dato di fare tutto ciò, rimane misterioso, o forse, forse è semplicemente il solito vecchio discorso: alcune
verità possono tutto, anche superare -nel confronto- la
bruttura che vorrebbero combattere.