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La pastiera
Nell’immaginario collettivo, la “Pastiera” è un dolce tipico napoletano.
Di più. Forse la più classica e rappresentativa fra le milleuna squisitezze dolciarie che la fantasia partenopea, sollecitata pure da tante contaminazioni forestiere e straniere, ha prodotto nel corso dei secoli ed ancora consolano il palato di locali e di turisti.
Insomma, per i più, dire “Pastiera” è dire Napoli.
Ma, a rigore, non è affatto così!... e andiamo a vedere.
Un piatto “Tipico” lo si riconosce universalmente, nel linguaggio dei buongustai, come “ricetta” caratteristica di una località, perfettamente individuata nella preparazione e negli ingredienti, negli accorgimenti e gli inevitabili riti scaramantici da rispettare nella preparazione del piatto.
Naturalmente tutte hanno un piccolissimo segreto rigorosamente custodito, ma si sa… è quello che fa “Tipicità”
Così è dappertutto, e così anche a Napoli; e per esempio non ci saranno dubbi su come si fa “nu pignatiello ‘e purpetielle”!. Non c’è che un modo, una varietà di polipi, un tipo di pomodorini, una forma di tegame di coccio… o si fa così… o è “n’ata cosa”.
Ed infatti correttamente, quando qualcuno al “Borgo Marinaro”, pensò di metterci dentro anche qualche oliva nera di Gaeta, propose un nome diverso, che è rimasto: “Purpetielli alla Luciana”.
Ed anche per altre cose è così!... di classiche sfogliatelle se ne conoscono due, quella di Sgambati a via Toledo e quella di Scaturchio a piazza S.Domenico, ma fra loro so identiche se non per il fatto che Sgambati riesce a fornirle calde di forno per dodici ore al giorno e quelle di Saturchio costano una lira in meno… Chiaro il concetto?... questi sono piatti “Tipici”.
La “Pastiera” invece no. Di “Autentica, Originale ed Unica” ricette di pastiere ce n’è una per ogni napoletano che a Pasqua si impegna nella sua laboriosa preparazione.
Ed a Napoli, a Pasqua, “Tutti” fanno la pastiera!
A Napoli, le ricette “Originali” della pastiera sono, per quelli che a scuola hanno studiato Calcolo Combinatorio, le combinazioni di “n” elementi su “k” posti… eh si!... perché nemmeno è accertato con sicurezza quali siano gi ingredienti obbligatori, i facoltativi, i vietati…:
«Uh Marò! e vui accussì l’accidite, ‘sta povera pastiera del Bambino Gesù!...».
Non fateci caso nel dialetto napoletano la frequentazione della Sacra Famiglia è cosa frequente… sempre trattata con rispetto e devozione, però!
Spesso, a casa mia, a Pasqua si riuniscono un po’ di parenti, per festeggiare insieme la Resurrezione del Cristo. A volte più, a volte meno, ma i “fedelissimi” sono circa una trentina. Fra essi, tre cultori della celebre torta. Lo zio Pino, “Pupetta” la sorella di mia moglie, e mia figlia Vania.
Ed ogni anno, ineluttabile come la Morte e la Resurrezione, dopo la “minestra maritata”, l’ “agnello alla Pasqualina”, la “fellata”, e la “carcioffola romana”… arriva lei, la Pastiera . O meglio arrivano loro, le pastiere, nelle tre versioni differenti.
Gustate con garbo e parsimonia “Marò’, quest’anno abbiamo proprio esagerato, c’o’ magna!...” i tre tipi vengono assaggiati in silenzio, con rispetto ed attenzione. E solo sguardi indagatori malamente mascherati significano il tormento che cova dentro…
Poi qualcuno, ma mai gli artefici delle pastiere, che la cosa sarebbe indelicata, ma piuttosto uno dei fans non resiste, e rompe il silenzio sempre più pesante e…:
«Bisogna dire che quest’anno a mia moglie (o a mio marito), la pastiera gli è venuta davvero eccezionale!...»
Ancora un attimo di imbarazzato silenzio e:
«Hai ragione, si, buonissima davvero!... peccato solo che tua moglie non la sappia fare, la pastiera!...».
E qui le danze sono aperte ed il discorso si allarga, si ramifica, diventa dibattito, querelle, simposio culturale dove dottamente si citano testi ed celebri ricettari, e tradizioni antiche, Borboniche o Asburgiche, stili spagnoli e stili francesi, e genuine tradizioni del popolo dei vicoli, l’unico veramente da pensare come Napoletano…
E nella discussione che coinvolge tutti gli adulti (i piccoli hanno avuto il permesso di alzarsi da tavola) si scola la bottiglia di limoncello e quella del nocino (“Stupendo proprio quest’anno… mi devi dare la ricetta”… “E che bisogno c’è?... ne ho pronto per te, già messo da parte, nu bellu buttiglione” ). E naturalmente un ragionevole numero di “giri di caffè”!
Ma la discussione si spegne per esaurimento dei beveraggi offerti, e per stanchezza; non di argomenti. L’anno prossimo, alla nuova Pasqua, saremo tutti pronti e ben preparati per difendere fino all’ultimo la “Nostra” pastiera… che come certo sapete, è l’unica fatta con la vera, originale, tradizionale ricetta Napoletana!
Ho finito. Ed ora vi chiedete perché ho scritto questo papiello, e soprattutto perché l’ho sottotitolato “Omaggio a Tinarè”… ed è giusto. Mi spiego subito.
“Tinarè” è una mia dolcissima amica napoletana che nell’espansività tipica della sua gente si è offerta di mandarmi una pastiera per la prossima Pasqua.
Grazie, Tinarè, la pastiera ci piace assai, e sarebbe mancanza di finezza rifiutare un dono così generosamente offerto. Mandamela pure, la pastiera, sarà accolta con gioia!
Ma non mi chiedere di commentarla; né di apprezzarla, né di denigrarla… e nemmeno di metterla proprio in discussione…
Non ce la farei proprio ad aggiungere alle nostre tre, pure n’ata jacuvella!... già accussì facimme notte, si t’aunisci pure tu, facimm’ matina!
Lucio Musto 30 settembre 2008
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La pastiera
Omaggio a Tinarè
Nell’immaginario collettivo, la “Pastiera” è un dolce tipico napoletano.
Di più. Forse la più classica e rappresentativa fra le milleuna squisitezze dolciarie che la fantasia partenopea, sollecitata pure da tante contaminazioni forestiere e straniere, ha prodotto nel corso dei secoli ed ancora consolano il palato di locali e di turisti.
Insomma, per i più, dire “Pastiera” è dire Napoli.
Ma, a rigore, non è affatto così!... e andiamo a vedere.
Un piatto “Tipico” lo si riconosce universalmente, nel linguaggio dei buongustai, come “ricetta” caratteristica di una località, perfettamente individuata nella preparazione e negli ingredienti, negli accorgimenti e gli inevitabili riti scaramantici da rispettare nella preparazione del piatto.
Naturalmente tutte hanno un piccolissimo segreto rigorosamente custodito, ma si sa… è quello che fa “Tipicità”
Così è dappertutto, e così anche a Napoli; e per esempio non ci saranno dubbi su come si fa “nu pignatiello ‘e purpetielle”!. Non c’è che un modo, una varietà di polipi, un tipo di pomodorini, una forma di tegame di coccio… o si fa così… o è “n’ata cosa”.
Ed infatti correttamente, quando qualcuno al “Borgo Marinaro”, pensò di metterci dentro anche qualche oliva nera di Gaeta, propose un nome diverso, che è rimasto: “Purpetielli alla Luciana”.
Ed anche per altre cose è così!... di classiche sfogliatelle se ne conoscono due, quella di Sgambati a via Toledo e quella di Scaturchio a piazza S.Domenico, ma fra loro so identiche se non per il fatto che Sgambati riesce a fornirle calde di forno per dodici ore al giorno e quelle di Saturchio costano una lira in meno… Chiaro il concetto?... questi sono piatti “Tipici”.
La “Pastiera” invece no. Di “Autentica, Originale ed Unica” ricette di pastiere ce n’è una per ogni napoletano che a Pasqua si impegna nella sua laboriosa preparazione.
Ed a Napoli, a Pasqua, “Tutti” fanno la pastiera!
A Napoli, le ricette “Originali” della pastiera sono, per quelli che a scuola hanno studiato Calcolo Combinatorio, le combinazioni di “n” elementi su “k” posti… eh si!... perché nemmeno è accertato con sicurezza quali siano gi ingredienti obbligatori, i facoltativi, i vietati…:
«Uh Marò! e vui accussì l’accidite, ‘sta povera pastiera del Bambino Gesù!...».
Non fateci caso nel dialetto napoletano la frequentazione della Sacra Famiglia è cosa frequente… sempre trattata con rispetto e devozione, però!
Spesso, a casa mia, a Pasqua si riuniscono un po’ di parenti, per festeggiare insieme la Resurrezione del Cristo. A volte più, a volte meno, ma i “fedelissimi” sono circa una trentina. Fra essi, tre cultori della celebre torta. Lo zio Pino, “Pupetta” la sorella di mia moglie, e mia figlia Vania.
Ed ogni anno, ineluttabile come la Morte e la Resurrezione, dopo la “minestra maritata”, l’ “agnello alla Pasqualina”, la “fellata”, e la “carcioffola romana”… arriva lei, la Pastiera . O meglio arrivano loro, le pastiere, nelle tre versioni differenti.
Gustate con garbo e parsimonia “Marò’, quest’anno abbiamo proprio esagerato, c’o’ magna!...” i tre tipi vengono assaggiati in silenzio, con rispetto ed attenzione. E solo sguardi indagatori malamente mascherati significano il tormento che cova dentro…
Poi qualcuno, ma mai gli artefici delle pastiere, che la cosa sarebbe indelicata, ma piuttosto uno dei fans non resiste, e rompe il silenzio sempre più pesante e…:
«Bisogna dire che quest’anno a mia moglie (o a mio marito), la pastiera gli è venuta davvero eccezionale!...»
Ancora un attimo di imbarazzato silenzio e:
«Hai ragione, si, buonissima davvero!... peccato solo che tua moglie non la sappia fare, la pastiera!...».
E qui le danze sono aperte ed il discorso si allarga, si ramifica, diventa dibattito, querelle, simposio culturale dove dottamente si citano testi ed celebri ricettari, e tradizioni antiche, Borboniche o Asburgiche, stili spagnoli e stili francesi, e genuine tradizioni del popolo dei vicoli, l’unico veramente da pensare come Napoletano…
E nella discussione che coinvolge tutti gli adulti (i piccoli hanno avuto il permesso di alzarsi da tavola) si scola la bottiglia di limoncello e quella del nocino (“Stupendo proprio quest’anno… mi devi dare la ricetta”… “E che bisogno c’è?... ne ho pronto per te, già messo da parte, nu bellu buttiglione” ). E naturalmente un ragionevole numero di “giri di caffè”!
Ma la discussione si spegne per esaurimento dei beveraggi offerti, e per stanchezza; non di argomenti. L’anno prossimo, alla nuova Pasqua, saremo tutti pronti e ben preparati per difendere fino all’ultimo la “Nostra” pastiera… che come certo sapete, è l’unica fatta con la vera, originale, tradizionale ricetta Napoletana!
Ho finito. Ed ora vi chiedete perché ho scritto questo papiello, e soprattutto perché l’ho sottotitolato “Omaggio a Tinarè”… ed è giusto. Mi spiego subito.
“Tinarè” è una mia dolcissima amica napoletana che nell’espansività tipica della sua gente si è offerta di mandarmi una pastiera per la prossima Pasqua.
Grazie, Tinarè, la pastiera ci piace assai, e sarebbe mancanza di finezza rifiutare un dono così generosamente offerto. Mandamela pure, la pastiera, sarà accolta con gioia!
Ma non mi chiedere di commentarla; né di apprezzarla, né di denigrarla… e nemmeno di metterla proprio in discussione…
Non ce la farei proprio ad aggiungere alle nostre tre, pure n’ata jacuvella!... già accussì facimme notte, si t’aunisci pure tu, facimm’ matina!
Lucio Musto 30 settembre 2008
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