Un male terribile, fatale, che il Cielo forse inventò per castigar le colpe della terra, la Peste falcidiava gli animali della forsta.
Allora tenne il Leone un gran consiglio, e disse: - Amici miei, il Cielo ci castiga per le nostre colpe ! Per placarlo dobbiamo sacrificare il più colpevole tra noi. Per parte mia confesso di aver assassinato molti agnelli, poveri innocenti, e che per errore mangiai qualche volta anche il pastore.
- Sire, - disse la Volpe, - un buon re come voi forse al mondo non c'è. Che scrupoli son questi, Maestà, per quattro canagliucce di montoni? Non vedo che vi possa esser peccato a mangiar questa razza di minchioni.
No, no, signor, anzi fu un grande onore a ognun d'essi il sentirsi rosicchiato dai vostri denti. In quanto a quel pastore, meritava di peggio in verità, visto ch'egli osa il titolo di re vantar sopra le bestie.
Poi si confessano tutti: la Volpe, gli Orsi, le Iene...
Infine tocca all'Asino che contrito dichiara di aver brucato l'erba del santo prato del convento, non trovandone altra a causa della siccità.
Udito ciò, gridarono anatèma. Un Lupo, intinto di teologia, sorto a parlar sul tema, mostrò che ragione della moria veniva da questo miserabile spelacchiato, e che quindi occorreva impiccarlo per la sua colpa.
Mangiar dell'erba altrui...! ma si può dare azione più nefanda? La morte era una pena troppo blanda per espiar un così orribile misfatto. E come disse il giudice fu fatto.
Della giustizia quando siede al banco, sempre il potente come giglio è bianco, ma se a seder si pone il poveraccio, è un sacco di carbone.
La morale è quella in neretto.
Ma io ne vedo anche un altra. Basta guardare la vita di tutti i giorni.
Non occorre un tribunale per impiccare un innocente.
Mai capitato di penzolare da una corda?
Mai visto altri, al di là di ogni logica, metterci qualcuno a penzolare?
Allora tenne il Leone un gran consiglio, e disse: - Amici miei, il Cielo ci castiga per le nostre colpe ! Per placarlo dobbiamo sacrificare il più colpevole tra noi. Per parte mia confesso di aver assassinato molti agnelli, poveri innocenti, e che per errore mangiai qualche volta anche il pastore.
- Sire, - disse la Volpe, - un buon re come voi forse al mondo non c'è. Che scrupoli son questi, Maestà, per quattro canagliucce di montoni? Non vedo che vi possa esser peccato a mangiar questa razza di minchioni.
No, no, signor, anzi fu un grande onore a ognun d'essi il sentirsi rosicchiato dai vostri denti. In quanto a quel pastore, meritava di peggio in verità, visto ch'egli osa il titolo di re vantar sopra le bestie.
Poi si confessano tutti: la Volpe, gli Orsi, le Iene...
Infine tocca all'Asino che contrito dichiara di aver brucato l'erba del santo prato del convento, non trovandone altra a causa della siccità.
Udito ciò, gridarono anatèma. Un Lupo, intinto di teologia, sorto a parlar sul tema, mostrò che ragione della moria veniva da questo miserabile spelacchiato, e che quindi occorreva impiccarlo per la sua colpa.
Mangiar dell'erba altrui...! ma si può dare azione più nefanda? La morte era una pena troppo blanda per espiar un così orribile misfatto. E come disse il giudice fu fatto.
Della giustizia quando siede al banco, sempre il potente come giglio è bianco, ma se a seder si pone il poveraccio, è un sacco di carbone.
La morale è quella in neretto.
Ma io ne vedo anche un altra. Basta guardare la vita di tutti i giorni.
Non occorre un tribunale per impiccare un innocente.
Mai capitato di penzolare da una corda?
Mai visto altri, al di là di ogni logica, metterci qualcuno a penzolare?