«Anche le formiche, nel loro piccolo, s’incazzano» era il titolo di un libro famoso. Perché proprio le formiche si fanno la guerra? Leggete queste due citazioni.
Massimo Fini, «Elogio della guerra», Marsilio
«Nel mondo animale il fenomeno della guerra fra individui della stessa specie è pressoché sconosciuto. Gli animali, nella quasi totalità dei casi, non si fanno la guerra; la loro attività predatrice è rivolta contro altre specie delle quali si nutrono. E non è un caso che le rarissime eccezioni riguardino specie, come le api e soprattutto le formiche, dove esistono alcune condizioni tipiche delle società umane: gerarchia, lavoro organizzato, proprietà».
Henry David Thoreau, «Walden ovvero Vita nei boschi», Bur
«Un giorno che ero uscito per andare alla mia catasta di legna, o piuttosto alla mia catasta di ceppi, osservai due grandi formiche, una rossa e una nera (questa molto più grande della prima e più lunga di quasi mezzo pollice) che combattevano ferocemente tra loro. Una volta che riuscirono ad afferrarsi, non si lasciarono più andare, ma lottarono e combatterono e si rotolarono senza posa sulle scaglie di legno.
Guardando più in là, fui sorpreso di scorgere che le scaglie erano coperte di altri simili combattenti, e che quello non era un duellum, ma un bellum, una guerra tra due razze di formiche, le rosse sempre schierate contro le nere e, spesso, due rosse contro una nera. Le legioni di questi Mirmidoni coprivano tutte le colline e le valli della mia legnaia, e il terreno era già cosparso di morti e morenti, rossi e neri. Fu la sola battaglia alla quale io abbia assistito, il solo campo di battaglia sul quale io abbia mai camminato, mentre la lotta ancora continuava; era una guerra mortale; da una parte c’erano i rossi repubblicani, dall’altra i neri imperialisti. Le due fazioni erano impegnate in un duello mortale, ma non si poteva udire rumore alcuno, e però credo che mai soldati umani combatterono con pari risolutezza.
Osservai una coppia strettamente allacciata in un mutuo abbraccio, in una piccola valle solatia in mezzo alle scaglie di legno, ora, a mezzogiorno, pronta a combattere finché il sole o la vita scomparissero. Il più piccolo campione rosso si era stretto come una tenaglia alla parte frontale del suo avversario e, malgrado tutti i capitomboli su quel campo, non smise neppure per un istante di rosicchiare alla radice una delle antenne del suo nemico, che già aveva completamente privato di un’altra. Intanto la formica nera, che era la più forte, sbatteva quella rossa da una parte e dall’altra; come vidi avvicinandomi, l’aveva a sua volta già privata di diverse membra. Combattevano con maggiore tenacia di bulldogs, e né l’una né l’altra appariva disposta a ritirarsi. Era chiaro che il loro grido di battaglia era: “Vincere o morire”.
Nel frattempo giunse al declivio di questa valle una formica rossa, isolata, chiaramente piena di eccitazione, o perché aveva ucciso il proprio nemico oppure perché non aveva ancora preso parte alla battaglia. Probabilmente l’ultima supposizione era la più vera, poiché aveva ancora tutte le membra intatte. Sua madre doveva averle comandato di ritornare o con lo scudo o sopra di esso. O forse era un qualche Achille il quale, appartato, aveva nutrito la propria ira, e ora veniva a vendicare o salvare il suo Patroclo. Vide da lontano questa lotta impari – perché le formiche nere erano grandi quasi il doppio delle rosse – e si avvicinò con rapida andatura. Si mise in guardia, a mezzo pollice dai combattenti; poi, cogliendo il momento opportuno, balzò sul guerriero nero, e cominciò le sue operazioni vicino alla radice della zampa destra anteriore, offrendo le sue proprie membra all’attacco dell’avversario.
Così ora c’erano tre formiche, unite per la vita, quasi fosse stata scoperta una nuova specie di attrazione che rendesse inutile ogni altro tipo di legame e cemento. Adesso non mi sarei meravigliato neppure se avessi scoperto che ambedue gli eserciti avevano le loro rispettive bande musicali, situate su qualche scheggia più alta, le quali per tutto il tempo suonassero, i rispettivi inni nazionali onde eccitare i lenti a combattere e rallegrare chi moriva. In qualche modo ero eccitato io stesso, quasi quelle formiche fossero state uomini. E più ci si pensa, minore appare la differenza».
Massimo Fini, «Elogio della guerra», Marsilio
«Nel mondo animale il fenomeno della guerra fra individui della stessa specie è pressoché sconosciuto. Gli animali, nella quasi totalità dei casi, non si fanno la guerra; la loro attività predatrice è rivolta contro altre specie delle quali si nutrono. E non è un caso che le rarissime eccezioni riguardino specie, come le api e soprattutto le formiche, dove esistono alcune condizioni tipiche delle società umane: gerarchia, lavoro organizzato, proprietà».
Henry David Thoreau, «Walden ovvero Vita nei boschi», Bur
«Un giorno che ero uscito per andare alla mia catasta di legna, o piuttosto alla mia catasta di ceppi, osservai due grandi formiche, una rossa e una nera (questa molto più grande della prima e più lunga di quasi mezzo pollice) che combattevano ferocemente tra loro. Una volta che riuscirono ad afferrarsi, non si lasciarono più andare, ma lottarono e combatterono e si rotolarono senza posa sulle scaglie di legno.
Guardando più in là, fui sorpreso di scorgere che le scaglie erano coperte di altri simili combattenti, e che quello non era un duellum, ma un bellum, una guerra tra due razze di formiche, le rosse sempre schierate contro le nere e, spesso, due rosse contro una nera. Le legioni di questi Mirmidoni coprivano tutte le colline e le valli della mia legnaia, e il terreno era già cosparso di morti e morenti, rossi e neri. Fu la sola battaglia alla quale io abbia assistito, il solo campo di battaglia sul quale io abbia mai camminato, mentre la lotta ancora continuava; era una guerra mortale; da una parte c’erano i rossi repubblicani, dall’altra i neri imperialisti. Le due fazioni erano impegnate in un duello mortale, ma non si poteva udire rumore alcuno, e però credo che mai soldati umani combatterono con pari risolutezza.
Osservai una coppia strettamente allacciata in un mutuo abbraccio, in una piccola valle solatia in mezzo alle scaglie di legno, ora, a mezzogiorno, pronta a combattere finché il sole o la vita scomparissero. Il più piccolo campione rosso si era stretto come una tenaglia alla parte frontale del suo avversario e, malgrado tutti i capitomboli su quel campo, non smise neppure per un istante di rosicchiare alla radice una delle antenne del suo nemico, che già aveva completamente privato di un’altra. Intanto la formica nera, che era la più forte, sbatteva quella rossa da una parte e dall’altra; come vidi avvicinandomi, l’aveva a sua volta già privata di diverse membra. Combattevano con maggiore tenacia di bulldogs, e né l’una né l’altra appariva disposta a ritirarsi. Era chiaro che il loro grido di battaglia era: “Vincere o morire”.
Nel frattempo giunse al declivio di questa valle una formica rossa, isolata, chiaramente piena di eccitazione, o perché aveva ucciso il proprio nemico oppure perché non aveva ancora preso parte alla battaglia. Probabilmente l’ultima supposizione era la più vera, poiché aveva ancora tutte le membra intatte. Sua madre doveva averle comandato di ritornare o con lo scudo o sopra di esso. O forse era un qualche Achille il quale, appartato, aveva nutrito la propria ira, e ora veniva a vendicare o salvare il suo Patroclo. Vide da lontano questa lotta impari – perché le formiche nere erano grandi quasi il doppio delle rosse – e si avvicinò con rapida andatura. Si mise in guardia, a mezzo pollice dai combattenti; poi, cogliendo il momento opportuno, balzò sul guerriero nero, e cominciò le sue operazioni vicino alla radice della zampa destra anteriore, offrendo le sue proprie membra all’attacco dell’avversario.
Così ora c’erano tre formiche, unite per la vita, quasi fosse stata scoperta una nuova specie di attrazione che rendesse inutile ogni altro tipo di legame e cemento. Adesso non mi sarei meravigliato neppure se avessi scoperto che ambedue gli eserciti avevano le loro rispettive bande musicali, situate su qualche scheggia più alta, le quali per tutto il tempo suonassero, i rispettivi inni nazionali onde eccitare i lenti a combattere e rallegrare chi moriva. In qualche modo ero eccitato io stesso, quasi quelle formiche fossero state uomini. E più ci si pensa, minore appare la differenza».