Prima di tutto, carte in tavola. Io non sono affatto comunista, ma non mi sento di liquidare il comunismo come «un’utopia sconfitta dalla storia» e niente di più. E nemmeno di ridurre tutta la sua storia ed essenza al lunghissimo elenco delle sue vittime. Sarebbe un giudizio superficiale, fazioso, ideologico e sbagliato. Il comunismo, nelle sue varie forme, è stato anche molto altro e un giudizio storico completo e intellettualmente onesto dovrebbe essere ben più profondo e complesso.
Per inciso, essere anticomunisti non significa necessariamente essere «di destra» o simpatizzare per Berlusconi o Mussolini. Lungi da me! Non significa nemmeno vedere comunisti in agguato dietro ogni angolo: quello era il maccartismo. Sono d’accordo con Mario Monti: nel nostro paese perdurano tanti piccoli gruppi di «nostalgici» del comunismo (spesso conservatori e anacronistici), ma chi afferma che in Italia esiste un «pericolo comunista» vive fuori dalla realtà o mente sapendo di mentire. Oggi l’unico «spettro che si aggira per l’Europa» è quello della triplice crisi: bancaria, di debito e di crescita economica. I maccartisti possono dormire sonni tranquilli.
Leggevo una dichiarazione di Marco Ferrando: «Il Partito Comunista dei Lavoratori rivendica apertamente un programma anticapitalista: per la nazionalizzazione – senza indennizzo – delle grandi industrie che licenziano o inquinano a partire dalla Fiat e dall’Ilva; per la nazionalizzazione tramite esproprio – salvaguardando i piccoli risparmiatori – del sistema bancario e l’annullamento del debito pubblico verso gli istituti di credito sia italiani che esteri; per l’indipendenza dello stato italiano dalla chiesa e per una piena laicità delle istituzioni intendiamo abrogare il concordato tra Italia e Vaticano, espropriando lo Ior ed aprendo i suoi libri contabili».
A parte la laicità e l’indipendenza dello Stato italiano (sulle quali, si spera, siamo tutti d’accordo), vorrei sapere quanti in Italia credono ancora a queste cose… e quanti realmente si spaventano se un partitino che forse non arriverà all’1% promette di realizzarle…
Segnalo qualche voce più autorevole della mia sull’argomento.
Chi ha tentato di raccontare, paese per paese, tutti i crimini compiuti dai regimi comunisti è il pool di accademici francesi del CNRS, guidati dallo storico Stéphane Curtois, che nel 1997 ha pubblicato «Il libro nero del comunismo» (edito in Italia da Mondadori). L’opera è notevole e merita attenzione, ma è stata accusata da più parti di essere faziosa e piena di errori sui fatti. Un gruppo di storici, economisti e sociologi, tra cui Jean Ziegler, ha scritto una sorta di replica (pubblicata in Italia da Net): «Il libro nero del capitalismo».
Lo storico Giorgio Galli – autore in gioventù di una storia critica del Pci, che gli era valsa la fama di «anticomunista e anche peggio» – rispose con il pamphlet «In difesa del comunismo» (Kaos Edizioni). Secondo Galli, gli «ottantacinque milioni di morti causati dagli scontri politici del XX secolo» non sarebbero «tutta colpa del comunismo», del fascismo e del nazismo: le democrazie occidentali sarebbero corresponsabili. Il pamphlet «ricostruisce e documenta una indubbia responsabilità collettiva che l’attuale demonizzazione storica del comunismo vorrebbe mistificare. Attraverso la condanna di una “grande illusione”, quale certamente è stato il comunismo, si vorrebbe infatti cancellare l’aspirazione millenaria a una società più libera, più egualitaria e più felice. E questa “difesa del comunismo” è anche la difesa di tale prospettiva».
«La storia negata», a cura di Angelo Del Boca (Neri Pozza Editore), è un’altra raccolta di scritti di storici famosi, quali Nicola Tranfaglia, Giovanni De Luna, Mario Isnenghi, Mimmo Franzinelli. Gli autori denunciano «l’uso politico della storia» attuato negli ultimi anni «relativizzando gli orrori del nazismo e della Soluzione Finale, depenalizzando il fascismo e la sua classe dirigente, delegittimando la Resistenza e demonizzando il comunismo».
L’attore ebreo Moni Ovadia ha scritto per Einaudi «Lavoratori di tutto il mondo, ridete»: l’epopea comunista è raccontata «attingendo al tesoro della diceria popolare, della canzonatura, dell’aneddoto, della storiella autodelatoria». Il tutto «visto attraverso la lente dell’umorismo, l’arma più potente che abbiamo per prevenire la violenza». Secondo l’autore, un «revisionismo strumentale oggi vorrebbe far credere, per precise motivazioni politiche, che quella del comunismo fu solo una storia di orrori. Non è così: fu una storia di uomini, di idee, di sacrifici, di dedizione, di tradimenti, sofferenze e dolori che non può essere archiviata nel bidone della spazzatura della storia televisiva».