L’amore, nelle sue diverse forme di attaccamento e nelle sue
manifestazioni più positive e più sane, rappresenta una importante
capacità e, al contempo, un naturale e profondo bisogno di ogni essere
umano. Talvolta, tuttavia, la frustrazione o l’assenza di esperienze
serene di questo sentimento umano, frequenti nell’attuale società ricca
di rapporti instabili, possono generare un disconoscimento o una
negazione di questo bisogno, che rappresenta invece un importante
ingrediente di un sano sviluppo psicofisico e di una buona salute
mentale e fisica nella vita adulta. Quando un rapporto affettivo
diventa un “legame che stringe” o, ancor peggio, “dolorosa ossessione”
in cui si altera stabilmente quel necessario equilibrio tra il “dare” e
il “ricevere”, l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino
a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio
psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per
l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un
costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche
psicologiche, fisiche e relazionali.
In sintesi,
le principali manifestazioni di questo tipo d'amore sarebbero:
* Il piacere connesso alla droga d’amore , definito anche ebbrezza
, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle
reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
* La tolleranza , definita anche dose , consiste nel bisogno di
aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner,
riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i
contatti con l’esterno della coppia, un comportamento che sembra
alimentato dall’assenza della capacità di mantenere una “presenza
interiorizzata” e quindi di rassicurarsi attraverso il pensiero
dell’altro nella propria vita . L’assenza della persona da cui si
dipende porta pertanto ad uno stato di prostrazione e di disperazione
che può essere interrotto solo dalla sua presenza tangibile.
* L’incapacità a controllare il proprio comportamento , connessa alla
perdita dell’Io ossia della capacità critica relativa a sé, alla
situazione e all’altro, una riduzione di lucidità che crea vergogna e
rimorso e che in taluni momenti viene sostituita da una temporanea
lucidità, cui segue un senso di prostrante sconfitta e una ricaduta,
spesso più profonda che mai, nella dipendenza che fa sentire più
imminenti di prima i propri bisogni legati all’altro.
Mi sono interrogata su di me. Non escludo di aver vissuto esperienze di
questo tipo in giovane età ma, fortunatamente, il tempo le ha
trasformate o interrotte.
Voi vi riconoscete o vi siete riconosciuti in quanto sovraesposto?
manifestazioni più positive e più sane, rappresenta una importante
capacità e, al contempo, un naturale e profondo bisogno di ogni essere
umano. Talvolta, tuttavia, la frustrazione o l’assenza di esperienze
serene di questo sentimento umano, frequenti nell’attuale società ricca
di rapporti instabili, possono generare un disconoscimento o una
negazione di questo bisogno, che rappresenta invece un importante
ingrediente di un sano sviluppo psicofisico e di una buona salute
mentale e fisica nella vita adulta. Quando un rapporto affettivo
diventa un “legame che stringe” o, ancor peggio, “dolorosa ossessione”
in cui si altera stabilmente quel necessario equilibrio tra il “dare” e
il “ricevere”, l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino
a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio
psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per
l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un
costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche
psicologiche, fisiche e relazionali.
In sintesi,
le principali manifestazioni di questo tipo d'amore sarebbero:
* Il piacere connesso alla droga d’amore , definito anche ebbrezza
, ovvero la sensazione di euforia sperimentata in funzione delle
reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
* La tolleranza , definita anche dose , consiste nel bisogno di
aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner,
riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e dell’altro e i
contatti con l’esterno della coppia, un comportamento che sembra
alimentato dall’assenza della capacità di mantenere una “presenza
interiorizzata” e quindi di rassicurarsi attraverso il pensiero
dell’altro nella propria vita . L’assenza della persona da cui si
dipende porta pertanto ad uno stato di prostrazione e di disperazione
che può essere interrotto solo dalla sua presenza tangibile.
* L’incapacità a controllare il proprio comportamento , connessa alla
perdita dell’Io ossia della capacità critica relativa a sé, alla
situazione e all’altro, una riduzione di lucidità che crea vergogna e
rimorso e che in taluni momenti viene sostituita da una temporanea
lucidità, cui segue un senso di prostrante sconfitta e una ricaduta,
spesso più profonda che mai, nella dipendenza che fa sentire più
imminenti di prima i propri bisogni legati all’altro.
Mi sono interrogata su di me. Non escludo di aver vissuto esperienze di
questo tipo in giovane età ma, fortunatamente, il tempo le ha
trasformate o interrotte.
Voi vi riconoscete o vi siete riconosciuti in quanto sovraesposto?