nextlife ha scritto: NinfaEco ha scritto:@ Next
Immagino che non sia una puntualizzazione di poco conto anche se non riesco ad intuirne tutte le implicazioni. So che in questi ambiti i distinguo da fare sono molti e l'attaccamento alla terminologia non è immotivato.
Io quando parlo di certe cose mi muovo sempre nell'ottica della psicoanalisi perchè questa è la mia esperienza. Ora lo sai. Anche quando mi stavo riferendo al percorso lungo mi muovevo in quest'ottica.
L’ho capito perfettamente già molto tempo fa e permettimi: per me è un errore a qualsiasi livello, ma maggiormente in relazione ad uno spazio descrittivo, ove l’intero arco possibilistico e il fatto che si stia optando, che si stia rappresentando una delle direzioni possibili, deve essere accuratamente illustrato.
Anche a tale scopo – e non per diletto argomentativo – è utile la distinzione terminologica.
Con un fugace occhio proprio a questo aspetto, così: proprio riferendosi al termine in questione, che senza ulteriori specifiche può rimandare ad un’accezione generale oppure ortodossa, sto chiedendo a me stesso, quanti siano gli indirizzi psicoanalitici all’interno del paradigma psicodinamico (ricordiamolo: uno dei possibili della proposta psicoterapeutica totale). Sai cosa mi rispondo, senza neppure enumerarli mentalmente? Quattro/Cinque.
NinfaEco ha scritto:Ci mancherebbe ...ti ho fatto una testa così
Quali sarebbero le variabili?
NinfaEco ha scritto:Purtroppo a certe cose non avevo mica pensato.
Ti rispondo di là per le critiche all'analisi? o di qua?
Nel dubbio agisco.
Non si può rimproverare alla psicoanalisi di prevedere un percorso lungo perchè il suo obiettivo è l'accesso al profondo, non il contenimento dei sintomi. Non mi sembra che la psicoanalisi si circondi di una aura di infallibilità visto che non promette una guarigione. I costi sì, sono alti e questo ( parere di Ninfa) dipende più che da i costi di formazione degli psicoanalisti dal suo essere nata in ambiente borghese. Una persona una volta mi disse che solo chi vive discretamente può permettersi una nevrosi, i poveri in genere diventano direttamente psicotici.
Le ho sparate grosse. Ma caro, posso spiegarti
Ma come sarebbe a dire: «non si può»?
Certo che si può e di più: sì deve ed infatti è stato fatto.
Da quanto scrivi, sembra che tu non abbia preso atto del lavoro meta-critico che ha interessato negli ultimi decenni le tecniche psicoterapeutiche, ovviamente quelle esistenti, fornendo una mole impressionante di dati che riguardano i concetti di efficienza ed efficacia, attendibilità e controllabilità, che messi in relazione alla tipologia di problema, disagio, disturbo, costituiscono (dovrebbero) proprio le variabili grazie alle quali applicare un determinato modello psicoterapeutico o meno, con il proposito non di conclamare nuovamente l’indirizzo di appartenenza, e di farlo a tutti i costi, bensì di assumere come elemento primario di attenzione, il problema del paziente, e quindi essere in grado di effettuare le scelte più idonee (ma su questo aspetto vi ritornerò).
Già solo i dati di cui sopra, hanno consegnato una situazione non troppo rosea per la psicoanalisi, e anche l’aspetto – che non è una novità – dell’evidenziazione di ricadute sintomatiche a fronte di psicoterapie brevi, non è così scontato.
Oltre a questa tipologia di dati, è proprio l’impianto generale che ha subito profonde critiche.
Ti chiedo: le Neuroscienze, con i loro progressi: quale tipo di inconscio hanno contribuito ad evidenziare? Più simile a quale rappresentazione paradigmatica?
Ma ancora: tutta la struttura non vacilla forse dinnanzi a quelle situazioni nelle quali l’individuo presenta una valida forma d’insight, senza che questo comporti la capacità di arginare, risolvere i propri problemi? Per dirne una: nelle fobie, pensi che questa sia una rara eventualità?
Ma di nuovo: il problema metodologico della ricerca delle cause del disagio/../.. del paziente nel passato, ti dice nulla? Si è scritto molto su tale questione, evidenziando obiezioni non di poco conto.
E poi guarda, mi fermo qua poiché – contesto a parte – si rischia di trascendere gli scopi e far passare l’intendimento che tutto sia da rottamare.
Voglio però abbozzare il mio pensiero, che immagino in qualche modo si sia già intuito.
Non è tanto importante conclamare questa o quell’identità terapeutica a priori (tu ben capirai come ciò abbia a che fare con il concetto di identità
personale anche per il terapeuta), è (sarebbe*) importante il paziente e il suo problema, disagio, disturbo, quellochevuoi avendo ben presente che
una psicoterapia che non funziona non è una psicoterapia al di là di ogni pretesa di rapportarsi alle resistenze ad oltranza che diventano il fulcro per 5-7 anni del lavoro psicoterapeutico.
In tale ottica bisognerebbe trovarsi nelle condizioni di strutturare interventi che abbiano costi esistenziali minimi per l’individuo e quindi, considerando i concetti di efficacia ed efficienza, privilegiare le terapie brevi, per poi passare a soluzioni diverse.
Ovvio che per fare ciò, serve un professionista duttile, elastico, aggiornato ed informato sulle varie proposte e magari in grado – a fronte di un determinato iter formativo – di optare per una pluralità di opzioni o più semplicemente: avvezzo a saggiarne i limiti e a non esporre il paziente ad inutili
accanimenti.
Diciamo poi, che molti di questi aspetti non sono ignorati dai codici deontologici di riferimento.