Può esserlo di un ex paziente, cioè quando è finita la terapia?
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E viceversa, Yale, e viceversa.Yale ha scritto:A me, in realtà, verrebbe da girare la domanda: perché un paziente dovrebbe essere amico di uno psicoterapeuta?
@ Nextlife: io le penso, tu le scrivi. A me l'ossessione, a te la compulsione.
Non ho capito cosa intendi, scusami.nextlife ha scritto:
Vorrei poi insistere un attimo – riprendendola – su di una puntualizzazione che avevo già proposto nel post che ha sancito il mio ritorno su questo forum: il concetto di «terapia».
Ora: è pur vero che la contestualizzazione può favorire la declinazione psicoterapeutica, ma è anche vero che il tuo intento, ben – e maggiormente – si può applicare al concetto generale.
Quale proposito?Quando realizzerai il tuo proposito, vorrei nuovamente indirizzarti un sincero «in bocca al lupo», per saper richiamare e ben collocare – relativamente al discorso psicoterapeutico – quella tua affermazione: «la terapia è un percorso personale molto lungo», che nell’occasione sopra illustrata, ho contestato.
Ma certamente.NinfaEco ha scritto:Non ho capito cosa intendi, scusami.nextlife ha scritto:
Vorrei poi insistere un attimo – riprendendola – su di una puntualizzazione che avevo già proposto nel post che ha sancito il mio ritorno su questo forum: il concetto di «terapia».
Ora: è pur vero che la contestualizzazione può favorire la declinazione psicoterapeutica, ma è anche vero che il tuo intento, ben – e maggiormente – si può applicare al concetto generale.
Mi potresti spiegare ?
NinfaEco ha scritto:Quale proposito?nextlife ha scritto: Quando realizzerai il tuo proposito, vorrei nuovamente indirizzarti un sincero «in bocca al lupo», per saper richiamare e ben collocare – relativamente al discorso psicoterapeutico – quella tua affermazione: «la terapia è un percorso personale molto lungo», che nell’occasione sopra illustrata, ho contestato.
Ho capito che lo pensi, ma torno ad evidenziarlo come errore poiché - in realtà - dipende da alcuni variabili (ad esempio, per dirne una: ti saranno noti i successi di alcune psicoterapie brevi, no?).NinfaEco ha scritto:
Io credo che la terapia sia un percorso personale molto lungo perchè giungere in profondità non è semplice e ancora di meno lo è cambiare.
Ci mancherebbe ...ti ho fatto una testa cosìHo capito che lo pensi, ma torno ad evidenziarlo come errore poiché - in realtà - dipende da alcuni variabili (ad esempio, per dirne una: ti saranno noti i successi di alcune psicoterapie brevi, no?).
Tra le altre cose: terapia eccessivamente lunga, quindi eccessivamente costosa, nonché l’autoreferenzialità e caratteristiche intrinseche dell’indirizzo (per le quali ad esempio: l’operatore non fallisce mai), sono precisamente alcune delle critiche più pressanti che vengono proprio avanzate alla psicoanalisi.
Anche (e forse in maggior misura) questo, era uno degli aspetti da approcciare in quel «bel discorso»
L’ho capito perfettamente già molto tempo fa e permettimi: per me è un errore a qualsiasi livello, ma maggiormente in relazione ad uno spazio descrittivo, ove l’intero arco possibilistico e il fatto che si stia optando, che si stia rappresentando una delle direzioni possibili, deve essere accuratamente illustrato.NinfaEco ha scritto:@ Next
Immagino che non sia una puntualizzazione di poco conto anche se non riesco ad intuirne tutte le implicazioni. So che in questi ambiti i distinguo da fare sono molti e l'attaccamento alla terminologia non è immotivato.
Io quando parlo di certe cose mi muovo sempre nell'ottica della psicoanalisi perchè questa è la mia esperienza. Ora lo sai. Anche quando mi stavo riferendo al percorso lungo mi muovevo in quest'ottica.
NinfaEco ha scritto:
Ci mancherebbe ...ti ho fatto una testa così
Quali sarebbero le variabili?
Ma come sarebbe a dire: «non si può»?NinfaEco ha scritto:
Purtroppo a certe cose non avevo mica pensato.
Ti rispondo di là per le critiche all'analisi? o di qua?
Nel dubbio agisco.
Non si può rimproverare alla psicoanalisi di prevedere un percorso lungo perchè il suo obiettivo è l'accesso al profondo, non il contenimento dei sintomi. Non mi sembra che la psicoanalisi si circondi di una aura di infallibilità visto che non promette una guarigione. I costi sì, sono alti e questo ( parere di Ninfa) dipende più che da i costi di formazione degli psicoanalisti dal suo essere nata in ambiente borghese. Una persona una volta mi disse che solo chi vive discretamente può permettersi una nevrosi, i poveri in genere diventano direttamente psicotici.
Le ho sparate grosse. Ma caro, posso spiegarti
Non ti preoccupare, non intendevo dire che ogni attacco alla psicoanalisi è un empio atto di blasfemia. Ho detto "non si può" perchè la ritengo un accusa fondata su un fraintendimento cosa che inficia le argomentazioni che ne conseguono. Non si arriva in profondità in modo rapido e questo non è dovuto ad un difetto dell'analisi, ma alle sue caratteristiche intriseche. Il tempo è qualcosa di necessario. Si può rimproverare all'analisi di rubarne troppo solo se si perseguono diversi obiettivi, ad esempio la "messa in efficienza" di una persona. Rispetto all'obiettivo di eliminare un comportamento patologico o una sofferenza per come si manifesta a livello di superficie, certamente l'analisi è troppo lunga ma non è nemmeno lo strumento giusto. In questo senso dico che l'analisi non cura. L'analisi non persegue un fine. Si fa e non si sa dove porterà. Quindi efficacia ed efficienza, se si misurano rispetto all'obiettivo di eliminare la sofferenza percepita o la forma in cui essa è visibile, non sono concetti molto calzanti. L'analisi semplicemente cambia le persone.nextlife ha scritto:Ma come sarebbe a dire: «non si può»?
Certo che si può e di più: sì deve ed infatti è stato fatto.
Da quanto scrivi, sembra che tu non abbia preso atto del lavoro meta-critico che ha interessato negli ultimi decenni le tecniche psicoterapeutiche, ovviamente quelle esistenti, fornendo una mole impressionante di dati che riguardano i concetti di efficienza ed efficacia, attendibilità e controllabilità, che messi in relazione alla tipologia di problema, disagio, disturbo, costituiscono (dovrebbero) proprio le variabili grazie alle quali applicare un determinato modello psicoterapeutico o meno, con il proposito non di conclamare nuovamente l’indirizzo di appartenenza, e di farlo a tutti i costi, bensì di assumere come elemento primario di attenzione, il problema del paziente, e quindi essere in grado di effettuare le scelte più idonee (ma su questo aspetto vi ritornerò).
Già solo i dati di cui sopra, hanno consegnato una situazione non troppo rosea per la psicoanalisi, e anche l’aspetto – che non è una novità – dell’evidenziazione di ricadute sintomatiche a fronte di psicoterapie brevi, non è così scontato.
Oltre a questa tipologia di dati, è proprio l’impianto generale che ha subito profonde critiche.
Ti chiedo: le Neuroscienze, con i loro progressi: quale tipo di inconscio hanno contribuito ad evidenziare? Più simile a quale rappresentazione paradigmatica?
Ma ancora: tutta la struttura non vacilla forse dinnanzi a quelle situazioni nelle quali l’individuo presenta una valida forma d’insight, senza che questo comporti la capacità di arginare, risolvere i propri problemi? Per dirne una: nelle fobie, pensi che questa sia una rara eventualità?
Ma di nuovo: il problema metodologico della ricerca delle cause del disagio/../.. del paziente nel passato, ti dice nulla? Si è scritto molto su tale questione, evidenziando obiezioni non di poco conto.
E poi guarda, mi fermo qua poiché – contesto a parte – si rischia di trascendere gli scopi e far passare l’intendimento che tutto sia da rottamare.
Voglio però abbozzare il mio pensiero, che immagino in qualche modo si sia già intuito.
Non è tanto importante conclamare questa o quell’identità terapeutica a priori (tu ben capirai come ciò abbia a che fare con il concetto di identità personale anche per il terapeuta), è (sarebbe*) importante il paziente e il suo problema, disagio, disturbo, quellochevuoi avendo ben presente che una psicoterapia che non funziona non è una psicoterapia al di là di ogni pretesa di rapportarsi alle resistenze ad oltranza che diventano il fulcro per 5-7 anni del lavoro psicoterapeutico.
In tale ottica bisognerebbe trovarsi nelle condizioni di strutturare interventi che abbiano costi esistenziali minimi per l’individuo e quindi, considerando i concetti di efficacia ed efficienza, privilegiare le terapie brevi, per poi passare a soluzioni diverse.
Ovvio che per fare ciò, serve un professionista duttile, elastico, aggiornato ed informato sulle varie proposte e magari in grado – a fronte di un determinato iter formativo – di optare per una pluralità di opzioni o più semplicemente: avvezzo a saggiarne i limiti e a non esporre il paziente ad inutili accanimenti.
Diciamo poi, che molti di questi aspetti non sono ignorati dai codici deontologici di riferimento.
Accidenti Ninfa, mi rigiri la domanda che ti ho posto?NinfaEco ha scritto:
Discorso inconscio: mi tratteggeresti in poche parole le caratteristiche dell'inconscio tratteggiate dalle neuroscienze e il modo in cui queste metterebbero in crisi l'impianto psicoanalitico?
Come sarebbe a dire: «non persegue un fine»?NinfaEco ha scritto:
[…]
L'analisi non persegue un fine. Si fa e non si sa dove porterà. […]
Domanda a Nextlife: ma leggerti...dà crediti?nextlife ha scritto:
Devo subito dire, che così come formulato, il quesito aveva lo scopo di favorire un certo tipo di approccio per arrivare solo in un secondo momento all’evidenziazione delle criticità (per la psicoanalisi intendo) che scaturiscono dal rapporto tra psicoanalisi e neuroscienze.
Dico questo perché proprio alcune conferme giunte da quest’ultime, forniscono validazione alle iniziali considerazioni/intuizioni psicoanalitiche (Freudiane quindi), relativamente ad inconscio, memoria, etc., fornendo loro anche evidenziazione anatomo-funzionale.
È che poi ci è pervenuto il doppio sistema della memoria; è che poi ci è pervenuta una più articolata descrizione di cosa la memoria implicita ospiti, di cosa venga allocato in essa, di quanto sia importante per la vita relazionale ed emotiva futura, anche adulta.
È che poi ci è pervenuto il fatto che il meccanismo di rimozione, necessita di funzionalità della memoria esplicita che sono disponibili solo a partire dal secondo, terzo anno di vita poiché prima sono immature, ci è pervenuto cioè, per dirla in altri termini e tagliando le fronde: l’esistenza di elementi inconsci resi tali non dalla rimozione.
Ecco, cosa questo comporti per le interpretazioni psicoanalitiche classiche, ortodosse, è il tema da sviluppare.
Kandel, Mancia e poi in realtà anche molti altri, potrebbero essere illuminanti in proposito, ma in verità anche ciò che è stato prodotto dal gruppo di lavoro Psicoanalisi e Neuroscienze – in seno alla SPI – è ben degno di nota, con il merito ulteriore che la criticità di cui sopra trova buona evidenziazione.
Ecco, questo passaggio, invece, lo espongo.
La psicoanalisi, (più di altre scuole, poiché meno avvezza a certe contaminazioni), non può certo ignorare i risultati che pervengono dai progressi delle neuroscienze, poiché questo significherebbe davvero relegarsi al ruolo di corrente filosofica.
Il problema è che a parte la validazione di certi costrutti, questo rapporto comporta inesorabilmente una convergenza, un appiattimento sul modello cognitivo; non è roba di poco conto insomma…
Ma certamente… conio galattico però, con il quale – magari – finanziare un viaggetto fino ad Orione per contemplare i famigerati bastioni.Yale ha scritto:
Domanda a Nextlife: ma leggerti...dà crediti?
nextlife ha scritto:Ad ogni modo, tornando al quesito delll'autore/trice del thread, la situazione è sostanzialmente questa:
«Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l'attività professionale o comunque arrecare nocumento all'immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.»
Nella fattispecie: l'articolo 28 del Codice Deontologico.
robertwilliamchoose@gmail ha scritto:nextlife ha scritto:Ad ogni modo, tornando al quesito delll'autore/trice del thread, la situazione è sostanzialmente questa:
«Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l'attività professionale o comunque arrecare nocumento all'immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.»
Nella fattispecie: l'articolo 28 del Codice Deontologico.
Scusami e tu credi che con un copia incolla da Wikipedia o altri similari la persona che ha rivolto la domanda ne esca dipanata da dubbi in merito alla formulazione della tua risposta?
Non stiamo parlando di una ricetta di cucina. O si?
Se io dicessi ad un paziente in tono professionale e distaccato, già molto preoccupato e psicologicamente fragilissimo, lei ha un Glioblastoma multiforme eterogeneo , il paziente uscirebbe dal mio studio e penserebbe al suicidio. Se invece gli dico, con parole chiare e semplici, Lei, purtroppo, ha una forma di tumore che si chiama Glioblastoma, difficile da guarire, inoperabile. Però con i nuovi farmaci la sua aspettativa di vita può prolungarsi e migliorare nella quotidianità. Certo le posso preventivare quanto le resta da vivere, ma non sono Gesù Cristo, e in medicina 2+2 non fa mai 4; poi ovvio il discorso continua.
Il paziente sa cosa ha , non gli ho nascosto la marmellata, tuttavia gli ho conferito una giusta speranza, nonchè se è religioso o credente un esempio ( anche se molto velato) di cosa significa sofferenza e di affrontarla anche nella preghiera.
robertwilliamchoose@gmail ha scritto:
Se io dicessi ad un paziente in tono professionale e distaccato, già molto preoccupato e psicologicamente fragilissimo, lei ha un Glioblastoma multiforme eterogeneo , il paziente uscirebbe dal mio studio e penserebbe al suicidio. Se invece gli dico, con parole chiare e semplici, Lei, purtroppo, ha una forma di tumore che si chiama Glioblastoma, difficile da guarire, inoperabile. Però con i nuovi farmaci la sua aspettativa di vita può prolungarsi e migliorare nella quotidianità. Certo le posso preventivare quanto le resta da vivere, ma non sono Gesù Cristo, e in medicina 2+2 non fa mai 4; poi ovvio il discorso continua.
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