"Vostra" di chi? Ha preso la malattia dell'Oligorchide? Io parlo solo per me stessa... Ma, a proposito di traduzione e interpretazione, si legga questo bel passo. E' un po' lungo ma anche istruttivo e divertente.
Quasi tutti abbiamo capito, ormai, che non bisogna giudicare le usanze antiche sul modello di quelle moderne: chi volesse riformare la corte di Alcinoo nell’Odissea sul modello di quella del gran Turco o di Luigi XIV, non sarebbe approvato dai dotti; e chi biasimasse Virgilio per aver rappresentato il re Evandro coperto di una pelle d’orso e accompagnato da due cani, mentre riceve degli ambasciatori, sarebbe un cattivo critico. I costumi degli antichi ebrei sono ancor più diversi dai nostri di quelli del re Alcinoo, di sua figlia Nausicaa e del buon Evandro.
Ezechiele, schiavo presso i caldei, ebbe una visione accanto al fiumicello Chebar, che si perde nell’Eufrate. Non c’è da meravigliarsi che egli abbia visto animali con quattro teste e quattro ali, con piedi di vitello, né delle ruote che andavano da sole e avevano in sé lo spirito di vita; anzi, questi simboli piacciono all’immaginazione. Ma molti critici si sono ribellati contro l’ordine che il Signore gli dette di mangiare, per trecentonovanta giorni, pane d’orzo, di frumento e di miglio, spalmato di merda. Il profeta esclamò: «Puah, puah, puah! la mia anima non si è ancora mai contaminata.» E il Signore gli rispose: «Ebbene io ti concedo sterco di bove invece d’escrementi d’uomo: impasterai di sterco il tuo pane.» Poiché non si usa affatto mangiare simile marmellata col pane, la maggior parte degli uomini trovano tali ordini indegni della maestà divina. Tuttavia bisogna riconoscere che la merda di vacca e tutti i diamanti del Gran Mogol sono perfettamente uguali, non solo agli occhi di un essere divino, ma a quelli di un vero filosofo; e in quanto alle ragioni che Dio poteva avere per ordinare al profeta una colazione simile, non sta a noi indagarle.
Ci basta ricordare che questi comandamenti, che a noi sembrano bizzarri, non apparvero tali agli ebrei. È vero che, ai tempi di san Girolamo, la Sinagoga non permetteva la lettura di Ezechiele prima dell’età di trent’anni; ma solo perché, ne capitolo XVIII, egli dice che i figli non porteranno più l’iniquità dei padri, e non si dirà più: «I padri mangiarono uva acerba, e i denti dei figli si sono allegati.» In questo, Ezechiele si trovava in aperta contraddizione con Mosè che, nel capitolo XXVIII dei Numeri, assicura che i figli si portano addosso l’iniquità dei padri fino alla terza e quarta generazione. Ezechiele, nel capitolo XX, fa anche dire al Signore che Egli dette agli ebrei «precetti non buoni». Ecco perché la Sinagoga proibiva ai giovani una lettura che poteva far dubitare dell’irrefragabilità delle leggi di Mosè.
I censori dei nostri giorni sono ancor più disorientati dal capitolo XVI di Ezechiele: ecco come questo profeta si esprime per far conoscere i delitti di Gerusalemme. Egli finge che il Signore parli a una giovinetta così: «Quando tu nascesti, non ti fu reciso il cordone ombelicale, non fosti detersa con sale, eri ignuda, e io ebbi pietà di te. Sei diventata grande, il tuo seno s’è formato, t’è spuntato il pelo; io sono passato, t’ho vista, ho capito che era giunto il tempo degli amori; ho coperto la tua vergogna; mi sono steso su di te col mio mantello; sei stata mia: io t’ho lavata, profumata, ben vestita, ben calzata; t’ho donato una sciarpa di cotone, dei braccialetti, una collana; ti ho messo al naso una pietra preziosa, degli orecchini alle orecchie, una corona sulla testa ecc. Allora, confidando nella tua bellezza, hai fornicato per conto tuo con tutti i passanti… Hai costruito un bordello… Ti sei prostituita perfino sulle pubbliche piazze, aprendo le gambe davanti a tutti i passanti… Sei andata a letto con gli egiziani… e infine hai anche pagato i tuoi amanti, hai fatto loro dei doni perché fornicassero con te…; e, pagando, invece d’essere pagata, hai fatto il contrario delle altre donne… Il proverbio dice: "Tale la madre, tale la figlia", ed è quanto si dice di te…»
Ancor più insorge il censore contro il capitolo XXIII. Una madre aveva due figlie, che avevan perduto di buon’ora la loro verginità: la maggiore si chiamava Oolla, la minore Ooliba: «Oolla andò pazza per dei giovani signori, magistrati e cavalieri; fornicò con gli egiziani fin dalla sua prima giovinezza… Ooliba, sua sorella, fornicò ben più con ufficiali, magistrati e bei cavalieri; mise a nudo la sua turpitudine, moltiplicò le sue fornicazioni, ricercò con ardore gli amplessi di coloro che hanno il membro grosso come quello di un asino, e che spandono la loro semenza come cavalli…» Queste descrizioni, che scandalizzano tanti cervelli deboli, stanno solo a significare le iniquità di Gerusalemme e di Samaria: le espressioni, che ci sembrano troppo libere, non lo erano allora. La stessa ingenuità si palesa senza timore in più di un passo della Scrittura. Vi si parla spesso di aprire la vulva; i termini che servono a indicare l’accoppiamento di Bòoz con Ruth, di Giuda con la nuora, non sono affatto disdicevoli in ebraico, mentre lo sarebbero nella nostra lingua.
Non ci si copre con un velo quando non ci si vergogna della propria nudità; perché a quei tempi si sarebbe dovuto arrossire nel nominare i genitali, se quando qualcuno faceva una promessa a qualcun’altro gli toccava, appunto, i genitali? Era un segno di rispetto, un simbolo di fedeltà, come in altri tempi, da noi, i signori dei castelli mettevano le loro mani tra quelle del loro sovrano. Noi abbiamo tradotto i genitali con «coscia». Eleazaro mette la mano sotto la coscia di Abramo, Giuseppe mette la mano sotto quella di Giacobbe. Questo costume era antichissimo in Egitto. Gli egiziani erano così lontani dal ritenere indecente quel che noi non osiamo né scoprire né nominare, che portavano in processione un’enorme immagine del membro virile, chiamato phallum, per ringraziare gli dei della bontà che essi hanno di far servire questo membro alla propagazione del genere umano.
Tutto ciò dimostra che le nostre convenienze non sono quelle degli altri popoli. In quale tempo, fra i romani, ci fu maggior civiltà che nel secolo di Augusto? Eppure Orazio non teme di scrivere: Nec metuo ne, dum futuo, vir rure recurrat. Augusto si serve della stessa espressione in un epigramma contro Fulvia. Un uomo che, fra noi, pronunciasse la parola che corrisponde a futuo sarebbe considerato come un facchino ubriaco. Questa parola e tante altre di cui si servono Orazio e altri autori, ci sembra ancora più indecente delle espressioni di Ezechiele. Liberiamoci da tutti i nostri pregiudizi quando leggiamo gli antichi scrittori, o quando viaggiamo in paesi lontani. La natura è la medesima dappertutto, e le usanze dappertutto diverse.
N.B. Un giorno incontrai ad Amsterdam un rabbino cui era molto piaciuto questo capitolo: «Ah, amico mio,» mi disse, «quanto ve ne siamo grati. Avete fatto conoscere tutta la sublimità della legge mosaica, il pasto d’Ezechiele, le sue belle attitudini quando giaceva sul fianco sinistro. Oolla e Ooliba sono ammirevoli; sono tipi, fratello mio, tipi che simboleggiano che un giorno il popolo ebreo sarà padrone di tutta la terra; ma perché avete omesso tante altre cose che sono quasi della stessa forza? Perché non avete rappresentato il Signore quando dice al saggio Osea, nel secondo versetto del primo capitolo: "Osea, prendi una puttana, e fa’ con lei dei figli di puttana." Sono le sue precise parole. Osea si prese la ragazza, ne ebbe un figlio, poi una bambina, poi ancora un maschio: ed era un simbolo, un simbolo che durò tre anni. "Non basta," disse il Signore, nel terzo capitolo, "devi prendere una donna che non sia solo dissoluta, ma adultera." Osea ubbidì, però la cosa gli costò quindici scudi e uno staio e mezzo di orzo; perché voi sapete che nella terra promessa c’era pochissimo grano: Quale sarà il significato di tutto ciò?» «Non lo so,» risposi. «E io nemmeno,» disse il rabbino. Si avvicinò un gran dotto, e ci disse che erano ingegnose finzioni, molto affascinanti. «Ah, signore,» gli rispose un giovane istruito, «se volete delle finzioni, datemi retta, preferite quelle di Omero, di Virgilio e di Ovidio. Chiunque ama le profezie di Ezechiele merita di far colazione con lui.»
Voltaire, Dizionario filosofico, voce "Ezechiele"