“La Rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili, ma di persone“. La Rete siamo noi, la Rete è fatta per toccarci, per incontrarci. Se non lo fa non è se stessa. Internet è una conquista innanzitutto umana, prima che tecnologica. Non è un assemblaggio di materiali e strumenti elettrici ed elettronici. La nostra vita è già una rete, anche senza i computer, i tablet e gli smartphones. Però queste tecnologie della comunicazione possono potenziare e aiutare a vivere la nostra esperienza di vita come rete; se dunque non fossero in grado di spingerci ad una maggiore accoglienza reciproca, o far maturare la nostra personale umanità e la nostra reciproca comprensione, non risponderebbero alla loro ragion d’essere (il credente dice “alla sua vocazione“). Perché, se la comunicazione non ci rende più “prossimi” gli uni altri altri, se non ci fa vivere la vicinanza, allora non risponde alla sua vocazione umana e cristiana.
È facile cadere in una sorta di riduzionismo, sostanzialmente identificando Internet con la infrastruttura tecnologica che la rende possibile. Così, invece, se ne perdono i significati antropologici; sarebbe come dire, per fare un esempio, che il “focolare domestico“, quello che gli inglesi chiamano home, si possa ridurre all’edificio abitativo (house) di una famiglia. Finché si ragionerà in termini strumentali, si capirà molto poco della Rete e del suo significato. La rete è semmai un’esperienza; una esperienza d’incontro, che è resa possibile da cavi e fili.
Papa Francesco scrive chiaramente: “Internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio“.
Secondo voi sta bene?