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La solitudine secondo Huxley

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lisandro
lisandro
Viandante Storico
Viandante Storico
-Prendendo spunto da un 3d di questi giorni sulla solitudine aperto da Cinzia, approfitto per condividere questo brano:

"Noi viviamo insieme, agiamo e reagiamo gli uni agli altri; ma sempre, in tutte le circostanze, siamo soli. I martiri quando entrano nell'arena si tengono per mano; ma vengono crocifissi soli. Allacciati, gli amanti cercano disperatamente di fondere le loro estasi isolate in una singola autotrascendenza; invano. Per la sua stessa natura, ogni spirito incarnato è condannato a soffrire e godere in solitudine. Sensazioni, sentimenti, intuiti, fantasie, tutte queste cose sono personali e, se non per simboli e di seconda mano, incomunicabili. Possiamo scambiarci informazioni circa le esperienze, mai però le esperienze stesse. Dalla famiglia alla nazione, ogni gruppo umano è una società di universi-isole. La maggior parte degli universi-isole sono sufficientemente simili l'un l'altro da permettere la comprensione deduttiva, o anche la mutua empatia o il "sentirsi dentro". Così, ricordando i nostri lutti e le nostre umiliazioni, possiamo addolorarci con gli altri in analoghe circostanze, possiamo metterci (sempre, naturalmente, in senso leggermente pickwickiano) al loro posto. Ma in alcuni casi la comunicazione tra gli universi è incompleta o addirittura inesistente. La mente è il suo proprio posto e i posti abitati dal pazzo e dall'individuo dalle doti eccezionali sono tanto diversi dai luoghi dove vivono uomini e donne comuni che vi è poco o nientedi terreno comune, per quanto riguarda la memoria, da servire come base per comprendere o seguire i sentimenti. Le parole vengono pronunziate, ma non chiariscono. Le cose e gli avvenimenti ai quali i simboli si riferiscono appartengono a regni dell'esperienza che si escludono a vicenda. Vederci come gli altri ci vedono è uno tra i doni più salutari. Appena meno importante è la capacità di vedere gli altri come essi si vedono. Ma che accade se questi altri appartengono a una specie diversa e abitano un universo radicalmente estraneo? Per esempio, come un sano può arrivare a comprendere che cosa effettivamente prova a essere pazzo? Oppure, non potendo nascere di nuovo come visionario, medium, o genio musicale, come possiamo mai visitare i mondi che per Blake, Swedenborg, Johann Sebastian Bach, furono casa loro? E come può un uomo agli estremi limiti dell'ectomorfia e della cerebrotonia mettersi mai al posto di uno ai limiti dell'endomorfia e della viscerotonia oppure, se non in alcune zone circoscritte, dividere i sentimenti di uno che si erge ai limiti della mesomorfia e della somatotonia? Per il rigido behaviorista tali questioni, suppongo, sono prive di significato. Ma per coloro che credono teoricamente ciò che in pratica sanno essere vero - cioè che vi è un interno da sperimentare oltre che l'esterno - i problemi posti sono problemi reali, tanto più gravi perché sono, alcuni completamente insolubili, alcuni solubili solo in circostanze eccezionali e con metodi non accessibili a chiunque."
A. Huxley, Le porte della percezione




-Anche per voi tali questioni sono prive di significato, come un rigido biofiorista Sorriso Scemo ?
Oppure può essere interessante ricercare in metodi inesplorati, per rendere, se non altro, le solitudini altrui più sopportabili, dato che le solitudini altrui stanno aumentando? (siamo o non siamo in 7.000.000.000?)

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paolo iovine
paolo iovine
Viandante Mitico
Viandante Mitico
Huxley piange l' impossibilità umana di comunicare col pensiero.

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lisandro
lisandro
Viandante Storico
Viandante Storico
O forse è solo questione di recupero di memoria. Non proprio per la telepatia, ma per affinare perlomeno l'empatia.

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paolo iovine
paolo iovine
Viandante Mitico
Viandante Mitico
ba, l' empatia come soluzione alla solitudine apre a due possibilità : o si determinano due persone che si sentono entrambe sole quando prima una delle due non lo era, o quella che prima si sentiva sola dopo empatia non si sente più sola.

La seconda possibilità è quella che ovviamente si auspica, se la persona che non si sente sola, sottoponendosi ad empatia, è in grado di dare le risposte giuste alla persona che si sente sola.

Da parte mia ci sono momenti che non condividerei mai con nessuno, me li tengo per me e me li godo; momenti capaci di dissolvere tutte le rogne della giornata, di riattivarmi - se mai ce ne fosse bisogno - mentalmente e fisicamente, fosse anche solo per tornare a godere dei medesimi; momenti in cui riesco a mandare affanculo tutto e tutti, momenti che mi aprono orecchi, occhi e naso al punto di esser spesso tentato di non tornare. E' la mia isola felice.

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LieveMente
LieveMente
Viandante Storico
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Bravo paolo...di solito quella è l'isola che non c'è...se ce l'hai...tientela stretta sorriso

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hakimsanai43
hakimsanai43
Viandante Storico
Viandante Storico
paolo iovine ha scritto:Huxley piange l' impossibilità umana di comunicare col pensiero.
facepalm
L'impossibilità di comunicare col pensiero?
Cioè un cervello biologico da 1000.000 di Terabyte senza Radio,senza TV e senza Internet?
A me sembra assurdo e a voi?

Sorriso Scemo

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cinzia
cinzia
Viandante Storico
Viandante Storico
lisandro ha scritto:-Prendendo spunto da un 3d di questi giorni sulla solitudine aperto da Cinzia, approfitto per condividere questo brano:

"Noi viviamo insieme, agiamo e reagiamo gli uni agli altri; ma sempre, in tutte le circostanze, siamo soli. I martiri quando entrano nell'arena si tengono per mano; ma vengono crocifissi soli. Allacciati, gli amanti cercano disperatamente di fondere le loro estasi isolate in una singola autotrascendenza; invano. Per la sua stessa natura, ogni spirito incarnato è condannato a soffrire e godere in solitudine. Sensazioni, sentimenti, intuiti, fantasie, tutte queste cose sono personali e, se non per simboli e di seconda mano, incomunicabili. Possiamo scambiarci informazioni circa le esperienze, mai però le esperienze stesse. Dalla famiglia alla nazione, ogni gruppo umano è una società di universi-isole. La maggior parte degli universi-isole sono sufficientemente simili l'un l'altro da permettere la comprensione deduttiva, o anche la mutua empatia o il "sentirsi dentro". Così, ricordando i nostri lutti e le nostre umiliazioni, possiamo addolorarci con gli altri in analoghe circostanze, possiamo metterci (sempre, naturalmente, in senso leggermente pickwickiano) al loro posto. Ma in alcuni casi la comunicazione tra gli universi è incompleta o addirittura inesistente. La mente è il suo proprio posto e i posti abitati dal pazzo e dall'individuo dalle doti eccezionali sono tanto diversi dai luoghi dove vivono uomini e donne comuni che vi è poco o nientedi terreno comune, per quanto riguarda la memoria, da servire come base per comprendere o seguire i sentimenti. Le parole vengono pronunziate, ma non chiariscono. Le cose e gli avvenimenti ai quali i simboli si riferiscono appartengono a regni dell'esperienza che si escludono a vicenda. Vederci come gli altri ci vedono è uno tra i doni più salutari. Appena meno importante è la capacità di vedere gli altri come essi si vedono. Ma che accade se questi altri appartengono a una specie diversa e abitano un universo radicalmente estraneo? Per esempio, come un sano può arrivare a comprendere che cosa effettivamente prova a essere pazzo? Oppure, non potendo nascere di nuovo come visionario, medium, o genio musicale, come possiamo mai visitare i mondi che per Blake, Swedenborg, Johann Sebastian Bach, furono casa loro? E come può un uomo agli estremi limiti dell'ectomorfia e della cerebrotonia mettersi mai al posto di uno ai limiti dell'endomorfia e della viscerotonia oppure, se non in alcune zone circoscritte, dividere i sentimenti di uno che si erge ai limiti della mesomorfia e della somatotonia? Per il rigido behaviorista tali questioni, suppongo, sono prive di significato. Ma per coloro che credono teoricamente ciò che in pratica sanno essere vero - cioè che vi è un interno da sperimentare oltre che l'esterno - i problemi posti sono problemi reali, tanto più gravi perché sono, alcuni completamente insolubili, alcuni solubili solo in circostanze eccezionali e con metodi non accessibili a chiunque."
A. Huxley, Le porte della percezione




-Anche per voi tali questioni sono prive di significato, come un rigido biofiorista Sorriso Scemo ?
Oppure può essere interessante ricercare in metodi inesplorati, per rendere, se non altro, le solitudini altrui più sopportabili, dato che le solitudini altrui stanno aumentando? (siamo o non siamo in 7.000.000.000?)




io divido questo piccolo brano con te


La solitudine si cura in un solo modo, andando verso la gente e “donando” invece di “ricevere”. Si tratta di un problema morale prima che sociale e bisogna imparare a lavorare, a esistere, non solo per se ma anche per qualche altro, per gli altri. Finché uno dice “sono solo”, sono “estraneo e sconosciuto”, “sento il gelo”, starà sempre peggio. E’ solo chi vuole esserlo. Per vivere una vita piena e ricca bisogna andare verso gli altri. (ecco l'empatica...ma sono pochissime persone cha hanno questo dono sorriso )
Cesare Pavese, Lettere

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lisandro
lisandro
Viandante Storico
Viandante Storico
Cinzia ha scritto:io divido questo piccolo brano con te

Innanzitutto grazie per il pensiero, ma non è il mio caso. Io fortunatamente godo di una situazione affettiva, sia familiare che sul piano delle amicizie, che non mi consentono particolari lagnanze, frutto di un lavorio costante di relazioni e scambi maturate sino ad oggi.

La questione che volevo rilevare è in riferimento al fatto, che nonostante tutti abbiano la stessa esigenza di gratificazione per la quale si è portati a instaurare rapporti, si è, malgrado gli sforzi, irrimediabilmente catapultati verso una perdita di senso che si ottiene delle volte con una lucidità tale, capace di disorientare persino i propri diretti interlocutori.
Beh, si dirà che lo scambio e le connessioni occorrono e soccorrono proprio per ripristinare ciò che è stato divelto nel complesso interiore che si vuole destrutturare al fine di renderlo perfettamente permeabile sia al tempo che all'idea.
Un utente qualche mese fa, eroicamente si era proposto, in un topic da lui ideato, d'ingegnerizzare l'eterno dilemma che passa tra la teoria e la pratica. Pura utopia.
Per tornare ad Huxley, m'incuriosisce l'idea di concepire 'il cervello come una valvola di riduzione' e 'il dare sfogo a questa valvola in maniera controllata per poi ampliare le proprie capacità di percezione'.
Gli esseri viventi su questa terra sono continuamente in antagonismo e al contempo perfettamente aderenti al sistema naturale delle cose.
Ogni specie ha sviluppato la propria tecnica di difesa e/o di aggressione.
Cosa impone in noi il voler sovvertire questa legge o possiamo solo teorizzarla? La nostra dote è dunque solo ideale o non potremmo, come la stroria c'insegna, anche sviluppare una qualche tecnica pacificatoria con la pratica?

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