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Ma cosa poteva chiedere, se apparentemente la vita gli aveva dato tutto: bellezza, ricchezza, salute?
Si abbandonò ancora sull'erba e guardò le stelle.
E allora vide passare nell'aria notturna
un grande uccello che volava silenzioso ad ali spiegate.
-Ecco!- esclamò Ganem.
-Vorrei volare !- fece uscire dall'ampollina un pizzico di polvere magica e se la mise sulla lingua; poi disse "
Mutabor".
Subito gli parve di ricevere una forte spinta alle spalle e si trovò in cielo, libero nell'aria fresca della notte. Sotto di lui i giardini rimpicciolivano, come ombre nere su cui biancheggiavano i palazzi e le case; lucciole dorate si accendevano dappertutto
erano i lumi delle città, delle moschee, delle case, delle strade.
Che meravigliosa sensazione! Ganem era proprio felice, e si abbandonò a mille evoluzioni, scendendo fino ad udire il mormorio delle fontane, salendo sino a quasi toccare le stelle; e finalmente si posò sulla vetta di una montagna solitaria.
Gli sembrava proprio di trovarsi sul tetto del mondo; era tanto assorto a contemplare le meraviglie della notte che non si accorse di un'alta figura che si ergeva muta accanto a lui.
Era una figura maestosa dai lunghi capelli e dalla folta barba bianca, indossava un lungo mantello e si appoggiava ad un bastone, quasi non si vedeva dove posassero i suoi piedi.
Quando Ganem finalmente lo scorse trasalì e chiese spaventato
-Chi sei ?-
-Sono Rheza- , rispose l'uomo - il Re dei geni della notte. Ti ho visto arrivare volando, e ho capito che il genietto dei boschi ti ha dato la polvere magica. Ma non sono certo che tu la meritassi davvero.
-E perchè non avrei dovuto meritarmela?- Chiese Ganem.
-Anch'io ho diritto di essere felice.
-Ma cosa hai fatto per guadagnarti la felicità?-
-Proprio nulla- rispose Ganem sinceramente.
-E allora ricordati che la polvere è poca, e che non potrai fare molti esperimenti- disse Rheza, e intanto si staccava dalla terra e si innalzava nell'aria. - Sappi approfittare della fortuna che ti è capitata altrimenti il dono del mio piccolo genietto sarà stato inutile per te.
Il Re dei geni della notte era ormai quasi scomparso e Ganem potè udire a fatica le sue ultime parole. Poi Rheza scomparve ed il principe si sentì solo
nella notte, si sentì solo sulla vetta del mondo, troppo solo, nel freddo che era calato e nel silenzio.
Provò il desiderio ardente di trovarsi fra i suoi cari, di rivedere volti amici, di riascoltare voci conosciute...
Spiccò subito il volo, e poco dopo fu sulla città, sul giardino, sulla casa: entrò per la finestra della sua camera e con un sospiro di sollievo si gettò sul letto addormentandosi subito.
Quando il mattino dopo si svegliò, il sole era già alto.
Ganem si accorse di essere ancora vestito e di stringere in mano un piccolo sacchetto di vetro con dentro una polvere d'oro.
Dunque non aveva sognato!
Subito ripose l'ampollina in un vaso di bronzo ricoprendolo accuratamente, poi scese nella sala dove lo aspettavano
i suoi famigliari in compagnia di un venditore di tappeti.
Vedendolo allegro e sorridente, sua madre distolse lo sguardo dal venditore e dai tappeti ed ebbe un sospiro di sollievo.
-Sia ringraziato Allah- il misericordioso! Finalmente il nostro Ganem sembra contento.
-Forse è merito di questa meravigliosa giornata- rispose il principe, poi si sedette a tavola e mangiò con appetito, come non faceva da molto tempo.
Ma nel pomeriggio il cielo azzurrissimo si coprì di nembi, i fulmini
iniziarono a serpeggiare da nube a nube e si sollevò un vento furioso.
Familiari e servi corsero in casa, spaventati dal temporale, ma Ganem restò alla finestra a contemplare affascinato la furia della natura.
Gli alberi si piegavano fino a terra, per la violenza delle raffiche, foglie e rami volavano al di sopra delle case e delle moschee turbinando di una luce sinistra e irreale.
Poi un fulmine abbagliante scaturì da una nuvola nera e con uno schianto orribile colpì un secolare cedro del Libano che subito prese ad ardere in una grande fiammata.
Anche la terra tremò, e tutti i vetri della casa tintinnarono-
Ma Ganem, esaltato da quella violenza che aveva in sè qualcosa di superiore alle forze umane meditava un pensiero assurdo:- Come mi piacerebbe essere un fulmine e incendiare quella montagna-
Come in un sogno, prese il vaso di bronzo, tolse l'ampollina della polvere, ne mise un pizzico sulla lingua, e pronunciò la parola magica "
Mutabor".
Istantaneamente una luce accecante lo avvolse, lo sollevò e con terribile violenza lo scagliò attraverso le nubi sino alla cima del monte lontano che subito avvampò
come un cratere: uno schianto di rocce che esplodevano e rotolavano nell'abisso, seguito immediatamente da un silenzio di morte.
Ganem si guardò intorno terrorizzato. Sotto il cielo tempestoso, la vetta squarciata e fumante, non aveva più nemmeno un filo d'erba nè un segno di vita.
Anche il suo aspetto era spaventoso: aveva la pelle riarsa, gli abiti bruciacchiati, gli occhi rossi come il fuoco...
E accanto a lui c'era una figura avvolta in un manto color della notte: Rheza il Re dei geni.
-Ti rendi conto di quanto potrebbe essere stolto un uomo se riuscisse ad impadronirsi delle forze sovrannaturali?- disse con voce terribile- Hai voluto avere la potenza di un fulmine e che cosa hai guadagnato?
Ganem si guardò attorno, le rocce frantumate, gli arbusti inceneriti, poi si inginocchiò e disse umilmente: -vorrei... vorrei tornare a casa.-
Allora Rheza lo sollevò tra le braccia e lo portò volando attraverso la tempesta.
Depose il giovane sul suo letto e sparì.
Ganem si alzò tutto indolenzito; sul davanzale della finestra c'era ancora il sacchettino di vetro con poca polvere d'oro, e si affrettò a riporlo nel vaso di bronzo.
Aveva ragione Rheza: gli restavano ancora ben pochi esperimenti, da fare.
Eppure non si sentiva affatto felice. Nè la capacità di volare, nè la potenza della folgore, avevano dato pace al suo cuore.
Poichè la bufera si stava dileguando, scese in giardino e aiutò i servi a cancellarne le tracce, poi quando fu stanco risalì nella sua camera e, gettandosi sul letto, si addormentò.
Sognò
il deserto: una distesa infinita di sabbia arroventata lungo la quale camminava un vecchio cammelliere seguito da un vecchissimo cammello.
Entrambi sembravano estenuati dal caldo, dalla sete, dalla fatica.
Egli, Ganem,
era seduto alla sommità di una duna, e guardava avanzare quelle due figure scaturite da chissà dove e dirette verso chissà dove.
Sembravano vacillare a ogni passo; il vecchio fissava l'orizzonte con gli occhi arrossati, mentre il cammello sfinito, metteva un piede davanti l'altro.
Quando furono giunti alla sua altezza Ganem pensò - questo vecchio ha veduto tanta vita e tanto mondo. Forse lui sa se è possibile essere felici, e che cosa bisogna fare per diventarlo-.
Domandò :- vecchio, tu sei certo un sapiente, e puoi rispondere a questa mia domanda: esiste la felicità sopra la terra e come si può raggiungerla?-
Il vecchio gli rivolse gli occhi infiammati dal riverbero del sole, e sorrise con la bocca sdentata.
Rispose :- La felicità esiste, ma è diversa per ciascuno di noi. Per me in questo momento consisterebbe in un pozzo d'acqua fresca dove potremmo dissetarci, io ed il mio cammello; e in un ciuffo di palme con un pò d'ombra per riposare le nostre stanche ossa e sottrarci un pò a questo sole implacabile. Ma il deserto sembra non dover mai finire, perciò andiamo avanti confidando in Allah.
E fatto un cenno di saluto, continuò la sua strada.
Ganem restò pensieroso a meditare: il povero vecchio era più sfortunato di lui, e forse non avrebbe mai trovato l'oasi che rappresentava la sua felicità.
Ma ad un tratto trasalì e balzò in piedi. Perchè non ci aveva pensato prima?
Incominciò a correre gridando :- Vecchio, fermati! Fermati! Io ho la possibilità di farti felice!-
Si svegliò gridando così. Era ancora notte
ed una placida luna piena illuminava tutto il cielo stellato ormai ritornato sereno.
Ganem sentiva in cuore un malessere simile ad un vuoto che avrebbe potuto colmare in un sol modo.
Scoperchiò il vaso di bronzo e prese il sacchettino ormai quasi vuoto, mise un pizzico di polvere sulla lingua e pensò :-Vorrei trovare quel vecchio-.
Poi disse la parola "
Mutabor".
Una leggera nuvola bianca lo avvolse, e, quando si dileguò, Ganem si ritrovò seduto ai piedi di una duna, nella luce incandescente del deserto.
Proveniente chissà da dove e diretto chissà dove, veniva avanti pian piano il vecchio cammelliere seguito dal suo ancor più vecchio cammello.
Quando, finalmente, furono giunti davanti a lui, Ganem chiese deciso:
:- Vecchio, esiste la felicità su questa terra e si può raggiungerla in qualche modo?
Il vecchio lo guardò sorridendo fra mille rughe; poi gli diede la medesima risposta udita in sogno :- La felicità esiste, ma è diversa per ciascuno di noi.Per me, ora, consisterebbe in un pozzo d'acqua fresca...
Il cuore di Ganem si gonfiò di esultanza.
Balzò in piedi e disse:
-Vecchio, se vuoi, io posso darti questa felicità.
-Davvero? - sdorrise l'altro amaramente; e lo guardò con occhi increduli, in cui tuttavia si era accesa come un trepida fiammella di speranza-
-Da tanti anni cammino in questo deserto senza incontrare mai quell'oasi che sogno da sempre. Credo che morirei di gioia, se la trovassi finalmente.
Allora Ganem svuotò sulla mano l'ampollina di vetro, era rimasto proprio un ultimo pizzico di
magica polvere.
Pochi granelli che costituivano per lui l'ultima possibilità di essere felice. Doveva consegnarla a quello sconosciuto?
Lo guardò perplesso, e si accorse che il vecchio fissava la sua mano con ansia infinita, pur senza osare di chiedere nulla.
Allora non esitò più.
:- Prendi questo pizzico di polvere dalla mia mano e mettilo sulla lingua - disse- poi pronuncia la parola "
Mutabor" e l'oasi del tuo sogno apparirà.
Il vecchio ubbidì: mise la polvere sulla lingua e disse la parola magica.
Subito davanti a lui apparve un miraggio: fantasmi di palme presero consistenza e divennero grandi, solide, magnifiche piante che stendevano a terra un tappeto d'ombra
Spirò una fresca brezza che aveva fragranza d'acqua, e ai loro piedi apparve un laghetto trasparente e profondo in cui si specchiavano i lunghi rami frangiati.
In lontanaza si vedeva anche una casa bianca con la porta splancata.
Il vecchio lanciò un grido di gioia, poi si mise in ginocchio per ringraziare Allah.
Quindi si curvò sull'acqua e bevve con tale avidità che sembrò ringiovanire.
Ganem guardava con il cuore in tripudio.
Pensava che anch'egli aveva una parte di merito in quella grande gioia, e diceva :- ti ringrazio Allah. Non sapevo che soccorrere il prossimo fosse tanto bello e rendesse così felici-.
Quando il vecchio si fu ristorato, si alzò in piedi, fece bere il cammello, poi lom legò ad una palma, e disse:
-Entriamo in quella casa e tu rimani un pò con me, mio giovane amico, perchè sta per scendere la sera e avrai certo bisogno di riposo anche tu.
Entrarono insieme. C'era una tavola
riccamente apparecchiata.
Mangiarono in silenzio, poi il vecchio disse: - questa notte dormirai qui, e domattina prenderai il mio cammello per ritornare a casa.
Soltanto allora Ganem ebbe un pensiero che lo sbigottì: ritornare a casa? Ma per quale via?
Dov'era la su casa? E dov'era egli stesso in quel momento?
Come avrebbe fatto adesso senza la polvere magica?
Vedendolo preoccupato il vecchio domandò :- Ganem, che cosa ti turba?
Ganem sollevò la testa sorpreso:
:-Come mai sai il mio nome?
Ma in quel momento vide che il vecchio stava cambiando aspetto; diventava un giovane aitante, dagli occhi vivissimi in un viso bruno ornato di una barba scura.
:- Ma tu assomigli, anche se più giovane, al Re dei geni, il magico Rheza!
-Sono io- disse il Re dei Geni.
Rheza! - gridò fuori di sè dalla gioia. - Rheza come sono felice di rivederti. Sono preoccupato perchè non so dove mi trovo.
Il Re dei geni sorrise:- Se io non fossi qui, che cosa faresti solo in questo posto fuori dal tempo e dalla realtà?
Ganem meditò un momento, poi disse: - Farei come quel vecchio: accetterei il mio destino confidando in Allah.-
Rheza sorrise ancora
- Beatà giovinezza e i suoi generosi impulsi. Finalmente hai provato la felicità che tanto desideravi. Consiste nel far del bene agli altri senza chiedere nulla in cambio. E non c'è bisogno per questo di polveri misteriose e di parole magiche; la vita di ogni giorno, anche la più umile è piena di queste possibilità.-
Il Re dei geni prese Ganem fra le sue braccia ed in volo lo riportò alla sua casa; poi si sollevò di nuovo in cielo e scomparve.
E Ganem.... dire voi? Beh... Ganem era finalmente felice, aveva scoperto il segreto per ottenere la felicità: quel prodigioso bene che tanto più cresce quanto più lo si distribuisce.
Fine...stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra che ho detto la mia