Il noto incisore e grafico olandese Maurits Cornelis Escher (1898 – 1972) è conosciuto per le sue creazioni ideate con strane simmetrie che esplorano l’infinito, paradossi matematici e prospettive apparentemente impossibili.
Maurits Cornelis Escher, “Mano con sfera riflettente”, litografia, 1935
Per conquistare quest'inedita spazialità Escher usava spesso specchi convessi e i loro riflessi. La realtà ambigua ed illusiva del dipinto viene raddoppiata e oggettivata nella mano che regge la sfera e nella superficie riflettente di quest'ultima, dove troviamo raffigurato Escher nel suo studio.
Le opere di questo artista olandese sono gradite a matematici e fisici che apprezzano il suo uso razionale di poliedri, distorsioni geometriche ed interpretazioni originali di concetti appartenenti alla scienza, sovente per ottenere effetti paradossali.
Maurits Cornelis Escher
L’Italia fu rilevante nella vita di Escher. Egli visse a Roma dal 1923 al 1935 con sua moglie Jetta Umiker, che sposò a Viareggio nel 1924.
La sua arte nasce dalla capacità di lasciarsi stupire, meravigliare dalla realtà e dalla natura.
Nelle sue opere egli dà molta importanza allo sguardo che cambia direzione, che si affaccia su prospettive diverse, e si accorge, diventandone consapevole, dell’esistenza di tanti possibili aspetti della vita che in genere non cogliamo. Questi legami si possono constatare solo se il nostro occhio è attento, pronto a stupirsi. Altrimenti una visione cristallizzata fossilizza anche la nostra mente in convinzioni rigide, in modi di pensare sempre più difficili da cambiare. In realtà –ci suggerisce Escher- tutto è cangiante, tutto è plastico, basta accorgersene. E per ribadire questo concetto ci racconta un aneddoto tratto dalla sua vita.
Nell’estate del 1930, durante il suo soggiorno a Roma, spesso disegnava di notte fuori casa per percepire aspetti inediti di un ambiente. Disegnava prevalentemente su fogli neri, perciò aveva bisogno di illuminarli con una piccola torcia che fissava con un nastro sulla fronte.
Una notte mentre stava dipingendo, gli si avvicinò una persona, che rimase zitta e ferma ad osservare. E nello stesso posto, ancora per altre notti la stessa persona si metteva al suo fianco e restava lì, in silenzio, tanto che si percepiva il reciproco piacere di stare così, senza parlare. L’ultima volta l’osservatore gli disse: “Certo che lei è un grande innovatore, lei è portatore di una grande innovazione”. Escher intese questo commento come un complimento per il suo lavoro, certamente d’avanguardia. “Ecco, pensò l’artista, quest’uomo ha colto il valore della mia opera, dei miei quadri, del mio stile. Invece no, l’uomo alludeva alla torcia ! Ed Escher capì che, notte dopo notte, quell’uomo non veniva ad ammirare i suoi dipinti, ma la pila sulla sua fronte !
Allora Escher chiese all’osservatore: “C’è qualcos’altro che l’ha colpita ?” Quello rispose: “il fatto che lei disegni così rapidamente pur essendo mancino”. E per la seconda volta Escher si rese conto che quell’uomo guardava in una direzione imprevista, percepiva la realtà in modo diverso.
E in quel momento Escher capì che ci sono modalità differenti di porsi di fronte ad un evento, che è necessario accorgersi di questa potenzialità.
Possiamo osservare la vita e vederla sempre uguale, senza percepire i mutamenti, come se avessimo un paraocchi, o senza capire che ci sono anche altri modi di osservare le cose.
Il poeta e scrittore portoghese Fernando António Nogueira Pessoa, (1888 – 1935) nel suo libro titolato: “Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares”) ha fra l’altro scritto: “Tutta la vita dell’anima umana è un movimento nella penombra. Viviamo in un’incertezza della coscienza, mai sicuri di ciò che siamo, o di ciò che crediamo di essere”.
Così come una pianta che in primavera improvvisamente fiorisce, anche in noi all’improvviso può affiorare qualcosa di imprevisto, di significativo, di determinante. Non accorgersi della “fioritura” vuol dire ignorare le possibilità che appaiono e inevitabilmente si finisce per vedere la nostra vita sempre uguale. Se ogni fioritura si considera un fastidio e il nostro unico compagno di viaggio è la routine, c’è la morte dell’anima.
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Maurits Cornelis Escher, “Mano con sfera riflettente”, litografia, 1935
Per conquistare quest'inedita spazialità Escher usava spesso specchi convessi e i loro riflessi. La realtà ambigua ed illusiva del dipinto viene raddoppiata e oggettivata nella mano che regge la sfera e nella superficie riflettente di quest'ultima, dove troviamo raffigurato Escher nel suo studio.
Le opere di questo artista olandese sono gradite a matematici e fisici che apprezzano il suo uso razionale di poliedri, distorsioni geometriche ed interpretazioni originali di concetti appartenenti alla scienza, sovente per ottenere effetti paradossali.
Maurits Cornelis Escher
L’Italia fu rilevante nella vita di Escher. Egli visse a Roma dal 1923 al 1935 con sua moglie Jetta Umiker, che sposò a Viareggio nel 1924.
La sua arte nasce dalla capacità di lasciarsi stupire, meravigliare dalla realtà e dalla natura.
Nelle sue opere egli dà molta importanza allo sguardo che cambia direzione, che si affaccia su prospettive diverse, e si accorge, diventandone consapevole, dell’esistenza di tanti possibili aspetti della vita che in genere non cogliamo. Questi legami si possono constatare solo se il nostro occhio è attento, pronto a stupirsi. Altrimenti una visione cristallizzata fossilizza anche la nostra mente in convinzioni rigide, in modi di pensare sempre più difficili da cambiare. In realtà –ci suggerisce Escher- tutto è cangiante, tutto è plastico, basta accorgersene. E per ribadire questo concetto ci racconta un aneddoto tratto dalla sua vita.
Nell’estate del 1930, durante il suo soggiorno a Roma, spesso disegnava di notte fuori casa per percepire aspetti inediti di un ambiente. Disegnava prevalentemente su fogli neri, perciò aveva bisogno di illuminarli con una piccola torcia che fissava con un nastro sulla fronte.
Una notte mentre stava dipingendo, gli si avvicinò una persona, che rimase zitta e ferma ad osservare. E nello stesso posto, ancora per altre notti la stessa persona si metteva al suo fianco e restava lì, in silenzio, tanto che si percepiva il reciproco piacere di stare così, senza parlare. L’ultima volta l’osservatore gli disse: “Certo che lei è un grande innovatore, lei è portatore di una grande innovazione”. Escher intese questo commento come un complimento per il suo lavoro, certamente d’avanguardia. “Ecco, pensò l’artista, quest’uomo ha colto il valore della mia opera, dei miei quadri, del mio stile. Invece no, l’uomo alludeva alla torcia ! Ed Escher capì che, notte dopo notte, quell’uomo non veniva ad ammirare i suoi dipinti, ma la pila sulla sua fronte !
Allora Escher chiese all’osservatore: “C’è qualcos’altro che l’ha colpita ?” Quello rispose: “il fatto che lei disegni così rapidamente pur essendo mancino”. E per la seconda volta Escher si rese conto che quell’uomo guardava in una direzione imprevista, percepiva la realtà in modo diverso.
E in quel momento Escher capì che ci sono modalità differenti di porsi di fronte ad un evento, che è necessario accorgersi di questa potenzialità.
Possiamo osservare la vita e vederla sempre uguale, senza percepire i mutamenti, come se avessimo un paraocchi, o senza capire che ci sono anche altri modi di osservare le cose.
Il poeta e scrittore portoghese Fernando António Nogueira Pessoa, (1888 – 1935) nel suo libro titolato: “Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares”) ha fra l’altro scritto: “Tutta la vita dell’anima umana è un movimento nella penombra. Viviamo in un’incertezza della coscienza, mai sicuri di ciò che siamo, o di ciò che crediamo di essere”.
Così come una pianta che in primavera improvvisamente fiorisce, anche in noi all’improvviso può affiorare qualcosa di imprevisto, di significativo, di determinante. Non accorgersi della “fioritura” vuol dire ignorare le possibilità che appaiono e inevitabilmente si finisce per vedere la nostra vita sempre uguale. Se ogni fioritura si considera un fastidio e il nostro unico compagno di viaggio è la routine, c’è la morte dell’anima.
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