Mont Saint Michel
Mi mancava, la Francia del Nord. Avevo solo uno sbiadito ricordo del porto di Calais prima di imbarcarmi per l’Inghilterra, con le barche e i battelli curiosamente adagiati di fianco all’asciutto cinque metri più in basso del molo, in attesa della successiva alta marea.
E’ veramente una stravaganza, quella dell’alta marea, per noi del Sud Europa. Percorrendo le coste normanne e bretoni si possono incontrare splendidi paesini di mare, con tutti gli ingredienti tipici del caso: gli ombrelloni, le sdraio, l’Ambra solare, i bambini che schiamazzano e il venditore di gelati. Manca una sola cosa, il mare, per il momento laggiù all’orizzonte a qualche chilometro di distanza. Pazienti e impassibili, i bagnanti nordici continuano le loro attività vacanziere in un clima surreale di finzione cinematografica, fino a quando uno sciacquio li avverte che è loro concesso immergersi fino a metà polpaccio in un’acqua nervosa e ribollente. Poi, veloce com’era arrivato, il mare si ritira lasciando una distesa di chiazze fangose.
Tipico e famoso è il caso dell’isolotto di Mont Saint Michel, dominato da un castello che sembra la bella copia di quello di Disneyland, e circondato ad intermittenza dalle acque della Manica che ne carezzano le mura. Vi è ospitato uno splendido monastero medievale che resistette alla guerra dei cent’anni contro gli inglesi e fu utilizzato come carcere politico durante la Rivoluzione.
La strada che lo collega alla terraferma è perennemente invasa da centinaia di camper, alcuni dei quali campeggiano (o parcheggiano?) incautamente sul terrapieno sottostante per ritrovarsi il mattino dopo il Mare del Nord in camera da letto.
Dev’essere bello, per un occupante di questi invasivi mezzi di trasporto, mentre la moglie cucina e il figlio si rovina la vista sui giochini elettronici, vedere inquadrata nell’oblò del cubicolo la visione mozzafiato di un simile spettacolo di arte e natura. Questo però avviene solo per chi riesce a conquistarsi la prima fila; a quelli dietro non resta che accontentarsi della consapevolezza di essere in un posto famoso, e pazienza se l’impressione è quella di trovarsi in un accampamento di baraccati di qualche terremoto dimenticato.
Il modo migliore per godersi Mont Saint Michel è, non per dire, quello che abbiamo adottato noi. Campeggiare a Genéts, un paese della costa vicina austero e gradevole come solo i paesini normanni sanno essere, ed aspettare il tramonto.
E’ in quel momento che la magia prende vita. Sapientemente illuminato, Mont Saint Michel emerge dalla penombra con le sue mura e i suoi pinnacoli e si staglia contro il cielo come un’apparizione fantastica.
Da lontano, le luci dei camper e delle auto che si affollano al suo ingresso ricordano solo l’agitarsi confuso di uno sciame di insetti notturni attratti dal chiarore di un magnifico lampadario liberty.
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Il capoluogo della zona è Avranches, una cittadina graziosa e pulita posta sulla collina che domina il golfo, patria appunto di quel Sant’Uberto che nell’ottavo secolo fondò l’abbazia di Mont Saint Michel. Una curiosità del posto è il monumento al generale Patton, comandante della terza armata americana che liberò la città nel ’44.
Tutti conosciamo i monumenti che celebrano gli eroi del Risorgimento, con Garibaldi o Vittorio Emanuele a cavallo e la sciabola alzata. Oppure quelli che ricordano i caduti della prima guerra mondiale, in cui un gruppo di fantaccini va all’assalto alla baionetta mentre una dea alata e seminuda indica loro la strada. Ebbene, niente di tutto questo. Il monumento con cui i francesi hanno voluto ricordare il loro liberatore è un enorme carro armato americano, credo uno Sherman, montato su di un piedistallo che ne esalta l’imponenza.
E a ben vedere non stona affatto con quello che fu realmente il generale. Un militare di ferro tutto d’un pezzo, amato e odiato in ugual maniera dai suoi soldati ai quali prometteva di far sputare sangue, promessa in gran parte mantenuta.