Secondo questa ipotesi, condizioni trascendentali dell’esperienza umana la necessità di un orientamento rispetto al bene, la presenza di un orizzonte e lo scambio interpersonale.
Tra le precondizioni necessarie all’agire fisico rientrano la presenza concreta dell’agente, la conoscenza certa, da parte di quest’ultimo della propria posizione e di quella dell’oggetto-meta. Affinché questi due luoghi possano determinarsi è necessario che il soggetto dell’azione disponga di una mappa dello spazio includente, in base a cui determinare la distanza che li separa ed il miglior itinerario da percorrere. L’azione fisica si dispiega come uno spostamento in direzione dell’oggetto - meta da parte di un agente in cerca di quel tipo di appagamento. Poiché tra le esigenze del soggetto uomo non rientrano unicamente bisogni di ordine fisico, il compito di localizzazione che dovrà affrontare per divenire un agente completamente funzionante sarà più complesso. Tra queste esigenze originarie rientrano le aspirazioni spirituali e morali.
L’ambiente entro cui il soggetto localizza il bene e si auto-individua come sorgente dei propri atti morali ha natura interpretativa. L’agente morale deve articolare necessariamente la mappa di questo spazio per essere pienamente funzionante. Infatti, l’uomo può entrare in relazione con il bene unicamente in questi termini, poiché la sua stessa identità si risolve in un problema di orientamento. Le ragioni di questa situazione chiamano in causa le coordinate costitutive della nostra forma di vita. L’uomo agisce e comprende il suo agire a partire dalla sua presenza fisica entro un ambiente. Oltre ad essere una realtà locale, l’uomo è anche una sorgente di interpretazioni. Lo spazio morale emerge attraverso un processo interpretativo ancorato all’esperienza concreta che l’uomo fa del suo mondo.Taylor spiega la genesi della nozione di fonte morale a partire dal significato che questa figura assume nell’esperienza umana. La sua valenza e la sua origine sono esistenziali. In base alla sua natura qualitativamente diversa l’uomo attribuisce a certi accadimenti un significato esistenziale, cioè modellato secondo le esigenze essenziali della sua esistenza che è, appunto, umana. L’uomo sperimenta in vita una serie di mancanze che si scontrano con il suo bisogno di gioire e di capire. Attraverso un processo interpretativo, il soggetto si appropria di questi vissuti e conferisce al corso indifferente delle cose un senso umano, cioè un valore che risponde alle sue esigenze. Per questa via la mancanza avvertita si condensa in un’idea di male, mentre la soddisfazione attesa pone le premesse per un’idea di bene. Accanto a questi luoghi morali fondamentali, l’ambiente significativo posto dal soggetto interpretante ne ospita un terzo, l’accesso al quale rappresenta la condizione di possibilità stessa dell’esperienza morale. L’accesso a tale luogo è cruciale, poiché da esso sprigiona quella forza morale che rende l’uomo capace di muoversi in direzione del bene. Poiché nella ricerca del bene l’essere umano può attingere l’energia serbata in esso, Taylor usa per indicarlo il termine fonte morale. Ad ogni fonte morale corrisponde qualcosa che è in noi e che ci consente di accedere ad essa.
L’orientamento in relazione al bene è una delle condizioni che Taylor ritiene indispensabili affinché esista un Io dotato di identità. La prova del ruolo costitutivo dell’orientamento morale viene ritrovata nella natura del nostro linguaggio valutativo. Tale linguaggio richiede infatti la presenza di un soggetto collocato in una specifica forma di vita che conferisca ai termini che utilizza quel preciso valore. Queste proprietà costituiscono caratteristiche reali del mondo vissuto dall’Io. Pertanto, la nozione di Io, chiarisce la necessità di un orientamento rispetto al bene. Una volta acquisito tale orientamento, il soggetto si identifica con la posizione che occupa ed è riconosciuto suo tramite La capacità di orientarsi in modo autonomo nello spazio morale si configura così come la condizione di funzionalità dell’Io stesso.
La topografia morale nella sua declinazione contestuale costituisce una parte fondamentale di un orizzonte di senso più ampio. Questa struttura significante è definita da Taylor orizzonte poiché traccia i limiti di comprensibilità del nostro mondo. Tale sfondo deciderà del significato delle diverse realtà ed assegnerà ad esse valore, ponendo così quel sistema di differenze indispensabili alla risoluzione del problema identitario.
Questo orizzonte è già presente, come articolatezza originaria e, ad un livello superiore e meno costitutivo, come interpretazione ereditata, ma la forma in cui si presenta dipende dall’articolazione, cioè dall’interpretazione formulata dai soggetti storici. L'l’idea d’orizzonte, qualifica una realtà di senso che si colloca all’incrocio di istintualità e cultura: essendo radicata nella nostra forma di vita non si può rimuovere, come qualcosa di accessorio o prescindere da essa se si vuole comprendere questo tipo d’esistenza; essendo frutto di un processo di articolazione ammette variazioni e, quindi i significati che definisce possono cambiare.
Nello spazio della fruizione comune, l’interpretazione diviene significativa attraverso la sua incarnazione in istituzioni e pratiche. Le idee e le pratiche nel loro insieme costituiscono quella mappa di distinzioni significative vissute che contribuisce ad orientare l’uomo. In base alle coordinate poste da tale sfondo, alcune realtà appariranno non significative, altre invece acquisteranno senso e questo secondo diversi gradi. Sarà così possibile riconoscere in cosa consista il significato della nostra autodefinizione e cosa sia fondamentale rispetto al suo compimento. In questo modo gli altri potranno riconoscere il soggetto come presa di posizione rispetto ad un bene, cioè come portatore di un identità. E' una condizionbe indispensabile perchè un significato è reale soltanto se condiviso.
La sbrodolata qua sopra, anche se vomitata da Taylor, resta un insieme di ipotesi ancor più ipotetico per il fatto che quel vomito io me lo sono mangiato e l'ho nuovamente rigettato da cui la gittata qui sopra. Insomma, io credo profondamente al concetto di orizzonte e alla necessità di un orintamento per autodefinirsi, così come sono convinta che senza una ratifica di tale autodefinizione senza il mutuo riconoscimento non si possa possedere alcuna identità. Credo anche che bene e male emergano davvero da esperienze di dolore e frustrazione o di piacere e appagamento che concernono la realtà e la sfera del senso. Però non sono così convinta che proprio l'idea di bene sia cruciale per la nostra identità e trovo evidente che spesso l'idea di bene collima proprio con ciò che chi reprime.
Cosa ne pensate?
Mi piacerebbe poi sapere quali sono per voi le condizioni trascendentali dell'esperienza umana, che in parole pover altro non sono se non limite e la potenzialità ci qualifica come esseri umani e che rende umano il senso della nostra esperienza.
Non prendetemi in giro perchè sono stata così seria.
Dovevo fare qualcosa intanto che mettevo lo smalto e ho ben 20 dita.