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Il barrito di Zuccarella
«Professore, voglio fare un allucco».
L’incredibile espressione, inopinata ed allucinante, permea in un lampo l’aria rovente di quella mattina di tardo giugno nell’aula tesa, preoccupata e concentrata nell’ultimo ripasso prima dell’esame di maturità.
Inconcepibile che qualcuno avesse parlato, senza prima alzare il braccio per ottenerne licenza, per di più interrompendo l’oratoria del professore che da lassù, la cattedra nera soprelevata ed incombente l’assemblea, diffonde cultura, nozioni, autorità, soggezione e stile comportamentale.
«Professore, voglio fare un allucco»
Il contenuto impossibile delle parole, poi, rende l’attimo del tutto surreale, fantascientifico, demente. Semplicemente da incubo che qualcuno possa dire quelle parole, esprimendosi in dialetto, manifestando per giunta la volontà esplicita… di strillare!...
La quinta liceo di quel lontano 1957 rimase sospesa nel delirio onirico di un sogno angosciante, e si zittì, in stupefatta attesa.
Lentamente, nell’ultimo banco, la mole massiccia di Antonio Zuccarella si erge nei suoi quasi due metri di giovanotto già cresciuto molto, e molto in fretta.
Quindi, l’atmosfera prende a vibrare delle note di quello che davvero è un “allucco”, un urlo possente e prolungato, in impressionante crescendo di tono e di volume; su, su sempre più forte ed intenso a sgorgare da quei possenti polmoni da gigante costretto da tensione insopportabile.
Troppa la preoccupazione dell’esame, la soggezione del luogo, il caldo insopportabile, il banco troppo angusto per l’alunno ormai diventato uomo…
Sale il grido pieno, baritonale, sale e gonfia l’aria; certo si estende anche fuori, avvolgerà i corridoi, le altre aule, la presidenza… forse si sentirà anche in palestra.
E’ un tuono, quell’allucco, più che una voce umana; è il barrito dell’elefante maschio eccitato che carica inconsulto, e produce lo stesso effetto che questo nella savana assolata. In risposta non c’è che silenzio, assoluto, palpabile… e dura a lungo, interminabili secondi di attesa.
«Ah!... mi sono sfogato!»
Di botto Antonio Zuccarella tace e torna a sedere nel suo banco, mentre l’aula si fa vuota, muta.
Sembra che la temperatura sia scesa molti, molti gradi, lasciando nell’aria un brivido freddo di inesprimibile timore.
Il professore, lassù sulla cattedra nera, è rimasto pietrificato per tutta la durata dell’allucco, il dito mollemente disteso nell’accompagnamento dell’ultima parola, il concetto interrotto ancora cristallizzato nell’espressione del viso… come in un’istantanea fotografica.
Noi tutti, nei banchi, a farci piccoli piccoli a voler scomparire, terrorizzati dall’imminente, inevitabile, biblico diluvio di giusti rimproveri e sacrosante punizioni…
Il professore interrotto mentre spiega da uno strillo?... al di la di ogni immaginabile regolamento;
non sarà stata nemmeno pensata una sanzione adeguata a tanto immane arbitrio!
Ma il Maestro ci stupisce grandemente.
Non un gesto di stizza, non una parola di commento. Esattamente ricucendo lo strappo delirante dell’allucco, continua la sua lezione senza una variazione di tono, senza un cambio d’espressione,
potresti giurare addirittura completando la frase, la parola rimasta interrotta.
Questo, l’evento rimasto nella mia memoria come “l’allucco di Zuccarella”.
Avvenimento bizzarro in un liceo di cinquant’anni fa. Ma anche stilla fulgente di un’educazione a tutto campo, espressione di una “docenza” matura e consapevole capace di cogliere ogni istante per trasmettere sapienza, come per indurre alla riflessione la mente dei discenti.
Cosa avrà inteso il Professore col suo non-intervento?... cosa ci insegnò, in quel caldo giorno di giugno, oltre alla letteratura latina?... ci ho pensato su innumerevoli volte, ed ancora mi torna in mente spesso, quel gesto muto di rinuncia al diritto di rivalsa di una autorità offesa.
Libertà. La parola che mi torna in mente è solo questa. Il Maestro ci diede concreta dimostrazione del rispetto paritario della libertà altrui.
Nell’armonia globale dell’universo in quel momento, in quell’afosa aula di liceo, era prevalente l’esigenza di un ragazzo a sfogare la sua tensione in uno strillo liberatorio rispetto ad ogni etichetta, ogni consuetudine, ogni diritto, ogni cultura, ogni disciplina.
Il Maestro saggio intuì bene e ce ne diede insegnamento concreto e duraturo.
La libertà individuale non è una definizione, non una legge, non un concetto astratto.
E’ la concreta, esatta, immediata valutazione delle esigenze di tutti, nell’assoluto rispetto della dignità di ognuno.
Lucio Musto 21 gennaio 2011
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Il barrito di Zuccarella
«Professore, voglio fare un allucco».
L’incredibile espressione, inopinata ed allucinante, permea in un lampo l’aria rovente di quella mattina di tardo giugno nell’aula tesa, preoccupata e concentrata nell’ultimo ripasso prima dell’esame di maturità.
Inconcepibile che qualcuno avesse parlato, senza prima alzare il braccio per ottenerne licenza, per di più interrompendo l’oratoria del professore che da lassù, la cattedra nera soprelevata ed incombente l’assemblea, diffonde cultura, nozioni, autorità, soggezione e stile comportamentale.
«Professore, voglio fare un allucco»
Il contenuto impossibile delle parole, poi, rende l’attimo del tutto surreale, fantascientifico, demente. Semplicemente da incubo che qualcuno possa dire quelle parole, esprimendosi in dialetto, manifestando per giunta la volontà esplicita… di strillare!...
La quinta liceo di quel lontano 1957 rimase sospesa nel delirio onirico di un sogno angosciante, e si zittì, in stupefatta attesa.
Lentamente, nell’ultimo banco, la mole massiccia di Antonio Zuccarella si erge nei suoi quasi due metri di giovanotto già cresciuto molto, e molto in fretta.
Quindi, l’atmosfera prende a vibrare delle note di quello che davvero è un “allucco”, un urlo possente e prolungato, in impressionante crescendo di tono e di volume; su, su sempre più forte ed intenso a sgorgare da quei possenti polmoni da gigante costretto da tensione insopportabile.
Troppa la preoccupazione dell’esame, la soggezione del luogo, il caldo insopportabile, il banco troppo angusto per l’alunno ormai diventato uomo…
Sale il grido pieno, baritonale, sale e gonfia l’aria; certo si estende anche fuori, avvolgerà i corridoi, le altre aule, la presidenza… forse si sentirà anche in palestra.
E’ un tuono, quell’allucco, più che una voce umana; è il barrito dell’elefante maschio eccitato che carica inconsulto, e produce lo stesso effetto che questo nella savana assolata. In risposta non c’è che silenzio, assoluto, palpabile… e dura a lungo, interminabili secondi di attesa.
«Ah!... mi sono sfogato!»
Di botto Antonio Zuccarella tace e torna a sedere nel suo banco, mentre l’aula si fa vuota, muta.
Sembra che la temperatura sia scesa molti, molti gradi, lasciando nell’aria un brivido freddo di inesprimibile timore.
Il professore, lassù sulla cattedra nera, è rimasto pietrificato per tutta la durata dell’allucco, il dito mollemente disteso nell’accompagnamento dell’ultima parola, il concetto interrotto ancora cristallizzato nell’espressione del viso… come in un’istantanea fotografica.
Noi tutti, nei banchi, a farci piccoli piccoli a voler scomparire, terrorizzati dall’imminente, inevitabile, biblico diluvio di giusti rimproveri e sacrosante punizioni…
Il professore interrotto mentre spiega da uno strillo?... al di la di ogni immaginabile regolamento;
non sarà stata nemmeno pensata una sanzione adeguata a tanto immane arbitrio!
Ma il Maestro ci stupisce grandemente.
Non un gesto di stizza, non una parola di commento. Esattamente ricucendo lo strappo delirante dell’allucco, continua la sua lezione senza una variazione di tono, senza un cambio d’espressione,
potresti giurare addirittura completando la frase, la parola rimasta interrotta.
Questo, l’evento rimasto nella mia memoria come “l’allucco di Zuccarella”.
Avvenimento bizzarro in un liceo di cinquant’anni fa. Ma anche stilla fulgente di un’educazione a tutto campo, espressione di una “docenza” matura e consapevole capace di cogliere ogni istante per trasmettere sapienza, come per indurre alla riflessione la mente dei discenti.
Cosa avrà inteso il Professore col suo non-intervento?... cosa ci insegnò, in quel caldo giorno di giugno, oltre alla letteratura latina?... ci ho pensato su innumerevoli volte, ed ancora mi torna in mente spesso, quel gesto muto di rinuncia al diritto di rivalsa di una autorità offesa.
Libertà. La parola che mi torna in mente è solo questa. Il Maestro ci diede concreta dimostrazione del rispetto paritario della libertà altrui.
Nell’armonia globale dell’universo in quel momento, in quell’afosa aula di liceo, era prevalente l’esigenza di un ragazzo a sfogare la sua tensione in uno strillo liberatorio rispetto ad ogni etichetta, ogni consuetudine, ogni diritto, ogni cultura, ogni disciplina.
Il Maestro saggio intuì bene e ce ne diede insegnamento concreto e duraturo.
La libertà individuale non è una definizione, non una legge, non un concetto astratto.
E’ la concreta, esatta, immediata valutazione delle esigenze di tutti, nell’assoluto rispetto della dignità di ognuno.
Lucio Musto 21 gennaio 2011
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