Teoria del “doppio vincolo” e perfettibilità della comunicazione
di Massimiliano Tognetti
Prima di spiegare che cosa sia il doppio vincolo, è necessario volgere uno sguardo su ciò che significa comunicare. In primo luogo non è possibile non-comunicare, a livello mimico, linguistico, nei silenzi, in ogni espressione che è già emozione si è “costretti” a comunicare. La stessa negazione di comunicazione è già una comunicazione. Nella famiglia spesso si asserisce che non vi è dialogo, in realtà il problema non sta nella mancanza dialogica bensì nella negatività comunicativa, nella formazione di sacche negative di comunicazione. Negli studi di Palo Alto si è data molta rilevanza a questo aspetto. Leggiamo che “[…] il comportamento non ha un suo opposto. In altre parole, non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento o, per dirla anche più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento.”
Questo pone tutta una serie di problemi di non facile gestione all’interno dei sistemi umani. In effetti, se un individuo, necessita per difesa personale, di non comunicare, di non esprimersi, di non far trasparire emozioni che possono essere ritorte contro di lui, si trova in una situazione molto difficile. Spesso l’unica soluzione, quando ci si sente imprigionati, vigilati, “costretti”, appare quella del ritiro degli affetti, dell’isolamento. La soluzione tuttavia diviene il sintomo, ed il sintomo la soluzione.
Quando si raggiunge un elevato ritiro dalla realtà, per sfuggire a “persecuzioni” comunicative, spesso si finisce per perdere di vista ciò che Gregory Bateson chiama il “contesto”, ossia l’elemento chiave della possibilità di meta-comunicare, di comunicare sulla comunicazione. Quando non si riesce più a distinguere tra i modi di darsi del contesto, ovvero quando non si capisce il limite tra gioco e non-gioco, tra farsi la guerra “per gioco”, o farsi veramente la guerra, a quel punto la capacità di uscire da un doppio vincolo è pressoché impossibile. Una situazione come quella che abbiamo descritto viene comunemente definita schizofrenia. Essenzialmente dice Bateson: “[…] gli uomini si servono del contesto come una guida per discriminare tra i modi.”
Quindi che cos’è un doppio vincolo? Quali sono le conseguenze per chi vi si è trovato in maniera reiterata? Per rispondere alla prima domanda ci avvaliamo di questa definizione dello stesso Bateson: “il << doppio vincolo >>, che è fondamentale nella metà eziologia della nostra ipotesi, può essere ora descritto concisamente dicendo che è l’esperienza di venir punito proprio per essere nel giusto circa l’interpretazione del contesto. La nostra ipotesi prevede che la ripetizione di tale esperienza di punizione in sequenze di questo tipo porti l’individuo a comportarsi abitualmente come se si aspettasse tale punizione.”
In altre parole un doppio vincolo esercitato continuamente su un bambino è ciò che lo predispone nei casi più gravi ed stremi alla cosiddetta “schizofrenia”. Quando viene distrutta nel bambino la capacità di comunicare “come se…” si distrugge in lui la capacità di distinguere il contesto in cui si trova ad agire e ad inter-agire. Questo tipo di metaforizzazione rispecchia lo sforzo del bambino per entrare in comunicazione con i genitori. Questa metaforizzazione si esplica fuori contesto, ossia al di là del reale. Con le parole di Bateson: “[…] il paziente identificato si sacrifica per mantenere la sacre illusione che quanto dice il genitore ha senso. Per star vicino al genitore, egli deve rinunciare al suo diritto di far capire che vede incongruenze metacomunicative, anche quando tale percezione è corretta.”
Dare un senso a ciò che sfugge alla logica significa esercitarsi a vivere su di un piano totalmente affettivo, sfuggendo a ciò che il senso della datità fornisce. Cioè: per capire ancora meglio questo meccanismo si può dire ancora con Bateson che: “L’insolubile dilemma si può dunque esprimere così: << Se voglio mantenere il legame con mia madre, non devo dimostrarle che l’amo, ma se non le dimostro che l’amo, la perdo >>.” (5)
In una simile situazione, quando ancora il bambino non ha affinato alcuna consapevolezza del mondo, ma anzi la visione-del-mondo è soltanto quella del genitore, la rottura con il “reale” è pressoché inevitabile. Essere chiuso in un doppio legame comporta l’inscriversi nelle contraddizioni interne dei genitori e vivere come se queste fossero l’unica possibilità di individuazione.
Quella che apparentemente sembra una situazione paradossale è in realtà una scena che si ripete continuamente nel sistema-famiglia. Un bambino non può liberarsi da una simile situazione-paradosso ed è costretto ad assecondare i due livelli di messaggio che gli vengono proposti. Accettando questi messaggi contraddittori che continuamente gli vengono proposti non può acquisire l’abilità di meta-comunicare, dunque cade preda di una realtà contrastante, che non è altro se non il conflitto interiore materno che si propone nella vita interna-esterna del bambino.
Per far si che un doppio vincolo si eserciti con tutta la sua devastazione deve esservi anche il messaggio implicito della perdita di affetto. Se il bambino non si invischia nei due livelli comunicativi, per lui vi può essere la punizione fisica oppure la perdita degli affetti, l’ “abbandono”. Per fare un esempio pratico ci avvarremmo di questo passo tratto dal lavoro di Johnson e dei suoi collaboratori: “Quando questi bambini percepivano la rabbia e l’ostilità di un genitore, come era avvenuto in molte occasioni, il genitore negava di essere arrabbiato e insisteva a dire che anche il bambino ammetteva che lui non era arrabbiato, così il bambino si trovava di fronte al dilemma se credere al genitore o ai propri sensi. Se credeva ai propri sensi manteneva una salda presa sulla realtà, se credeva al padre, manteneva la relazione di cui aveva bisogno, ma distorceva la propria percezione della realtà.”
Quello che si evince da questo esempio è che se il bambino credesse, o andasse dietro alle sue sensazioni sarebbe a serio rischio di sopravvivenza; viene sottilmente minacciato di perdere l’affetto se non segue il discorso del genitore.
Ciò che un doppio legame esprime non è semplicemente una contraddizione, ma un vero e proprio paradosso. La condizione essenziale di un doppio legame è infatti non essere consapevoli delle contraddizioni che tale situazione crea. L’inconsapevolezza crea la condizione base che rende difficilissimo uscire da un doppio vincolo. Spesso la soluzione è il ritiro dalle “difficoltà” della vita, ciò comporta ritirare i propri affetti prima che li ritirino gli altri nei nostri confronti.
Per concludere c’e da dire che la situazione del doppio vincolo non si trova soltanto in sistemi-familiari, ma può ritrovare in qualsiasi altro sistema. La differenza sta semplicemente nel grado di affettività che si mette in gioco e nelle capacità individuali di uscirne.
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Non so se è già stato trattato questo argomento, comunque vorrei sapere le vostre impressioni.
di Massimiliano Tognetti
Prima di spiegare che cosa sia il doppio vincolo, è necessario volgere uno sguardo su ciò che significa comunicare. In primo luogo non è possibile non-comunicare, a livello mimico, linguistico, nei silenzi, in ogni espressione che è già emozione si è “costretti” a comunicare. La stessa negazione di comunicazione è già una comunicazione. Nella famiglia spesso si asserisce che non vi è dialogo, in realtà il problema non sta nella mancanza dialogica bensì nella negatività comunicativa, nella formazione di sacche negative di comunicazione. Negli studi di Palo Alto si è data molta rilevanza a questo aspetto. Leggiamo che “[…] il comportamento non ha un suo opposto. In altre parole, non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento o, per dirla anche più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento.”
Questo pone tutta una serie di problemi di non facile gestione all’interno dei sistemi umani. In effetti, se un individuo, necessita per difesa personale, di non comunicare, di non esprimersi, di non far trasparire emozioni che possono essere ritorte contro di lui, si trova in una situazione molto difficile. Spesso l’unica soluzione, quando ci si sente imprigionati, vigilati, “costretti”, appare quella del ritiro degli affetti, dell’isolamento. La soluzione tuttavia diviene il sintomo, ed il sintomo la soluzione.
Quando si raggiunge un elevato ritiro dalla realtà, per sfuggire a “persecuzioni” comunicative, spesso si finisce per perdere di vista ciò che Gregory Bateson chiama il “contesto”, ossia l’elemento chiave della possibilità di meta-comunicare, di comunicare sulla comunicazione. Quando non si riesce più a distinguere tra i modi di darsi del contesto, ovvero quando non si capisce il limite tra gioco e non-gioco, tra farsi la guerra “per gioco”, o farsi veramente la guerra, a quel punto la capacità di uscire da un doppio vincolo è pressoché impossibile. Una situazione come quella che abbiamo descritto viene comunemente definita schizofrenia. Essenzialmente dice Bateson: “[…] gli uomini si servono del contesto come una guida per discriminare tra i modi.”
Quindi che cos’è un doppio vincolo? Quali sono le conseguenze per chi vi si è trovato in maniera reiterata? Per rispondere alla prima domanda ci avvaliamo di questa definizione dello stesso Bateson: “il << doppio vincolo >>, che è fondamentale nella metà eziologia della nostra ipotesi, può essere ora descritto concisamente dicendo che è l’esperienza di venir punito proprio per essere nel giusto circa l’interpretazione del contesto. La nostra ipotesi prevede che la ripetizione di tale esperienza di punizione in sequenze di questo tipo porti l’individuo a comportarsi abitualmente come se si aspettasse tale punizione.”
In altre parole un doppio vincolo esercitato continuamente su un bambino è ciò che lo predispone nei casi più gravi ed stremi alla cosiddetta “schizofrenia”. Quando viene distrutta nel bambino la capacità di comunicare “come se…” si distrugge in lui la capacità di distinguere il contesto in cui si trova ad agire e ad inter-agire. Questo tipo di metaforizzazione rispecchia lo sforzo del bambino per entrare in comunicazione con i genitori. Questa metaforizzazione si esplica fuori contesto, ossia al di là del reale. Con le parole di Bateson: “[…] il paziente identificato si sacrifica per mantenere la sacre illusione che quanto dice il genitore ha senso. Per star vicino al genitore, egli deve rinunciare al suo diritto di far capire che vede incongruenze metacomunicative, anche quando tale percezione è corretta.”
Dare un senso a ciò che sfugge alla logica significa esercitarsi a vivere su di un piano totalmente affettivo, sfuggendo a ciò che il senso della datità fornisce. Cioè: per capire ancora meglio questo meccanismo si può dire ancora con Bateson che: “L’insolubile dilemma si può dunque esprimere così: << Se voglio mantenere il legame con mia madre, non devo dimostrarle che l’amo, ma se non le dimostro che l’amo, la perdo >>.” (5)
In una simile situazione, quando ancora il bambino non ha affinato alcuna consapevolezza del mondo, ma anzi la visione-del-mondo è soltanto quella del genitore, la rottura con il “reale” è pressoché inevitabile. Essere chiuso in un doppio legame comporta l’inscriversi nelle contraddizioni interne dei genitori e vivere come se queste fossero l’unica possibilità di individuazione.
Quella che apparentemente sembra una situazione paradossale è in realtà una scena che si ripete continuamente nel sistema-famiglia. Un bambino non può liberarsi da una simile situazione-paradosso ed è costretto ad assecondare i due livelli di messaggio che gli vengono proposti. Accettando questi messaggi contraddittori che continuamente gli vengono proposti non può acquisire l’abilità di meta-comunicare, dunque cade preda di una realtà contrastante, che non è altro se non il conflitto interiore materno che si propone nella vita interna-esterna del bambino.
Per far si che un doppio vincolo si eserciti con tutta la sua devastazione deve esservi anche il messaggio implicito della perdita di affetto. Se il bambino non si invischia nei due livelli comunicativi, per lui vi può essere la punizione fisica oppure la perdita degli affetti, l’ “abbandono”. Per fare un esempio pratico ci avvarremmo di questo passo tratto dal lavoro di Johnson e dei suoi collaboratori: “Quando questi bambini percepivano la rabbia e l’ostilità di un genitore, come era avvenuto in molte occasioni, il genitore negava di essere arrabbiato e insisteva a dire che anche il bambino ammetteva che lui non era arrabbiato, così il bambino si trovava di fronte al dilemma se credere al genitore o ai propri sensi. Se credeva ai propri sensi manteneva una salda presa sulla realtà, se credeva al padre, manteneva la relazione di cui aveva bisogno, ma distorceva la propria percezione della realtà.”
Quello che si evince da questo esempio è che se il bambino credesse, o andasse dietro alle sue sensazioni sarebbe a serio rischio di sopravvivenza; viene sottilmente minacciato di perdere l’affetto se non segue il discorso del genitore.
Ciò che un doppio legame esprime non è semplicemente una contraddizione, ma un vero e proprio paradosso. La condizione essenziale di un doppio legame è infatti non essere consapevoli delle contraddizioni che tale situazione crea. L’inconsapevolezza crea la condizione base che rende difficilissimo uscire da un doppio vincolo. Spesso la soluzione è il ritiro dalle “difficoltà” della vita, ciò comporta ritirare i propri affetti prima che li ritirino gli altri nei nostri confronti.
Per concludere c’e da dire che la situazione del doppio vincolo non si trova soltanto in sistemi-familiari, ma può ritrovare in qualsiasi altro sistema. La differenza sta semplicemente nel grado di affettività che si mette in gioco e nelle capacità individuali di uscirne.
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Non so se è già stato trattato questo argomento, comunque vorrei sapere le vostre impressioni.