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BESTIA

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Lucio Musto
Lucio Musto
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
ecco il racconto di tutta la storia; o almeno della sua prima parte:
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Bestia

Una grande lastra di vetro ci divide dalle bestie.

Deve avere uno spessore enorme, ché a girare lo sguardo la si vede diventare rapidamente verde smeraldo e poi impenetrabile alla vista.
E’ rassicurante, che sia tanto robusta perché la bestia è immensamente forte, e maligna: pericolosa.

Di fronte, però, la lastra di vetro è perfettamente trasparente, e la bestia si vede distintamente.

In verità di bestie ce ne sono parecchie, ma per lo più sembrano indifferenti alla mia persona. Forse sono addirittura di un’altra razza: o forme giovanili o di sesso diverso.
Non so se abbiano sesso, queste creature bizzarre, e quanti ne abbiano.

Quelle altre, più piccole ed indifferenti si muovono pigramente al di là della barriera di cristallo stranamente strisciando al suolo o fluttuando nell’aria. Ma non hanno ali, pare, e forse il loro ambiente è fatto d’acqua, o forse lì le leggi della gravità sono differenti dalle nostre.
Si muovono lentamente ed apparentemente senza meta, fino a scomparire nella bruma sul fondale fra quelle ambigue escrescenze brune che forse sono piante, o alghe, o altri animali fissili.
Sono brutte, ma non orripilanti; più che altro, estranee alla mia esperienza.
Non mi turbano granché. Potrebbero essere animali sconosciuti in una vasca dello zoo.

In primo piano invece, schiacciata contro il vetro protettivo, c’è lei: la bestia. E’ raccapricciante, e la odio.
Il guardarla mi gela la schiena e piccoli brividi elettrici mi attraversano le carni.
I suoi piccoli occhi cattivi (solo due, ma sembreno mille) immobili ma atroci oltre ogni dire sembrano trafiggerti.
Sono simili ai nostri, ma gialli e verdastri, macchiati di sangue vermiglio. Due fessure appena fra le palpebre grinzose.
Non so perché, penso che debbano farle male e bruciare, come a me i miei.

E mi fissa con malvagità.

Ha la testa, ma sarà poi la testa quella escrescenza che ha sul davanti?, schiacciata contro il vetro che ne deforma i lineamenti rendendola ancora più disgustosa.
Come l’interno gelatinoso di un frutto marcito.
Verde e gialla, come il resto di quel corpaccio amorfo, molle e dall’aspetto untuoso e malato, con quelle indecise macchie brunastre ed areole ancora più scure.
La coda, o comunque quello che sembra essere il suo didietro, arrotondata come quella di un lamantino, si increspa e spinge inquieta sulla sabbia, a pressare con sempre più forza quel grande flaccido organismo contro la barriera che mi protegge.

La bestia vuole prendermi, lo sento, sento tutta la sua perversità giungermi addosso, in ondate di fetore mentale.

C’è un piccolo foro scheggiato, nel vetro. Come quelli che si vedono nei film, provocati dalle pallottole.
Naturalmente sembra soltanto, nessun’arma potrebbe trapassare un simile scudo, e la bestia l’ha scoperto.

O magari ce l’hanno fatto apposta.

Ci ha infilato dentro un suo dito, scheletrico come il medio di un Ayé Ayé, ma forse non è un dito, è un qualche altro organo o propaggine.
C’è una specie di unghia in cima, che sembra lo sperone di un gallo.
Giallo, sporco, affilato. Si agita continuamente, sforzandosi di sporgersi il più possibile e ghermire qualunque cosa riesca a raggiungere.

So che è velenoso, di un veleno terribile e senza nome.

Davanti al grande vetro, un muretto di mattoni. Verniciato di azzurro lucido, ad olio.
Costruito lì apposta perché la gente non si avvicini troppo all’artiglio velenoso.

Naturalmente sono certo della cosa: se non supero il muretto, non corro nessun pericolo.
E posso irritare la bestia, e farla schiumare di rabbia, farla arrovellare nel suo astio incontenibile.

Trovo un fuscello di legno secco e ne avvicino un’estremità a quel tentacolo irrequieto per stuzzicarlo.
La bestia vede subito il mio gesto e si spiaccica contro il vetro, deformandosi ancora di più.
E cerca di sforzare nel foro il dito rinsecchito.
Chissà se dietro c’è una mano, o un braccio?... non si vede che la massa informe giallo-verdastra di quell’essere abominevole.

Il dito si gira e si torce seguendo il moto del fuscello di legno, mentre l’artiglio si trasforma.
Rizza su delle setole grasse, piccole trappole appicicose di muco e di spini.
Gli faccio sfiorare il legnetto e sento vibrare la bestia di perverso piacere, e poi piano piano, glielo lascio afferrare. Saldamente, cocciutamente. E lei comincia a tirare.

Che stupida bestia.
Non capisce che quel bastoncino di legno è altro da me e che può anche tenerlo, tanto a me non importa.
Non vede nemmeno che è troppo grosso per passare nel piccolo buco che hanno fatto nel vetro, e non le giova tirare. Ma lei si agita e tira; L’ha avvinghiato stretto e si sforza, s’impegna... e tira più forte con impegno brutale... La stupida bestia!

Il piccolo pezzo di legno è infine sfibrato tanto da diventare un filo, una cordicella che la bestia continua a tirare con forza crescente risucchiandolo nello stretto foro.

Ho perso interesse alla cosa e glielo lascio.

Mi distraggo per un attimo, o per un’ora. Non so.

La bestia è ancora lì, immobile al centro della scena, alquanto discosta dal massiccio vetro di protezione. Sonnolenta ed afflosciata ma non per questo meno inquietante ed esecrabile.

Mi va di sfotterla ancora.

Ho anche raccolto un altro fuscello; devo solo farmi notare da quegli occhietti spietati.

Mi agito e faccio boccacce.

Furtivamente noto il muretto azzurro, o meglio i suoi resti.
Qualcuno l’ha spicconato via e non me rimangono che due brevi tronconi, dove si congiungeva alle pareti.

Ed io sono ben oltre il limite di sicurezza. E seduto per terra, col fuscello in mano, sono pericolosamente, ridicolmente esposto all’artiglio velenoso.

Il terrore mi gela e mi impedisce ogni movimento.

Non riesco nemmeno a localizzare il piccolo foro nel vetro.

E la bestia mi ha notando, e si muove verso di me. Lentamente, inesorabilmente si avvicina strisciando, nudo mollusco schifoso.

Non sembra aver fretta, la bestiaccia.
La maschera d’odio dell’osceno suo ghigno feroce è trionfante.

Devo fuggire via, in fretta, oltre ogni dignità e soperchieria devo strapparmi di dosso il torpore che mi impaccia ed allontanarmi al più presto.

Dolorosamente, irrigidisco ogni muscolo.

Uno sforzo disperato, e rotolo via.

Un tonfo.
Sono giù dal letto, sul pavimento di cotto arrotolato nelle coperte e sudato.

Ed anche mia moglie, ho svegliata!





Lucio Musto 21 marzo 2005 parole 1024





Ultima modifica di Lucio Musto il Gio 30 Set 2010 - 21:37 - modificato 1 volta.

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NinfaEco
NinfaEco
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
:pale: ho paura....... come prosegue??????

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Lucio Musto
Lucio Musto
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
scusa... non l'avevo fatto per aumentare la suspence... solo per imbranataggine! imbarazzo

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