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Considerazioni archeologiche e geografiche riguardanti la città di Nazaret 2

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Sabine
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4.2 Gamla e la Gaulanitide

Una delle anomalie più grandi nell'identificare Gamla con la città descritta da Lc. 4:29 è data dal fatto che Gamla ai tempi di Gesù si trovava nella Gaulanitide, la regione a nord est del mare della Galilea. Gamla non era dunque una città della Galilea come richiesto da Lc. 4:14. A collocare espressamente Gamla nella Gaulanitide è Giuseppe Flavio in Bell. 2:574, mentre in Bell., 4:2 specifica che si trovava nel Gaulan inferiore, dirimpetto a Tarichea (10). Questa posizione, del resto, è coerente con quella dell'attuale sito archeologico. Dopo la morte di Erode il Grande (4 a.C.) la regione della Gaulanitide fu assegnata al tetrarca Filippo, che regnò su di essa fino al 34 d.C, l'anno della sua morte. Quando morì anche Filippo il controllo della città passò per tre anni direttamente ai Romani e la regione venne di conseguenza annessa alla provincia di Siria, come il resto dei territori di Filippo. Ma a partire dal 37 la Gaulanitide tornò sotto il controllo di un sovrano giudeo, il re Agrippa I, che regnò su di essa fino al 44. Una sorte identica toccò alla Galilea nel 39 d.C., che era stata in precedenza governata da Erode Antipa dalla morte di Erode il Grande. In Bell., 2:568 Giuseppe Flavio riferisce che il Sinedrio gli affidò il comando delle "due Galilee" ma dal contesto risulta chiaro che Gamla non apparteneva alle due Galilee infatti Giuseppe afferma, nel medesimo passo, che "alla giurisdizione sulle due Galilee venne aggiunto anche il territorio di Gamla, la città più forte in quella regione" come se la città di Gamla non facesse parte delle due Galilee (11). Giuseppe non avrebbe avuto bisogno di aggiungere anche Gamla nel precedente brano se essa faceva parte delle due Galilee oppure se la Gaulanitide fosse stata da egli considerata come una parte della Galilea. Del resto l'espressione delle "due Galilee" viene spiegata in Bell., 3:35-43. In questo brano Giuseppe suddivide la Galilea in due zone, la Galilea superiore e la Galilea inferiore e descrive geograficamente la sua estensione territoriale, specificando che la Galilea è delimitata ad est dai territori di Hippos, di Gadara e dalla Gaulanitide. La Gaulanitide, dunque, non può certo essere considerata una parte della Galilea.

A questa argomentazione si potrebbe obiettare citando il caso della città di Bethsaida. Giuseppe Flavio (cfr. Bell. 2,168 combinato con Ant. 18,28) colloca espressamente questa città in Gaulanitide, sotto la giurisdizione del tetrarca Filippo, e ciò pare concordare con gli scavi archeologici che da tempo hanno individuato presso il sito di el-Tell, a est del Giordano, nella zona settentrionale del mare di Galilea, la posizione dell'antica Bethsaida. Gv. 12:21 colloca invece Bethsaida in Galilea e questo sembra concordare con il contesto di Mc. 6:45 combinato con Mc. 6:53, secondo cui Bethsaida doveva trovarsi in prossimità della terra di Gennesaret. D'altra parte, el-Tell è un sito di confine, posto proprio tra Galilea e Gaulanitide: una certa confusione potrebbe essere sorta, mentre è altamente improbabile per Gamla e Nazaret, città saldamente collocate risp. in Gaulanitide e in Galilea e non confondibili. Inoltre gli eventuali errori di Marco o Giovanni potrebbero non inficiare la validità delle affermazioni del testo di Luca, che cita Bethsaida due volte (Lc. 9:10 e 10:13) senza che sia deducibile l'esatta collocazione geografica. Il Talmud cita Gamla in Mishnà 'Arakin 9,6 assieme ad altre città. La ghemarà (commento) di questa mishnà afferma erroneamente che Gamla si trovava in Galilea (folio 32a,b). Del resto la stessa collocazione, secondo questa ghemarà, di Gadud in Transgiordania non è corretta.

Sebbene situata nella Gaulanitide, una regione fortemente ellenizzata, Gamla era una città dove le usanze ebraiche venivano rispettate. Ad esempio gli scavi archeologici hanno rivelato la mancanza di sepolture nella città, come scrive D. Syon: "among the thousands of animal bones recovered in all areas excavated, only a single lower human jawbone was found together with an arrowhead in area S, in the western quarter of the city, far from the main events of the battle. We feel that the answer, while not completely satisfactory, lies in the supreme importance of the Jewish religious command for the burial of the dead." Oltre a questo, da un punto di vista economico la città era orientata verso Tiberiade che non Cesarea di Filippo o il resto della Gaulanitide, sono state infatti ritrovate più monete di Erode Antipa che di Filippo. Questo, ancora una, volta è dovuto probabilmente al fatto che la maggior parte della Gaulanitide sotto Filippo era abitata da gentili mentre Tiberiade da ebrei e gli abitanti di Gamla preferivano tendenzialmente mantenere rapporti commerciali con gli altri ebrei più che con i gentili.

4.3 Giuda di Gamla

Nelle opere di Giuseppe Flavio viene citato un personaggio che ha attinenza con la città di Gamla e la sua collocazione geografica. In Ant. 18:4 Giuseppe parla di un certo Giuda, che definisce Gaulanita della città di Gamla, Ioudaj de Gaulanithj anhr ek polewj Gamala, un rivoluzionario che fondò un partito di opposizione contro l'occupazione romana, il movimento era contrario in particolare al pagamento del tributo al quale erano stati sottoposti i Giudei al tempo del censimento di Quirinio e Coponio, dopo la destituzione di Archelao (6 d.C.). Giuseppe Flavio afferma che Giuda di Gamla, attivo al tempo del censimento, fondò una scuola di filosofia, assieme al fariseo Saddoc, espressione che significa una sorta di partito, movimento politico avente anche un proprio sistema di valori da un punto di vista filosofico. Tuttavia Giuseppe definisce questo Giuda come "galileo" e non "gaulanita" quando in Ant. 18:23 passa ad esporre i principi fondamentali della sua scuola filosofica, chiamata "quarta filosofia", dopo aver descritto il pensiero filosofico-religioso di Farisei, Sadducei ed Esseni. Questo stesso personaggio è citato anche in Bell., 2:118, ma viene chiamato semplicemente "un galileo di nome Giuda" senza alcun riferimento alla città di Gamla. Giuda il Galileo è citato persino anche in Atti 5:37, proprio con riferimento alla rivolta al tempo del censimento che avrebbe portato al tributo. Giuda il galileo o il gaulanita di Gamla fu attivo al tempo di Quirinio e Coponio ma la sua discendenza continuò ad operare per tutta la prima metà del I secolo d.C., fino al tempo della guerra giudaica. Giacomo e Simone, due dei figli di Giuda, furono crocifissi dai Romani nel 46 d.C. (cfr. Ant., 20:102), un altro figlio di Giuda, di nome Menahem, fu tra i capi della rivolta del 66 (cfr. Bell., 2:433) mentre Eleazar, definito come suo discendente in Bell., 7:524, fu il capo dei sicari che resistettero fino allo strenuo ai Romani a Masada, suicidandosi in massa per non cadere nelle mani dei nemici. In contesti che non lo riguardano direttamente Giuda è quindi citato anche in Bell., 2:433, 7:253 e Ant. 20:102, in tutti questi passi le informazioni fornite da Giuseppe conducono inequivocabilmente allo stesso personaggio di Ant. 18:4 e Bell. 2:118 ribadendo che era galileo o che comunque veniva identificato con questo appellativo (ad esclusione di Bell., 7:253, dove l'aggettivo galileo non compare a fianco del nome). Si noti che in Bell. 2:56 (// Ant. 17:221) viene citato un "Giuda figlio del capo brigante Ezechia" che fu attivo a Sefforis, in Galilea, dove aveva costituito una sua milizia armata, avendo fatto irruzione negli arsenali regi di quella città. Sebbene G. Vitucci nella sua edizione di Guerra Giudaica affermi che Giuda figlio di Ezechia sia da ritenersi lo stesso Giuda che istigò gli ebrei ad opporsi al censimento di Quirinio, l'effettiva coincidenza dei due personaggi non è affatto scontata e in nessun punto delle sue opere Giuseppe chiarisce la questione, Giuda di Gamla o il galileo, infatti, è sempre ricordato per l'opposizione al censimento e mai per l'episodio di Sefforis, viceversa Giuda figlio di Ezechia non è mai messo in relazione con la questione del tributo o con la quarta filosofia, così sembra ragionevole concludere che Giuseppe intendesse riferirsi a due personaggi distinti, come supposto peraltro da altri studiosi: Giuda figlio del capo brigante Ezechia e Giuda "il galileo". Relativamente a quest'ultimo personaggio, se ci basassimo soltanto sulla lettura di Guerra Giudaica, opera composta prima di Antichità Giudaiche, in nessun passo di essa che lo menziona troveremmo scritto che egli era di Gamla (cfr. Bell., 2:118, 2:433, 7:253 ed eventualmente 2:56 per Giuda figlio di Ezechia). E' infatti in Ant. 18:4 che troviamo una importante novità rispetto a Guerra Giudaica, la precisazione che Giuda, pur essendo detto "galileo", era un Gaulanita di Gamla: questo passo di Ant. Giud. è di fatto l'unico che colleghi Giuda alla città di Gamla. Inoltre, non solo in Ant. 18:4-10 è certamente dato un maggior peso alle azioni di Giuda, ma in Ant. 18:11-25 la scuola filosofica di Giuda è addirittura elevata al rango di quarta filosofia, assieme a quella dei Farisei, degli Esseni e dei Sadducei, mentre in Bell., 2:119-166 Giuseppe Flavio non dedica neppure una riga a una esposizione della dottrina della setta di Giuda il galileo. Nel passaggio da Guerra Giudaica ad Antichità Giudaiche, composta circa venti anni dopo, probabilmente Giuseppe deve avere riconsiderato l'impatto di Giuda e della sua dottrina politico-filosofica sulla storia del giudaismo al tempo della rivolta del 66. Qui l'aspetto che interessa maggiormente è capire per quale motivo Giuseppe Flavio da un lato definisca Giuda come originario di Gamla, specificando che era un Gaulanita, per poi invece parlare di lui come "galileo". Dalle precedenti considerazioni riguardanti la collocazione geografica di Gamla, della Gaulanitide e della Galilea, tenuto conto che Giuseppe Flavio era giudeo e conosceva direttamente la geografia che descriveva per essere stato comandante a Gamla e nella Galilea, ci sembra di poter escludere una confusione geografica dei termini "Gaulanita" e "Galileo" da parte di Giuseppe, oppure una errata collocazione della città di Gamla rispetto alla regione in cui si trovava. Restano allora due possibili soluzioni per spiegare questa anomalia di Giuseppe. La prima ipotesi è che Giuda effettivamente fosse originario della Galilea ma poi fosse andato a vivere nella città di Gamla, nella regione ad est del lago. Così Giuda sarebbe sia galileo, per via delle sue origini, sia di Gamla, avendo vissuto anche in quella città. Questa teoria acquisterebbe certamente un grande peso se si potesse dimostrare inequivocabilmente che Giuda figlio di Ezechia, attivo a Sefforis in Galilea, coincide con Giuda il galileo del censimento di Quirinio. La seconda ipotesi riguarda l'utilizzo del termine "galileo" nella letteratura del periodo. Nel Nuovo Testamento, ad esempio, l'aggettivo "galileo" ha essenzialmente una connotazione geografica e mette in relazione un personaggio con la regione della Galilea. Ma galileo potrebbe anche avere assunto una connotazione settaria, non necessariamente legata all'appartenenza geografica. Nella sua descrizione della regione della Galilea Giuseppe si limita a dire che "i Galilei sono bellicosi fin da piccoli e sono stati sempre numerosi, e come gli abitanti non hanno mai conosciuto la codardia così la regione non ha mai conosciuto lo spopolamento", cfr. Bell., 3:42. Ma nessun riferimento specifico all'utilizzo di galileo come aggettivo particolare per definire un personaggio o una appartenenza politico-religiosa è fatto in questo passaggio. In tutto Giuseppe Flavio abbiamo forse soltanto una prova diretta che "galileo" fosse un appellativo in grado di contraddistinguere un personaggio sulla base di una appartenenza politica, invece che della sua provenienza geografica, trattasi di Bell., 4:558. In questo importante passo Giuseppe descrive la situazione di Gerusalemme sotto l'assedio romano, quando all'interno della città comandavano ancora i gruppi rivoluzionari anti-romani. In questo contesto Giuseppe menziona "il gruppo dei Galilei" che aveva portato al potere Giovanni, uno dei capi della rivolta, definendoli come una costola del movimento degli Zeloti. Certamente manca una descrizione della nascita di un eventuale movimento politico dei Galilei, ma Giuseppe potrebbe eventualmente aver dato per scontato che il lettore fosse a conoscenza del significato di "galileo". Del resto anche per il gruppo degli Zeloti, che cita moltissime volte, non racconta in modo dettagliato come nacquero e da chi vennero fondati. Un utilizzo particolare del termine "galileo" compare in Epitteto, filosofo vissuto tra il I e il II secolo d.C., che sembra confondere i cristiani con i galilei in Diss. Ab Arriano digestae, IV, 6, 6 (12). Sebbene non sia possibile dimostrarlo con certezza, può darsi che nel giudaismo del secondo tempio e soprattutto all'epoca della guerra giudaica del 66-74 il termine "galileo" avesse esteso il suo campo semantico in relazione al fenomeno del brigantaggio che iniziò a diffondersi a partire dalle aree periferiche della Galilea, al confine della Siria e dell'Idumea, per contagiare la Giudea ai tempi dei procuratori Festo e Albino. Nel gergo di Giuseppe Flavio personaggi quali Giuda figlio di Ezechia, Giuda il "galileo" e la sua discendenza, altri personaggi galilei sono chiamati "briganti" (lVst»j) quindi l'appellativo di "galileo" potrebbe essere stato sinonimo di lVst»j. Questa interpretazione, come detto, è dimostrabile nella migliore delle ipotesi utilizzando soltanto Bell., 4:558, passo che descrive un gruppo di Zeloti chiamati Galilei. Se dunque esisteva un partito dei Galilei, allora Giuda potrebbe essere appartenuto a questo partito politico e aver fondato una sua setta particolare, all'interno di questo movimento. In tal caso Giuda, pur essendo di Gamla, nella Gaulanitide, sarebbe anche Galileo in virtù di una appartenenza politica. L'ipotesi inversa, cioè che da Giuda detto il galileo si sia originata l'usanza di chiamare "galilei" i membri della sua setta filosofica, potrebbe essere spiegabile ammettendo che Giuda abbia inizialmente operato nella Galilea, per poi trasferirsi a Gamla. La connessione di Gamla con il nome di un noto rivoluzionario come Giuda il galileo, con la sua discendenza attiva al tempo della rivolta giudaica del 66-74 ed eventualmente con Giuda figlio di Ezechia è uno dei motivi preferiti per cui alcuni studi storici guardano con interesse a Lc. 4:29 che riporta una descrizione della Nazaret evangelica geograficamente molto simile a quella della città di Gamla, dalla quale proveniva Giuda.

4.4 Conclusioni

In conclusione possono essere evidenziati gli elementi a favore dell'identificazione della città di Lc. 4:29 con Gamla:

la città ha una collocazione geografica abbastanza compatibile con la descrizione di Lc. 4:29, si trova su di un monte, la sua esistenza nel I secolo d.C. e anche prima è attestata storicamente, in essa sono stati ritrovati i resti di un edificio pubblico che sembra essere una sinagoga, come richiesto da Lc. 4:29.

Ed ora gli argomenti che si oppongono alla identificazione della città di Lc. 4:29 con Gamla:

la città si trovava in Gaulanitide e non nella Galilea, come richiesto da Lc. 4:14 e da altri passi evangelici che parlano di Nazaret.

Sebbene l'attuale Gamla sia collocata su uno sperone di montagna avente pareti molto ripide, mancano su questo monte precipizi mortali. Danny Syon considera una esagerazione letteraria la scena del suicidio di massa descritto da Giuseppe Flavio in Bell., 4:79. Per trovare un precipizio bisogna uscire dalla città (questo peraltro è in accordo con Lc. 4:29) e raggiungere un'altro sperone di montagna che si trova a circa quattrocento metri dal muro di confine di Gamla (questo potrebbe essere in dissaccordo con Lc laddove dice che il precipizio si trovava sul monte in cui sorgeva la città).

Il processo di revisione critica delle origini cristiane sfociò nel XIX secolo nella negazione assoluta dell'esistenza di Gesù, che fu presentato come un mito, in studiosi importanti quali B. Bauer (1809-1882) (autore di Die Christusmythe, "Il mito di Cristo") e A. Drews (1865-1935), che possono essere considerati i capostipiti - nei tempi moderni - della scuola dei cosiddetti "mitologisti". Quasi tutti i "mitologisti" dal XIX secolo sino ad oggi criticano l'origine dell'appellativo Nazareno come discendente di Nazaret e mettono in discussione l'esistenza di Nazaret nel I secolo d.C., ponendo l'enfasi sulla mancanza di attestazioni inconfutabili. Tuttavia, l'idea che proprio Gamla in particolare possa essere la vera città da cui proveniva Cristo al posto di Nazaret è stata sostenuta da pochissimi studiosi, quasi sempre non specialisti. Generalmente questa scuola da un lato nega l'esistenza di Nazaret nel I secolo, d'altra parte si sforza di provare che Gamla meglio si adatterebbe alle (scarne) descrizioni dei vangeli canonici, come quella di cui in Lc. 4:29. Prevalentemente si tratta di ricostruzioni storiche volte a mettere in relazione la figura di Gesù con quella dei discendenti di Giuda il Galileo (che proveniva da Gamla) o con Giuda stesso e a concludere che Gesù fu un rivoluzionario zelota, il cui pensiero e la sua reale identità furono in seguito nascosti e trasformati dalla Chiesa. Tra i primi a sostenere questa ipotesi così specifica va citato il ricercatore (dilettante) francese Daniel Massé (n. 1872), autore di L'Enigme de Jesus-Christ (editions du Siecle, 1926). Sono numerosi i passaggi di quest'opera in cui emerge questa tesi, ne citiamo uno che bene la riassume: "Il n'ya pas de doute. Rejetee Nazareth, ville inconnue de la geographie et de l'histoire avant le VIII ou IX siecle de notre ere, epoque a laquelle a ete cree de tout piece dans un site qui est inconciliable avec les recites evangeliques eux-memes, c'est a Gamala que tout nous ramene, comme patrie de celui qui fut le "crucifie de Ponce Pilate." L'ipotesi fu poi portata avanti o utilizzata da altri non specialisti, come Edmond Bordeaux Szekely (1900-1979), si veda in particolare The Essene Origins of Christianity, Robert Ambelain (1907-1997), grande estimatore di Massé, e altri. La provenienza di Gesù da Gamla è citata anche nel romanzo di M. Bulgakov (1891-1940), Il maestro e la margherita (1969). Importante è lo scetticismo di Lidz, questa volta uno specialista, il quale propose la teoria secondo cui Gesù si formò presso la setta gnostica dei Mandei che si chiamavano anche Nasareni. Il Kittel nel Theologic Dictionary of the New Testament annota: "Lidz, if not so firmly as others before him, is led to doubt not only whether Jesus was called after Nazareth but whether there was even a Galilean town of this name in His day." (voce NazarhnÒj, Nazwra‹oj).

Viceversa, la quasi totalità degli studiosi di storia del cristianesimo continua a ritenere ancora oggi che Nazaret esistesse nel I secolo. Per molti si trattava realmente della città di provenienza di Cristo. Si possono citare al riguardo: F. Delitzsch (A Day in Capernaum, 1887, che cita anche quattro volte Gamala), G. Barbaglio (Gesù ebreo di Galilea, edizioni Dehoniane, Bologna, pp. 115-119), J. Becker (Jesus of Nazareth, Walter de Gruyter, New York/Berlin, 1998, pag. 22), M.J. Borg (Meeting Jesus Again for the First Time, Harper Collins, S. Francisco, 1994, pag. 25), J. Charlesworth (Jesus, Research and Archaeology: A New Perspective, in J. Charlesworth (ed.), Jesus and Archaeology, Eerdmans Publishing, 2006, pag. 38), J.D. Crossan (The Historical Jesus, Harper Collins, S. Francisco, 1991, pp. 15-16), James D.G. Dunn (Gli albori del cristianesimo. La memoria di Gesù 1: Fede e Gesù storico, Paideia, Brescia, 2006, pp. 329-330 e 332), B.D. Ehrman (Jesus - Apocalyptic Prophet of the New Millenium, Oxford University Press, New York, 1999, pag. 98), D. Flusser (Jesus, Morcelliana, Brescia, 1997, pp. 38-39), S. Freine (Gesù ebreo di Galilea, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2006, pp. 61 e 66-67), J. Gnilka (Gesù di Nazaret, Paideia, Brescia, pp. 97-102), R. Horsley (Galilea. Storia, politica, popolazione, Paideia, Brescia, 2006, pp. 252-253), G. Jossa (Dal Messia al Cristo. Le origini della cristologia (nuova edizione riveduta), Paideia, Brescia, 2000, pag. 38, nota 4), G. Luedemann (Jesus After Two Thousan Years, SCM Press, London, pag. 686), E. Lupieri (in G. Filoramo, D. Menozzi, Storia del cristianesimo, Laterza, Bari, 1997, pag. 55), J.P. Meier (Un ebreo marginale, Vol. I, pag. 267, nota 67), J.A. Pagola (Jesus, Aproximacion Historica, PPC, Madrid, 2007, pp. 40-41), C. Perrot (Gesù, Queriniana, Brescia, 1999, pag. 44), M. Pesce (Inchiesta su Gesù, Mondadori, Milano, ed. 2007, pag. 10), G. Ricciotti (Vita di Gesù Cristo, varie edizioni dal 1941), J. Roloff (Gesù, Einaudi, Torino, 2000, pag. 56), E.P. Sanders (Gesù, la verità storica, Mondadori, Milano, 1999, pag. 107), G. Theissen (Il Gesù storico. Un manuale, Queriniana, Brescia, 1999, pag. 209), G. Vermes (Gesù l'ebreo, Borla, Roma, 2001, pp. 20-21). A questo elenco si potrebbero aggiungere Jonathan L. Reed, Paula Fredriksen, Dale C. Allison, S.J. Patterson, B. Chilton, N.T. Wright, Ben Meyer, D. Catchpole, J. Kloppeborg, W.R. Herzog, M. Ebner, E. Schweizer, H. Merklein, H. Schurmann, D. Marguerat, J. Schlosser, M. De Jonge il papirologo e paleografo C.P. Thiede e tantissimi altri ancora.


5. Interpretazione di Gv. 1:46

Il passo Gv. 1:46 può essere trattato in connessione con l'identificazione della Nazaret evangelica con Gamla e della figura di Gesù con quella di un brigante o bandito come Giuda di Gamla. In Gv. 1:46 Natanaele dice: "da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?", 'Ek Nazart dÚnata… ti ¢gaqÕn enai. L'utilizzo dell'aggettivo "buono", in contrapposizione a "cattivo", potrebbe lasciare intuire che Gesù provenisse da una regione malfamata - almeno agli occhi di Natanaele - in cui operavano dei briganti e dei rivoltosi. Una tale descrizione potrebbe essere coerente con le sperdute montagne della Galilea e della Gaulanitide dove si rifugiavano i rivoltosi che lottavano contro l'impero romano per l'indipendenza di Israele e contro gli altri ebrei collaborazionisti. Tuttavia, il passo di Giovanni utilizza l'aggettivo greco ¢gaqÒj che può essere inteso nel senso di valoroso, valente, abile, capace di fare qualcosa, non necessariamente in contrapposizione a malfamato, criminale, illegale ma a incapace, buono a nulla, fannullone. In greco per definire qualcosa di buono, bello, di lodevole esiste anche l'aggettivo kalÒj, ma ¢gaqÒj viene solitamente impiegato per qualcosa di perfetto, ha un grado superiore a kalÒj. In questo senso dobbiamo studiare nel suo contesto la risposta di Natanaele a Filippo, il quale aveva appena detto: "abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret". Tenuto conto della clamorosa affermazione di Filippo e del fatto che l'Antico Testamento non prevedeva certo in Nazaret la città di provenienza del Messia, città che del resto non menziona neppure una volta, la risposta sarcastica di Natanaele, intrisa di scetticismo, appare giustificata nel senso che il Messia non poteva provenire da una città insignificante come Nazaret, così come è coerente l'utilizzo di ¢gaqÒj riferito al Messia, un essere perfetto.

L'utilizzo di ¢gaqÒj nel vangelo di Giovanni è rarissimo. A parte Gv. 1:46, questo aggettivo compare soltanto in altri due versi. In Gv. 5:29 viene impiegato nel senso di fare il bene in contrapposizione a faàloj che significa insignificante, mediocre, di cattiva qualità, incapace, inetto; da un punto di vista etico faàloj può anche significare meschino, cattivo, malvagio, ma il precedente significato è quello più diffuso. In Gv. 7:12 è scritto invece che una parte della folla di Gerusalemme diceva che era "buono", œlegon Óti 'AgaqÒj ™stin, mentre una parte che ingannava la gente (plan´ tÕn Ôclon).

Nel linguaggio del vangelo di Luca ¢gaqÒj è utilizzato come aggettivo sostantivato in ben quattro passi, per definire i beni in senso materiale, le ricchezze da un punto di vista economico (cfr. Lc. 1:53, 12:18, 12:19 e 16:25). In tre versi viene impiegato invece per esprimere genericamente il concetto di fare del bene, cioè opere benevole (cfr. Lc. 6:9, 6.33 e 6:35). Nella parabola del seminatore è utilizzato per la terra buona, quella che porta molto frutto, cfr. Lc. 8:8 e 8:15, in contrapposizione alla terra arida, non adatta alla semina. In due passi, Lc. 11:13 e Lc. 6:45, l'aggettivo viene utilizzato in contrapposizione a ponhrÒj, che nel contesto significa un uomo oppure una cosa cattiva nel senso di maligna, perfida, non ispirata dalla bontà di Dio. Alcuni personaggi poi sono tipicamente definiti buoni, Luca chiama così Giuseppe di Arimatea (cfr. Lc. 23:50) e il servitore buono della parabola delle mine, cfr. Lc. 19:17. In Lc. 10:42 Gesù dice che Maria si è scelta la parte "buona". Aggiungendo a questi versi anche Lc. 18:18-19 abbiamo praticamente coperto tutte le occorrenze dell'utilizzo di ¢gaqÒj nel linguaggio lucano. In Lc. 18:18 (// Mc. 10:17-18 e Mt. 19:16-17) una persona notabile si rivolge a Gesù chiamandolo did£skale ¢gaqš, Maestro buono o perfetto. Gesù risponde rifiutando questo titolo, soltanto Dio infatti è buono: oÙdeˆj ¢gaqÕj e„ m¾ eŒj Ð qeÒj. Quindi in Luca, che lo utilizza molto più frequentemente di Gv., l'aggettivo ¢gaqÒj ricopre vari significati, generalmente come titolo che assume un grande rilievo.

5.1 ¢gaqÒj come designazione di JHWH

(a cura di don Silvio Barbaglia, docente di Scienze Bibliche, Diocesi di Novara)

Prendendo le mosse da Lc. 18:18-19 e paralleli sinottici possiamo ipotizzare un particolare utilizzo del termine ¢gaqÒj in Gv. 1:46. Esso infatti potrebbe richiamare il "tov" ebraico che era una delle designazioni di JHWH. Nel contesto del passo giovanneo, Filippo di Betsaida trova Natanaele e gli dice: "Abbiamo trovato colui di cui scrisse Mosé nella legge e i profeti, Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret". E qui segue la domanda retorica di Natanaele, oggetto di interpretazione. La domanda è provocata dall'affermazione di Filippo che sostiene di avere trovato il Messia di Dio atteso da Mosé e dai profeti. Ecco allora la reazione di Natanaele riletta entro tale semantica: "Da Nazaret potrà mai venire qualcosa di/da Dio?" intendendo per ¢gaqÒj il "tov" ebraico e quindi "Dio"; la domanda non verte sulla qualità della città bensì sull'origine del Messia che non viene per Giovanni né da Betlemme, né da Nazaret ma dal Padre (cfr. la logica precedente del prologo). Quindi Filippo dice a Natanaele: "Vieni e vedi". Gesù vede Natanalele e dice di lui: "Ecco veramente un israelita in cui non c'è falsità". Segue la domanda di Natanaele, pÒqen me ginèskeij, che di solito si traduce: "Come mi conosci?", cfr. Gv. 1:48, dovrebbe essere meglio tradotta con: "da dove mi conosci?", ovvero pÒqen in greco (13). Se si analizzano tutti i casi in cui ricorre tale avverbio interrogativo in Giovanni, si riscontra che la risposta è sempre implicitamente "da Dio" o "dal Padre", cfr. Gv. 4:11, 6:5, (7:27-28), (8:14), (9:29-30), 19:19. In Gv. 1:46 il messaggio cifrato di Gv è che Natanaele pone una domanda che va resa: "da dove ti proviene questa conoscenza?" e la risposta è "da Dio", indicando il riferimento all'essere sotto il fico che secondo i riferimenti della letteratura rabbinica può significare l'indicatore dello studio della Torah. Quindi, da una parte Gv. vuole superare, nell'elaborazione simbolica, una provenienza da Nazaret di Gesù perché la sua vera provenienza era da Dio, più che da una città costruita da uomini, dall'altra afferma che da Nazaret può venire qualcosa "da Dio", il Messia appunto. Evidentemente questa interpretazione, che coinvolge peraltro gli aspetti della derivazione semitica del testo del Nuovo Testamento greco, porta a concludere che Gv. 1:46 non può certo essere utilizzato per sostenere che Nazaret o la patria di Gesù potesse essere un luogo abitato da briganti o criminali nel senso inteso da Giuseppe Flavio, tanto meno che Gesù facesse parte o fosse a capo di una banda di rivoluzionari come Ezechia o suo figlio Giuda.

Per l'utilizzo dell'aggettivo ebraico tov come designazione di Dio, citiamo dall'articolo di I. Höver-Johag in: Grande lessico dell'Antico Testamento, vol. III, coll. 390***-392***. Al punto "5.f)" è scritto:


"In quanto indica il bene per antonomasia, il sost. tôb tôbâ (anche tôb neutro aggettivo) ha in ambito religioso due contenuti semitici in rapporto reciproco di causa ed effetto: un concetto astratto e la sua manifestazione (collettiva) concreta. Come astratto tûb/tôb/tôbâ, il bonum in sé, si riferisce unicamente a JHWH, in quanto viene personificato e sentito identico a Dio: non più come "il bene", ma come "il buono" (Ps. 16,2; 119,22; cfr. 14,28.68; 84,17; Prov. 13,32; come opposto negativo Ps. 36,2). In questo senso in Ex 33,19 tûb va considerato un termine della teofania parallelo a panim, kabod o no'am JHWH. La concezione di JHWH come fonte della felicità e del benessere umano trova la sua più forte espressione tanto nei salmi di ringraziamento e in quelli storici, quanto in Geremia (Ier 15,11; 17,6; 33,11; 44,17 ecc.). [...] tôb compare frequentemente in Geremia in una accezione storico-salvifica orientata al futuro, come bene salvifico per il popolo e per l'individuo (Ier 8,15; 14,11.19; 17,6 ecc.). In tale contesto tôb acquista una particolare importanza come contenuto del nuovo patto, berit 'olam (Ier 32,40.41.42; cfr. 39,9.11.14). Il tûb Jhwh è la risposta all'attivo tôb dell'uomo (cfr. Iob 21,13; 36,11; Ps 23,6; Ier 8,15). E' questa l'espressione della fedeltà al patto."

E così di seguito. Va notato l'uso del neutro "agathon" anche in Mt 19:17 coma allusione al "bene" più che al "buono". Le due parti in grassetto dovrebbero unire sia il riferimento a Dio (altri nomi nell'AT sono "as-sem-il nome", "memra-la Parola"; "hokhma-la sapienza", ecc... oltre ai conosciuti El 'olam, el shadday, elhoim, elholah, adonai, ecc...) sia il riferimento storico-salvifico che, in primis nel vangelo di Giovanni, è centrato sul Logos-Messia Gesù.

Inoltre, per la lettearatura rabbinica i vari riferimenti possono essere trovati in Strack, H. L. - Billerbeck, P., Das Evangelium nach Matthäus erläutert aus Talmud und Midrasch, Kommentar zum neuen Testament aus Talmud und Midrasch I/1-2, München, C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung 1962, pag. 809.

OSEA 8:3, che legge nel testo ebraico masoretico: zânax yišærâ’êl tôwb, Israele ha rigettato il buono (JHWH), può essere citato come interessantissimo caso dell'Antico Testamento in cui tov viene praticamente utilizzato come aggettivo sostantivato per designare JHWH, l'interpretazione di bene come JHWH in questo passo è ammessa anche dal Talmud. La LXX traduce Osea 8:3 con Israhl ¢pestršyato ¢gaq£, utilizzando proprio l'aggettivo ¢gaqÒj come in Gv. 1:46.

6. Har Nitai

Il sito archeologico di Har Nitai si trova in Galilea verso la sponda orientale del lago. è situato in una posizione più favorevole sia rispetto alla Nazaret tradizionale che a Gamla, trovandosi soltanto a 2,4 km dalla sponda del lago e in prossimità della città di Cafarnao, che può essere vista ad occhio nudo da Har Nitai in una giornata in cui l'aria è limpida. Le fotografie sottostanti mostrano, da sinistra verso destra, la posizione geografica di Har Nitai ripresa dal satellite; due viste del monte che ospita l'antico insediamento, una specie di altopiano al confine del quale si trovano dei precipizi; infine una vista di Har Nitai ripresa dai monti di Arbel, che si trovano a qualche km di distanza.



Il monte di Har Nitai è una specie di piccolo altopiano che si eleva dal terreno circostante, le sue pareti sono molto ripide come attestano le immagini fotografiche. Sopra lo spazio pianeggiante situato sul monte si trovano i resti di un antico insediamento che ad oggi non è mai stato scavato, non compare in nessuna carta geografica segnato come sito archeologico e non è incluso nel database dell'Israel Antiquities Authority (IAA). Da un punto di vista strettamente geografico soddisfa in modo eccellente le richieste di Lc. 4:29 in quanto uscendo dall'antico insediamento si arriva facilmente alla sponda del monte che è piena di precipizi e dirupi mortali. Nel 1998 Kevin Kluetz ha portato all'attenzione questo sito in connessione con la descrizione di Lc. 4:29, si veda l'articolo The Real Nazaret, pubblicato in internet. Secondo Kluetz l'antico insediamento, che potrebbe essere una città, era protetto da un muro di cinta i cui resti sono visibili ancora oggi. Per raggiungere la sponda del monte e i burroni è necessario attraversare il muro uscendo dalla città. Kluetz afferma che tra i precipizi e il muro di cinta non è stato ritrovato alcun resto di edificio e questo renderebbe ragione perfettamente della frase di Lc: kaˆ ¢nast£ntej ™xšbalon aÙtÕn œxw tÁj pÒlewj (e alzatisi lo cacciarono fuori della città). Inoltre si può osservare che se per raggiungere la zona dei dirupi si doveva uscire dalla cinta muraria che circondava la città è anche vero che i burroni si trovano esattamente sullo stesso monte in cui sorgeva la città, al contrario di Nazaret e persino di Gamla. Certamente da un punto di vista della pura collocazione logistica Har Nitai soddisfa perfettamente Lc. 4:29. Infine il dirupo può essere raggiunto molto facilmente, dal momento che il terreno circostante la città è quasi pianeggiante, ed è sicuramente mortale data l'altezza dalla quale una persona verrebbe a precipitare e la presenza di vari macigni rocciosi nella gola. Mancano però completamente informazioni archeologiche sul sito, per esempio sarebbe importante ritrovare i resti di un edificio riconducibile a una sinagoga, come nel caso di Gamla.

Il Dr. D. Syon ci ha detto di essere molto perplesso relativamente al fatto che le rovine di Har Nitai siano riconducibili a quelle di una antica cittadina. Soltanto una città relativamente grande e popolata poteva avere delle mura appositamente progettate a scopo di difesa degli abitanti, Nazaret e Gamla ad esempio non ne erano provviste e la fortificazione di Gamla fu costruita in fretta dai Giudei nel 66 d.C. a causa della imminenza dell'attacco romano. Le mura di Har Nitai, secondo Syon, furono costruite nell'epoca erodiana e da quel poco che si conosce del sito potrebbero più verosimilmente essere state costruite non per difendere una città - del resto le pareti ripidissime del monte fungerebbero da difesa naturale - ma per difesa contro ladri e predoni che infestavano la zona e si nascondevano nelle caverne che si trovano nelle vicinanze di Har Nitai. La loro posizione, infatti, è situata proprio sopra il monte, dove i soli pendii sarebbero più che sufficienti a proteggere la zona dagli attacchi di un esercito nemico. In Bell., 2:573, Giuseppe racconta che quando fu nominato comandante del distretto della Giudea nel 66 fortificò oltre a Gamla anche altre località e in particolare la zona delle caverne attorno al lago di Genèsaret (altro nome del mare della Galilea). Sebbene siano del tutto assenti ulteriori informazioni in questo passo di Guerra Giudaica, Giuseppe Flavio potrebbe aver inteso proprio la località di Har Nitai, circondata da caverne che si possono vedere sulle pareti del monte. Uno dei risultati della ricerca di Kluetz è che in tutta la Galilea, carte geografiche, alla mano, esistono solo due località che soddisfano completamente Lc. 4:29 interpretato letteralmente: Har Nitai ed Arbel. Anche sul monte di Arbel vi sono alcuni resti e tracce di un antico insediamento, tuttavia secondo Kluetz l'estensione di queste rovine non è tale da far pensare ad una città, inoltre Arbel si trova sulle sponde del lago come Cafarnao, dunque non si integra bene con il passo di Mt. 4:13 secondo cui Gesù, lasciata Nazaret, andò ad abitare a Cafarnao che si trovava sul mare: se la Nazaret evangelica fosse situata sul mare, Matteo non avrebbe avuto bisogno di specificare che Gesù andò a vivere in una città che si trovava sul mare.



NOTE AL TESTO

(1) Hist. Eccl. 1, 7, 14. Giulio Africano, citato da Eusebio, sta compiendo un tentativo di armonizzazione e spiegazione delle differenze tra le genealogie dei vangeli di Matteo e Luca.

(2) Per costituire una sinagoga occorrevano almeno dieci persone, quindi anche se Nazaret nel I secolo era un piccolo villaggio ebraico poteva comunque avere la sua casa di preghiera, a meno che non contasse meno di dieci abitanti (cfr. J. Gnilka, Gesù di Nazaret. Annuncio e storia, trad. it. di F. Tomasoni, Paideia, Brescia, 1993, pag. 98 - titolo opera originale: Jesus von Nazaret. Botschaft und Geshichte, Verlkag Herder, Freiburg, 1991).

Negli anni 1955-59 furono compiuti degli scavi sotto la basilica dell'Annunciazione. Demolita la chiesa francescana fu portato alla luce il tracciato della chiesa crociata, sotto le costruzioni crociate furono messi in luce i pavimenti e le strutture della chiesa bizantina, della quale si conosceva già l’esistenza. Si scoprì così che i bizantini avevano utilizzato nella loro costruzione un muro il quale, dal tipo di pietra usata e dal modo con cui era lavorata, appariva chiaramente preesistente. Tolti i mosaici che coprivano il pavimento furono rinvenuti capitelli e altri blocchi di pietra lavorata, appartenenti ad un edificio religioso precedente che presentava analogie evidenti con le sinagoghe costruite in Galilea nei sec. II e III d.C. L’archeologo P. Bagatti, che diresse i lavori di scavo e ne studiò i reperti, afferma trattarsi di una sinagoga-chiesa, di un edificio cioè di molto anteriore alla chiesa bizantina.

(3) Questa testimonianza epigrafica potrebbe essere l'unica attestazione della presenza del nome di Nazaret in un'opera antica, antecedente il periodo bizantino, diversa dal Nuovo Testamento. Così della città di origine di Gesù non si sarebbe conservata alcuna citazione letteraria nelle opere classiche ma soltanto l'iscrizione su un antico manufatto.

(4) Questa ipotesi fu proposta dal palestinologo francescano F. Quaresmi (1583-1656) secondo cui anticamente Nazaret si chiamava “Medinat-labnat” cioè “città bianca” e successivamente ripresa dal rabbino Y. Schwarz (1804-1865). Il commento alla Mishnà di Kehati colloca invece questa località di M. Menachot 8,6 ad ovest di Shilò, lontano da Nazaret. Altre fonti fanno corrispondere questa località alla città araba di “aLuban”. Nella letteratura rabbinica talmudica non abbiamo nessuna menzione del nome di Nazaret. E' possibile e accettato da vari studiosi che il poeta sinagogale Eleazar ha-Qalir (Kalir) abbia citato Nazaret in una lamentazione per il 9 di Ab. Kalir visse nel VII sec. d.C., tuttavia la lamentazione del 9 di Ab fa riferimento all'epoca del secondo tempio e alla diciottesima classe sacerdotale (Happizzes).

(5) Intendo sempre le misure assolute di altezza s.l.m.

(6) La chiesa greca dell'Annunciazione è una chiesa greco-ortodossa ultimata nel 1863, da non confondersi con la più celebre Basilica dell'Annunciazione che è cattolica e si trova nel centro di Nazareth. A Nazareth, infatti, coesistono due diverse tradizioni devozionali, quella latino-cattolica che venera il luogo dell'annunciazione dell'angelo Gabriele presso la Basilica dell'Annunciazione e quella ortodossa che invece la venera presso questa seconda chiesa dell'Annunciazione, situata più a N-E, nella zona della cosiddetta "fonte di Maria".

(7) Il dizionario biblico illustrato della PIEMME ipotizza un interessante collegamento tra Lc. 4:29 e Mishnà Sanhedrin 6, 4. Questa Mishnà descrive il luogo preposto per la lapidazione di un condannato a morte, dicendo che il condannato (che era nudo e legato) doveva prima essere gettato in una buca alta quanto due uomini (komot). Epstein scrive in nota a questa Mishnà che l'altezza convenzionale di una persona nel gergo talmudico corrisponde a tre cubiti, pertanto avremmo una altezza pari a 2,7 metri circa (1 cubito ebraico = 44,45 cm). Soltanto se il condannato sopravviveva al salto si procedeva alla lapidazione, prima scagliando una sola pietra da parte di uno dei testimoni, quindi, se il colpo non era sufficiente, da parte di tutti gli altri presenti. Il commento a questa Mishnà (Ghemarà) pare intendere che si trattava comunque di una costruzione apposita e non di una buca naturale del terreno. La Ghemarà afferma che l'altezza minima per provocare la morte era di 10 tefachim (circa 1 metro), per far morire il condannato nella maniera più rapida possibile ed evitargli sofferenze, senza tuttavia straziare il corpo, la Ghemarà fissava un'altezza massima pari a quattro volte la minima distanza, avremmo così una massima altezza di 4 metri. Nel caso di Lc. 4:29 nulla lascia intuire che ci sia stato un regolare processo a Gesù e si sia seguito il rituale ufficiale della condanna a morte per lapidazione. Tutto lascia supporre che si sia trattato di un linciaggio popolare con tentativo di uccisione. L'omicidio sarebbe stato eseguito semplicemente gettando Gesù dal precipizio, Luca non allude in nessun punto che lo volessero lapidare. E' improbabile che si possa vedere un collegamento con questa Mishnà.

(8) Secondo il dr. Danny Syon il nome corretto della città è Gamla. Gamala (con la seconda "a") è una corruzione del termine che si dovrebbe utilizzare, causata da Giuseppe Flavio, nelle cui opere compare in greco Gamala.

(9) Le citazioni da Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio sono tratte dall'edizione di G. Vitucci, Mondadori, Milano, 1989.

(10) Tarichea viene oggi identificata con Magdala, per cui si trova nella sponda occidentale del mare della Galilea, a nord di Tiberiade. Si veda il sito ufficiale degli scavi di Magdala. La descrizione di Bell. 4,2 appare perfettamente coerente rispetto alle attuali localizzazioni di Gamla e Magdala/Tarichea. Un tempo, in particolare prima della scoperta dell'attuale sito di Gamla, si riteneva che Tarichea fosse ubicata nell'estrema parte meridionale del mare della Galilea, presso il sito di Bet-Yerach. Questa posizione sembrava suggerita da un passo di Plinio il Vecchio, Nat. Hist, 5,71. In realtà la collocazione di Plinio è errata, del resto nello stesso passaggio egli colloca Bethsaida Giulia (Iuliade in latino) ad oriente del mare della Galilea, mentre sulla base delle conoscenza archeologiche si dovrebbe dire che si trova a nord del mare della Galilea (poco a est del punto in cui il Giordano sfocia nel mare della Galilea), inoltre afferma che Tarichea dava il nome al lago, quando invece l'etimo di Gennesaret non ha nulla a che vedere con Tarichea/Magdala. Subito dopo Plinio afferma poi che Macheronte si trovava a sud del Mar Morto, un altro dato non corretto (Nat. Hist. 5,72). Vi è anche un ulteriore motivo per cui Tarichea/Magdala non può trovarsi nella punta sud del lago poiché Giuseppe Flavio (Vita, 32) colloca Tarichea a trenta stadi da Tiberiade, misura corrispondente a 5,5 km circa (1 stadio romano = 185 metri), ma la punta meridionale del mare di Galilea (Bet-Yerach) si trova a una distanza ben maggiore di questa, mentre la stessa distanza si adatta perfettamente a Magdala. Si veda anche la nota di D. Syon sulla posizione di Gamla e Tarichea/Magdala.

(11) Nel passo in questione Giuseppe descrive l'assegnazione dei comandi delle varie regioni della Palestina in seguito alla disfatta delle truppe di Cestio Gallio, quando i Giudei per alcuni mesi riuscirono a vincere i Romani nella guerra del 66-74 d.C.

(12) Nel trattare il tema della mancanza di timore davanti alle minacce di morte in seguito alla ingiunzione di un tiranno, Epitteto, filosofo stoico coevo di Giuseppe Flavio, originario di Gerapoli ma attivo a Roma e nell'Epiro, scrive che "anche per follia uno può resistere a quelle cose, o per ostinazione, come i Galilei". Il passo viene generalmente interpretato come una allusione alle persecuzioni dei Cristiani, chiamati qui da Epitteto con l'appellativo di Galilei, cfr. G. Jossa, I Cristiani e l'Impero Romano, Carocci, Roma, 2000, pp. 99-10. Nel Nuovo Testamento Gesù e alcuni apostoli sono chiamati Galilei. L'imperatore Giuliano (332-363 d.C.) chiama Galilei i Cristiani nell'opera polemica Contro i Galilei che ci è pervenuta tramite citazioni di Cirillo di Alessandria (370-444 d.C.) in Contro Giuliano. Non mancano tuttavia studi volti a dimostrare che Epitteto non intendeva nel passo in questione riferirsi ai Cristiani ma ad altra setta ebraica del suo tempo. I riferimenti ad un particolare gruppo ebraico chiamato dei Galilei sono alquanto rari nella letteratura greco-romana fino al III-IV secolo d.C. E' interessante osservare che in Ant. 18:23-24 Giuseppe Flavio scrive:

"[23] Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia. Questa scuola concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e padrone. Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, purché possano evitare di chiamare un uomo “padrone”. [24] Ma la maggioranza del popolo ha visto la tenacia della loro risoluzione in tali circostanze, che posso procedere oltre la narrazione. Perché non ho timore che qualsiasi cosa riferisca a loro riguardo sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel fatto che la mia esposizione possa minimizzare l'indifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle pene."

In nessun punto di questo brano Giuseppe conferisce un particolare nome ai membri della setta filosofica fondata da Giuda il Galileo, che denota genericamente con l'espressione di "quarta filosofia", ma la descrizione del modo sprezzante con cui i seguaci di Giuda affrontavano le punizioni e la morte sembra coerente con il contesto del discorso in cui si inserisce il citato passo di Epitteto. Del resto anche i Cristiani affrontavano la morte in modo sprezzante e riconoscevano solo l'autorità di Gesù preferendo la morte al riconoscere la divinità dell'Imperatore di Roma. L'atteggiamento dei seguaci della quarta filosofia fondata da Giuda davanti alla morte è molto simile a quello dei Cristiani così è possibile che Epitteto abbia inteso riferirsi ai seguaci di Giuda chiamati "galilei" da Giuda "il galileo" - questo presuppone che la setta guidata da Giuda avesse sufficiente fama per essere conosciuta da Epitteto - oppure che Epitteto abbia confuso i Galilei con i Cristiani. Occorrerebbe una analisi dettagliata degli sviluppi nel tempo - origine e fine - della "quarta filosofia", alcuni elementi sono sviluppati in C. Mézange, Simon le Zélote était-il un révolutionnaire?, Biblica, 81 (2000), pp. 489-506. Un altra ipotesi verte sull'esistenza di un partito o fazione di Zeloti detta dei Galilei, cfr. Bell., 4:559, che avrebbe un qualche tipo di legame anche con la quarta filosofia fondata da Giuda detto il galileo. In Bell., 4:559, Giuseppe sembra alludere all'esistenza di un gruppo di Zeloti chiamato "Galilei", attivo durante l'assedio di Gerusalemme. Ma può anche darsi che Giuseppe abbia inteso qui riferirsi semplicemente a un gruppo di Zeloti provenienti dalla Galilea e attivi solo in quella specifica circostanza e nulla più. Giustino elenca tra le sette ebraiche del I secolo quella dei Galilei, cfr. Dial., 80. Anche Eusebio di Cesarea, citando Egesippo, riporta che i Galilei erano una particolare setta ebraica del I secolo in contrapposizione a quella dei cristiani, cfr. Hist. Eccl., 4.22.6. Lo stesso Eusebio cita in Hist. Eccl., 1.5.3-6, i passi di Atti 5:27, Ant. 18:4 e Bell. 2:118 relativi a Giuda il galileo e la sua setta.

Comunque scene simili alle torture cui furono sottoposti i Cristiani o i membri della quarta filosofia di Giuda di Gamla sono documentate anche per gli ebrei rivoluzionari subito dopo il 74 d.C., cfr. ad esempio l'episodio avvenuto ad Alessandria in Bell., 7:407-419; tra il 115 e il 117 vi fu inoltre una massiccia rivolta dei Giudei della diaspora che portò alla condanna di molti rivoluzionari (cfr. Eusebio, Storia Eccl., 4,2,4 e Dione Cassio, LXVIII, 30). Altre teorie più estreme propongono una derivazione del movimento cristiano da quello di Giuda, se non una sovrapposizione con esso. In una delle lettere di bar Kokhba, il leader della seconda rivolta giudaica del 132-135 d.C., si allude ai Galilei come potenziali nemici, cfr. P. Benoit, J.T. Milik, R. de Vaux, Discoveries in the Judean Desert of Jordan II. Les grottes de Murabba'at, Oxford, Clarendon Press, 1961, pp. 159-160. Sappiamo anche che i Cristiani furono perseguitati da bar Kokhba, scrive infatti Giustino: "infatti anche bar Kokhba, il capo della rivolta dei Giudei nella recente guerra giudaica, ordinava che venissero condotti ad orribili supplizi solo i cristiani, a meno che non rinnegassero e bestemmiassero Gesù Cristo." (Apologia I, 31, 6). Giustino visse in un'epoca molto prossima alla rivolta giudaica di bar Kokhba. Così è possibile che il gruppo di bar Kokhba chiamasse col titolo di Galilei i cristiani, se si ipotizza che il gruppo dei Galilei attivo durante la prima rivolta si fosse ormai estinto.

(13) pÒqen è un avverbio interrogativo (dalla radice po- che indica un luogo e suffisso avverbiale -qen a indicare il moto da luogo). Può avere significato: 1) Di luogo: da dove?, da quale luogo? 2) Di causa: perchè?, come?, in quale modo?, con quali mezzi? Cfr. Vocabolario greco italiano etimologico e ragionato, di R. Romizi, Zanichelli, Bologna, seconda edizione, 2005.



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Fonte:http://digilander.libero.it/Hard_Rain/Nazaret-Archeo.htm

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