Nel Capitolo IV, Non avrai altro testo che la Vulgata, si dileggia l'enciclica di papa Pacelli Divino afflante spiritu, che sarebbe stato il primo cenno di sdoganamento della critica testuale applicata alle sacre scritture ma sempre tenendo come riferimento la Vulgata di San Girolamo (il santo più cattivo di sempre).
Primo sfottò: Pacelli nel Proemio dice che la Chiesa ha sempre difeso il tesoro della Sacra Scrittura donatole dal cielo, "come lo ricevette illibato dalle mani degli apostoli". "Ma in tempi più recenti" [recentioribus autem temporibus], lo ha difeso da attacchi particolarmente devastanti. E qui Canfora si chiede, quali sono questi tempi più recenti? il modernismo? Ranan? no di certo, la riforma di Lutero, perché il papa poi si richiama ai pronunciamenti del concilio di Trento. Chiosa canfora: " il concetto di 'tempi più recenti' nell'ottica pontifica è ben vasto". Come dire che per il papa, prossimo all'imbalsamazione, e per la Chiesa, istituzione decrepita e incartapecorita, il tempo non scorre, come per una pietra. Se quindi dico che i tempi dell'età imperiale sono più recenti di quelli della Roma Repubblicana potrei incorrere nell'ironia del p r o f e s o r e.
Dirò che amo la Chiesa proprio per il suo non essere 'al passo coi tempi' per il suo incedere elefantiaco, bradipesco, e mi auguro che cambi il meno possibile, anzi, che torni pure un po' indietro.