xmanx ha scritto:@ninfa
il cristianesimo non si basa su una morale perchè gesù non dice cosa fare e come farlo.
gesù ha predicato un nuovo modo di essere.
gesù ha posto l'accento su un nuovo modo di essere: poi lascia liberi di fare e di non fare. Cioè puoi decidere di portare il velo o non portarlo...a lui sta cosa non fregava una cippa.
Ok, go capit !
Usi il termine morale, ma parli di ortoprassi.
Allora credo che tu abbia ragione.
P.s.
Scusa se ti sembro cavillosa, non è mia intenzione. Pure io certe cose le ho dovute imparare e ancora cerco di impararle.
Hara2 ha scritto:
L'Ebraismo credo si fondi su un patto. Non sulla morale. Dio sceglie un popolo e il popolo accetta sottoscrivendo così i precetti.
E' la Costituzione, il patto fondativo di una etnia, sono regole necessarie per garantirsi una vita comunitaria efficiente, ricchi pascoli, grassi armenti e un esercito abbastanza forte per sterminare Cananei, Amorrei, Hittiti, Perizziti, Gebusei, Evei ...
Ed è un codice civile e penale, un regolamento sanitario, un manuale di guerra e anche poesia e canto, proverbi e cronache
NON è affatto necessario considerare tali regole, poi organizzate nelle 613 mitzvot, una legge divina né un sistema Anzi, vi è una legittima strada interpretativa che espunge proprio dio da tutta la faccenda sostituendolo, con seri fondamenti linguistici, a una sorta di Costituente, faccenda (per me) interessante ma non semplice da trattare
Mi spiegheresti la storia?
C'è anche un testo fatto di racconti e interpretazioni, in teoria mai definitivo. Giusto?
Forse ti riferisci alle varie raccolte di midrash, altrimenti c'è l'imbarazzo della scelta che tutto nella tradizione religiosa ebraica è spunto di riflessione
Si era quello il nome. Avevo paura di sbagliare.
- Spoiler:
1."Un capretto, un capretto che mio padre comprò per due zuzim (due soldi).
Un capretto, un capretto".
Secondo una tradizione, il padre cui si fa riferimento nel canto è il Dio di Abramo, che regnava in solitudine
prima della creazione di ogni cosa. Il capretto è invece lo stesso Abramo, che fu comprato per due soldi.
Acquistare qualcosa implica la necessità di attribuire al denaro lo stesso valore di quello che vogliamo
acquisire. I due zuzim, le due monete d’oro, rappresentano l’intera creazione (il cielo e la terra), il Regno di
Dio, che vale esattamente quanto Abramo, il primo uomo a riconoscere l’opera del Creatore.
La prima strofa rappresenta quindi un Dio solo con se stesso, come era prima della creazione.
2."E venne il gatto, che mangiò il capretto, che mio padre comprò..."
Il gatto (in aramaico ’Shunra’) rappresenta il secondo regno, quello di Babilonia. La capitale del re Nimrod,
si trovava nella valle di ’Shinar’, e la scomposizione di questa parola (’sonehra’, una altezza malefica)
richiama la celebre Torre di Babele, vanamente slanciata verso le altezze celesti. Nimrod, che odiava il
Creatore e il suo messaggero Abramo, venne e mangiò il capretto. La tradizione ebraica infatti racconta che il
profeta fu gettato nelle fiamme di una fornace ardente, da cui uscì però miracolosamente come una nuova
creatura.
3."E venne il cane, che morse il gatto, che..."
Il cane simboleggia il terzo regno, quello del Faraone, che morse il gatto di Babilonia. "Un cane - insegna la
tradizione ebraica - ritorna sui propri escrementi, così come un pazzo alla sua follia". Esattamente come il re
d’Egitto che a dispetto delle piaghe illustrate nel libro dell’Esodo continuava a rifiutare la libertà al popolo
ebraico. L’Egitto superò Babilonia nella potenza senza mai affrontare uno scontro militare diretto. Per questo
motivo ’morsÈ, ma non mangiò l’avversario.
4."E venne il bastone, che picchiò il cane, che..."
Il bastone è la verga che Dio consegnò a Mosè per colpire gli Egizi. Lo strumento prodigioso che si tramutava
in serpente, toccava le acque del Nilo per tramutarle in sangue e spezzò, infine, la dura schiavitù.
Simboleggia il quarto regno, quello di Israele sulla propria terra, dove gli ebrei, sotto il segno dello scettro (di
nuovo il bastone) del regno di Giuda costruirono il Santuario di Gerusalemme. Fino a quando non venne il
fuoco... 5."E venne il fuoco, che bruciò il bastone, che..."
Quando il popolo ebraico si allontanò dall’insegnamento della Torà, un leone di fuoco scese dal cielo,
prendendo le forme del regno Babilonese di Nabuccodonosor, il quinto nella storia del capretto, e bruciando
il bastone (il potere temporale) di Israele. Il tempio fu divorato delle fiamme, gli ebrei deportati in schiavitù.
E contro il fuoco non c’è altro rimedio che l’acqua...
6."E venne l’acqua, che spense il fuoco, che..."
Il sesto regno è quello di Persia e di Media, le cui fortune si sollevarono come le onde del mare sommergendo
la potenza di Babilonia. "Le loro voci ruggiscono come le onde marine", scrive il profeta Geremia riferendosi
alla Media.
7."E venne il bue, che bevve l’acqua, che..."
Il toro è il segno celeste che secondo la tradizione ebraica contraddistingue le fortune della Grecia. Una
presenza associata dai saggi del Talmud all’oscurità spirituale. I greci cercarono di oscurare la vista degli
ebrei, riproponendo loro l’immagine del bue e ricordando loro di aver perduto la connessione con il Creatore
a causa dell’episodio legato a un quadrupede della stessa specie, il vitello d’oro. Il Toro della Grecia
macedone si bevve in un sorso l’acqua della Media.
8."E venne lo shohet, che uccise il bue, che..."
Il destino del bue di Macedonia finì nelle mani dello shohet di Roma. Nessun’altra cultura più di Roma,
secondo la tradizione ebraica, è tinta con maggior decisione nel rosso del sangue. Affermatosi sotto il segno
guerresco del pianeta Marte, il regno di Romolo è il discendente spirituale di Esaù, primo figlio di Isacco, che
nacque, secondo la Genesi, coperto su tutto il corpo del rosso di una peluria e fu soprannominato Edom, il
Rosso, dopo l’episodio del “piatto di lenticchie” definito in realtà nella Torà “roba rossa”. Roma rappresenta
il dominio della cultura materialistica, lo stesso al quale, attraverso il potere dei suoi eredi spirituali,
sottostiamo, secondo la tradizione rabbinica, ancora oggi.
9."E venne il Malah hamavet, e uccise lo shohet, che..."
I Maestri ci insegnano che l’arrivo del Messia sarà preceduto da un periodo di grande confusione, durante il
quale l’ordine naturale è destinato ad essere sovvertito. La vecchiaia sembrerà gioventù, la bruttura sarà
decantata come bellezza e la vera bellezza sarà presentata in maniera repulsiva. La barbarie sarà spacciata per
cultura. E la cultura apparirà vuota di significati. La brama di consumare e di possedere crescerà a dismisura,
ma troveranno sempre meno occasioni di placare la propria voracità.
Il materialismo rappresentato da Roma e da Esaù sarà percorso da una rapacità che lo condurrà
all’autodistruzione, fino a divenire l’angelo della morte nei suoi stessi confronti. Ma da questa caduta
risorgerà la dinastia messianica del re David. Secondo i profeti vi saranno tre guerre e quindi l’avvento del
penultimo regno, quello del Messia.
10."E venne l’Unico, benedetto egli sia, e uccise il Malah hamavet, che
uccise..."
Siamo al capitolo finale della nostra vicenda. Alla decima strofa il cerchio si chiude con il necessario ritorno
al punto di partenza. L’Eterno rimuoverà definitivamente tutto il veleno spirituale cosparso sulla terra. Anche
l’istinto di fare il male (l’angelo della morte) sarà sradicato. Allora Dio, promette il Talmud, asciugherà le
lacrime da ogni viso e riprenderà possesso del Suo Regno. Solo quando il circolo sarà completo la gioia potrà
regnare in un riconciliato rapporto fra l’uomo e il suo Creatore.
Ammazza , un pozzo senza fondo