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Il Maestro di nessuno e la chiave

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Massimo Vaj
Massimo Vaj
Viandante Storico
Viandante Storico
Il Maestro di nessuno e la chiave Ilmaestrodinessunoelach
Un uomo si ergeva in modo che nessuno potesse notare la sua stanchezza, perché aveva una funzione da svolgere, assegnatagli dal Mistero: accompagnare i discepoli spinti fino al suo eremo, dal Mistero in persona, a essere pronti alla visione della Verità unica senza, per questo, dover impazzire.
A questo scopo vestiva curando che il suo aspetto suscitasse riverenza e timore, in chi gli domandava sul sapere che lo teneva dritto e candido, in quella grotta umida e fredda, che costringeva tutti a piegarsi.
Lui sorrideva dentro di sé, in quello spettacolo per tonti che aveva escogitato, allo scopo di spingere fuori strada coloro che percorrevano i pericolosi sentieri delle alte cime, nell'intento di porre a lui questioni che non potevano essere soddisfatte a parole.
Lo chiamavano Maestro quando, in realtà, lui mostrava il contrario della Verità.
Non che dicesse falsità, parlava così poco che in quel poco non restava spazio per dire bugie, ma la rigidità dei suoi modi duri, i suoi abiti e la fermezza della posizione instancabile che teneva da anni, incurante dei capricci del gelo di quelle altitudini, gli conferivano un'aura di potenza misteriosa che solo la consapevolezza spirituale poteva concedere, e solo all'eletto che non aveva temuto la vittoria sui propri limiti.
Lui sapeva bene che se avesse indicato la giusta via, diversa per ognuno, a ogni aspirante che gli chiedeva indicazioni interiori, avrebbe commesso uno sbaglio difficile da riaggiustare.
Così aveva messo in piedi quel ridicolo teatrino, come se la Verità si trovasse celata in mezzo alla pienezza contenta di sé, lasciando l'impressione che il Vero fosse una specie di rigoroso temporale dell'anima che non aveva più un tetto sulle proprie, infinite, aspirazioni.
Quale altro modo per conoscere le reali intenzioni di chi si avventurava sino a lui?
Solo a chi avesse avuto la forza e il carattere di non cadere in quel tranello, avrebbe potuto comunicare il Silenzio che prelude alla visione del Vero che si mostra in abiti che la Verità non ama.
Quando lui era ancora un giovane contadino, primo di nove fratelli e senza il diritto di aspirare alla vita monastica, si ruppe una gamba in seguito alla spinta di uno Yak, su un sentiero a quattromila metri di altitudine. Fu soccorso dal pastore più mal messo mai incontrato, più ignorante delle sue stesse bestie il quale, oltre a curargli il corpo, gli spostò lo sguardo verso l'interno di sé senza che lui potesse avvedersene. Nei giorni successivi, tornato al suo villaggio, una misteriosa serie di domande attorno al perché della vita gli si affacciò inusualmente alla coscienza, che sentiva la necessità di ordinare le inaspettate intuizioni del suo spirito, in modo che la mente potesse considerarle attraverso la logica. Fu un'esperienza terribile, perché quando la Verità dei princìpi sui quali la realtà è fondata si mostra, per prima cosa ti mostra ciò che sei nelle tue reali intenzioni. Al primo sconcerto, che si protrasse per un'intera luna, si sostituì lo stupore di non aver mai saputo guardare i legami che annodano tra loro tante parziali verità ferite, alla perfezione dell'unica e indivisa Verità. In seguito fu la meraviglia a prendere il sopravvento sugli altri stati d'animo, che stavano a bocca aperta sullo spuntone di roccia che apriva lo sguardo dell'Intuire alla visione di un insieme che comprendeva l'alto e il basso, il dentro e il fuori di una magnifica realtà che stava tutt'attorno al centro dal quale un nuovo e diverso osservare valutava ciò che, per ora, riusciva a scorgere della possibilità universale. Quel vedere era solo il primo passo mosso verso l'ignoto, e lui lo capiva allo stesso modo di un bimbo che sente il bisogno di muovere anche l'altro piede dopo aver spostato il primo verso il centro di sé.
Non ebbe modo di incontrare una seconda volta quel pastore, anche se lo cercò per anni, e quando raggiunse finalmente la capacità di essere sincero e rispettoso con se stesso, poté ascoltare la Voce del Centro, rispetto alla quale la sua vecchia coscienza, di cui quest'ultima aveva preso il posto, gli appariva come un servo sempre disposto a farsi comprare.

Molte nuvole avevano attraversato il cielo della sua mente, da allora, più di quante assediavano le alte cime che lo deridevano in silenzio, e ancora tanto lungo appariva il sentiero da percorrere che conduceva alla montagna invisibile, quella così piccola da stare dentro all'attimo.
Lui ascoltava la Voce silenziosa e smascherava ogni impossibilità che si scontrasse con la Legge che gli si mostrava nuda, in tutto il fulgore di un'Intelligenza alla quale lui si dissetava.

La Voce aveva condotto al suo anfratto spoglio altri assetati, ma lui sapeva di non poter dar loro da bere. Dovevano imparare a riconoscere da soli la fonte, perché l'Essenza non zampilla dalle parole, come l'acqua non sgorga prima che un'apertura interna lo consenta.
Intimoriva le persone con gesti severi, gli stessi che usava per accarezzarle senza farsi scorgere; le lasciava all'aperto a consegnare le loro invocazioni al vento pungente, che non osava introdursi nello scomodo giaciglio di un vecchio pazzo, perché il vento teme la calma.
Molti tornarono presto sui loro passi delusi, altri tennero duro a lungo, ma mai nessuno fu disposto a rinunciare alle proprie opinioni.
Lui era il Maestro di nessuno, e ignorava ancora molte cose del Mistero, anche di essere chiamato così nelle valli sottostanti.

Una notte arrivò da lui un ragazzo il quale, sfinito dalla fatica e mezzo congelato, gli svenne davanti.
Il Maestro di nessuno lo portò nell'anfratto roccioso, e lo riscaldò con gli occhi senza neppure toccarlo.
Il mattino seguente un'oscura tempesta frustò di scaglie gelide la grotta, impedendo al ragazzo di guardare i disegni coi quali le stesse leggi che danno forma ai pensieri si divertono a immortalare nelle pareti la fantasia delle forme, sempre diverse, che imprimono onde in quel mare di roccia.
Due giorni dopo il cielo si distese d'azzurro, e la montagna poté riguadagnare la vista sul mondo.

—Cosa cerchi?— chiese il Maestro al ragazzo

—Maestro…— rispose il giovane
—Sto cercando la chiave che apre tutte le porte—

—La chiave serve solo se c'è una porta da aprire, e la porta è costruita dall'uomo per nascondere ciò che non riesce a immaginare— disse, senza alzare gli occhi dal vuoto, il vecchio saggio
—La chiave è forgiata dal punto di vista dal quale si osserva il mondo, e ogni punto d'osservazione non vede l'orizzonte dall'altro lato
—È per questo che tante sono le chiavi quanti sono gli occhi che guardano—

—Ma io cerco la sola chiave che apre tutte le porte del Cielo— insistette il giovane

—Quella non è una chiave— rispose il Maestro
—Perché la chiave è forgiata dalla domanda e se la domanda cambia, la chiave non entra più nella serratura della risposta
—La chiave che dà la risposta ha un profilo adatto alla domanda fatta, e a ogni domanda corrisponde una risposta che nega quella domanda e avrà una chiave diversa che le si adatterà
—Per questo la chiave delle chiavi non è una chiave—

—Cos'è, allora, Maestro?—

—Per rispondere all'infinita creatività del Mistero è necessario poter vedere le leggi stabili che da Quello si allontanano—

—Come fanno a essere stabili se si allontanano dal Centro immobile, Maestro?
—Non devono muoversi per allontanarsene?—

—Sì, devono muoversi come si muove il sole, che mantiene una fissità maggiore dei pianeti che gli ruotano attorno, nei confronti del Sole di tutti i soli
—Le leggi fisse dell'universo non sono assolute, l'Assoluto è unico e senza parti, ma sono la realtà più vicina a Quello e si allontanano dall'Assoluto portando l'Assoluto dentro di sé—
—Queste leggi sono al centro dell'universo e di ogni cosa che è nell'universo
—Sono la voce e la volontà di Libertà dell'Assoluto
—Sono le sbarre della prigione che conduce a essere liberi—

—Quali sono queste leggi, Maestro?—

—Io posso soltanto dirti dove puoi andare a cercare senza possibilità di trovare
—La tua mente non può trovare la Verità cercandola
—Il tuo cuore non troverà l'amore cercandolo
—L'Amore troverà te se avrai il cuore aperto
—La Verità ti troverà se avrai la mente vuota—

Il giovane guardò il Maestro e capì il perché del suo nome. Uscì da quella grotta più confuso di quando ci era arrivato, ma nei giorni seguenti una miriade di domande che non si era mai posto prima gli affollarono la mente e il cuore, e i princìpi che regolano vita e morte gli si mostrarono nella loro imperturbabilità. Fu un'esperienza terribile, perché quando la Verità dei princìpi sui quali la realtà è fondata si mostra, per prima cosa ti mostra ciò che sei nelle tue reali intenzioni.

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